la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nel terzo giorno dell'Ottava del Natale -
San Giovanni Apostolo ed Evangelista
secondo il rito ambrosiano


27 dicembre 2015



 

 

1Gv 1,1-10
Sal 96
Rm 10,8c-15
Gv 21,19c-24

San Giovanni evangelista. Perché la liturgia lo ricorda e, diremmo, gli riserva un posto di privilegio nei pressi del Natale, subito dopo la memoria del primo martire Stefano? Tento di capire, di interpretare, ma voi che siete intelligenti prenderete con una certa misura critica anche ciò che vado immaginando e sto dicendo.

Ho pensato in prima istanza che questo posto, che sa un po' di privilegio, sia toccato a Giovanni per via che, dell'evento inimmaginabile di un Dio che assume la nostra condizione di umani - un Dio! - , lui Giovanni ha dato una sintesi luminosa quando nel prologo del suo vangelo scrive: "Il Verbo si fece carne" - carne, capite! - "e venne a mettere la sua tenda in mezzo a noi", in mezzo, non a lato, in mezzo a noi!

Sintesi limpidissima, questa di Giovanni, tale da lasciarci con il cuore sospeso e colmo di ammirazione! Che sia un invito per tutti noi a ritornare a stupirci, a meravigliarci, a stropicciare gli occhi? Ma vorrei subito aggiungere, che quella sua intuizione che sta nel prologo del suo vangelo è come se Giovanni l'avesse scritta a vangelo concluso. La contemplazione dell'evento, di un Dio che si fa carne, non era stata per Giovanni una contemplazione astratta, teorica, confinata nella mente, quella carne lui l'aveva toccata.

Ricordiamo le parole di inizio della sua prima lettera che oggi abbiamo ascoltato: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò e noi e noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi".

L'annuncio viene da una esperienza viva, la testimonianza viene dall'aver udito e toccato. E in questo, lasciatemi dire, Giovanni ebbe una grazia particolare fra i dodici apostoli, lui fra i tre che Gesù volle sempre vicini e testimoni in momenti decisivi della sua vita, lui così intimo del Signore da chinarsi sul petto di Gesù a chiedere il nome del traditore nell'ultima cena, lui che sotto la croce raccolse l'ultimo desiderio del Signore che moriva, lui che nel vangelo viene spesso ricordato come il discepolo che Gesù amava.

Ma come, diremmo noi, non amava tutti il Signore Gesù? E qui si aprirebbe una lunga riflessione, perché a volte noi l'amore cristiano lo immaginiamo come una melassa grigia, indistinta, un po' anonima, uniforme. Come se non desse spazio a gradazioni di intensità e di passione, come se non avesse intimità diverse, colorazioni diverse. Un uguale indistinto, come se non ci fossero sfumature di amicizia. Uno scolorire dell'amicizia.

Certo Gesù amava tutti, eppure di Giovanni si dice: "Il discepolo che Gesù amava". Vorrei dirvi - non so se è corretto dirlo - ma vorrei dirvi che il Figlio di Dio anche in questo si è fatto uomo, sino ad assumere anche le gradazioni del nostro modo di amare, che non è un amare indistinto. Sino a vivere delle nostre amicizie. Sino all'intimità delle nostre amicizie. Di cui siamo grati a Dio come di una benedizione, una delle più grandi benedizioni.

Chiudo la parentesi per venire al brano di vangelo che oggi abbiamo letto, forse un'aggiunta al vangelo di Giovanni, dove ci è stato raccontato questo dialogo tra Gesù risorto e Pietro. Pietro che forse si porta dentro un'ammirazione, forse anche un grumo di invidia per il discepolo che Gesù amava, il discepolo che era rimasto sempre fedele al Maestro, lui no, l'aveva tradito.

Pietro dopo la profezia di Gesù sulla morte che gli sarebbe toccata, chiede a Gesù che ne sarà del discepolo che lui amava e Gesù risponde con una frase un po' sibillina: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi". E nel vangelo subito si aggiunge che la frase di Gesù va correttamente interpretata, perché Gesù non parlava di una sorta di immortalità riservata a Giovanni.

Forse dovremmo interpretare che secondo Gesù nella chiesa sino all'ultimo giorno sarebbe stata viva la testimonianza del discepolo che Gesù amava, viva la testimonianza finche lui, Gesù, avrebbe fatto ritorno. E noi ad attingere a quella testimonianza per essere vivi. Come non augurarci che a noi rimanga la passione sino all'ultimo giorno di dare testimonianza a Gesù e al suo vangelo? Per amore di questa terra, di questa umanità, per la convinzione che ci abita che il suo vangelo è un bene, è il bene, per noi, per l'umanità, per questa terra cha amiamo.

Parliamo di testimonianza, e voi mi capite, la testimonianza è una cosa viva, in movimento. La dottrina può essere ferma e anche immobile, ma la testimonianza va data dentro il muoversi della storia, dentro il mutarsi delle situazioni, dentro la diversità dei giorni. Il problema si ripropone ad ogni generazione ed è: come oggi - dico "oggi", dentro le mutate situazioni - dare testimonianza a Gesù e al suo vangelo? Perché se rimaniamo immobili, la testimonianza si ferma, finisce qui, oggi, non ha più un futuro. Dobbiamo interrogarci. Senza paura di innovare.

Innovare per passione, innovare per non fossilizzare Gesù e il suo vangelo. Alla chiesa italiana, riunita a convegno a Firenze lo scorso novembre, papa Francesco disse: "Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? - direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme". E aggiunse: "Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza.

Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L'umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l'allegria e l'umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura".

Come non pregare oggi, nella festa d San Giovanni, perché la memoria del discepolo che Gesù amava ci allontani sempre più da una fede pallida e avulsa dalla vita e ci avvicini sempre di più a una fede che tocca la carne, quella di Gesù, e anche quella di questa umanità con cui camminiamo?

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home