la parola della domenica
Anno
liturgico C |
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Es
3,1-8a.13-15 "Voglio
avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto
non brucia?" E
non è forse questo il senso misterioso del nome che Dio svela?
"Ecco io arrivo dagli israeliti e dico loro: il Dio dei nostri padri
mi ha mandato a voi. Ma essi mi diranno: come si chiama? E io che cosa
risponderò loro?". "Dirai agli israeliti: 'Io - sono'
mi ha mandato a voi." Ecco, noi nella Quaresima come Mosè ci avviciniamo al roveto che arde, che arde non più oggi sul monte Oreb ma là dove nella città di Dio la strada sale verso il calvario. Noi saliamo là, a Pasqua, per vedere il roveto che arde, per vedere fino a che punto è arrivato "l'esserci di Dio". Io ci sono. Io ci sarò fino al punto di soffrire e di morire come uno di voi. Ripercorrendo
il brano dell'Esodo mi ritorna alla mente e al cuore un commento del cardinale
Carlo Maria Martini, che sottolineava con acutezza come nel testo affiori
un atteggiamento dello spirito di Mosè: la sua curiosità.
Mosè non è fagocitato dal suo mestiere di pastore, osserva
ciò che sta oltre, s'interroga su ciò che vede, si mette
in cammino per scoprire e capire il senso di ciò che sta avvenendo.
Non registra semplicemente i fatti, gli eventi, cerca di interpretarli. In questa luce potremmo forse anche leggere l'avvertimento di Gesù nel vangelo di Luca, un avvertimento che risuona come duro monito. Avvengono - sembra dire Gesù - fatti che potrebbero, dovrebbero, risvegliare le coscienze e chiamare a conversione, e voi li impoverite riducendoli a puri fatti di cronaca, tema dei vostri salotti del nulla. Con il vostro pessimo gusto di addossare agli uni o agli altri la colpa, senza minimamente mettere in questione voi stessi. Cade
una torre, quella di Sion, ne muoiono diciotto e voi che cosa pensate?
Che quelli fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
Forse alcuni di noi oggi, leggendo del crollo della torre di Siloe, saranno andati col cuore e con la mente dentro le immagini di un altro crollo, quello di due torri, di un 11 settembre, dopo il quale - così si diceva - nulla sarebbe stato più come prima. Ma di quelle torri abbiamo fatto semplicemente occasione di cronaca, occasione di dibattiti, di salotti. Non abbiamo percepito l'appello alla conversione che lo abitava. "Se non vi convertirete" - dice Gesù - "perirete tutti allo stesso modo". E non perché Dio mescoli sangue a sangue, non perché Dio faccia crollare le torri, ma perché vita e società, fondate come casa sulla sabbia, non hanno altro esito possibile se non quello di un crollo pauroso. "La sua rovina" - è scritto della casa - "fu grande" (Mt 7, 27). Non perché Dio voglia il nostro male, ma perché dentro un costume che addormenta le coscienze non sappiamo più interrogare né Dio, né noi stessi, né i segni del tempo. Per quanto riguarda Dio, a smuoverci dalla durezza di cuore è questa sua impenitente pazienza, la impenitente pazienza del padrone della parabola. Noi passiamo il tempo a sfruttare terreni - quanti! - senza dar frutti. Ma ancora una volta all'impazienza dei vignaioli ecco la risposta di colui che ha promesso di "esserci", di essere sempre nella sua impenitente fiducia. Nonostante tutto: "lascialo ancora quest'anno". E tu, Dio, zappi intorno e metti concime in questa nuova quaresima. E attendi che io, che noi, che questa terra porti finalmente frutto. |
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