la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella prima Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano


14 febbraio 2016



 

 

Gl 2,12b-18
Sal 50
1Cor 9,24-27
Mt 4,1-11

Ho letto le parole del profeta Gioele, che la liturgia ripropone oggi, sulla soglia della Quaresima e da un lato mi si accendevano pensieri emozionanti, positivi, dall'altro pensieri un po' tristi, quasi una tentazione di rimpianto.

Pensieri emozionanti e positivi, perché, a fronte del nostro peccare e, di conseguenza, dell'invito a ritornare, a cambiare, a ravvedersi, che cosa ho trovato nel testo? Ho trovato come notizia consolante, promettente, capace di generare energie nuove, la notizia che a cambiare, a ravvedersi è Dio. Quasi a dire che la prima conversione è quella di Dio.

Sta scritto: "Chissà che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?" E' una domanda retorica, perché ci accompagna la certezza che lui è "misericordioso e pietoso, lento all'ira e grande di amore, pronto a ravvedersi riguardo al male". E lascia dietro a sé una benedizione. Notizia consolante.

Quale invece la notizia che rattrista? Nel brano del profeta l'invito alla conversione ha l'impronta della coralità, quasi fosse un tempo che raduna tutti: "radunate il popolo, indite un'assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti…". Se volessimo applicare l'immagine ai nostri giorni, ai giorni della quaresima, ditemi voi se il tempo cui diamo inizio oggi sarà evento di una coralità così piena, sarà evento di un popolo?

E allora come leggere il testo, oggi che la quaresima è diventata socialmente ininfluente o quasi? E mi sono detto: senza ripiegarci in geremiadi che non hanno futuro, forse potremmo parlare oggi di piccole coralità, di fratelli e sorelle con cui oggi - piccolo gregge - possiamo camminare sostenendoci nel desiderio di una conversione più vera, più viva, più intensa al vangelo.

Piccola convocazione anche questa che stiamo vivendo questa mattina, in cui ci comunichiamo questo desiderio e questo impegno. Desiderio e impegno che ci vengono ridestati anche dalla pagina del vangelo di Matteo. Dove Gesù - penso, tutti lo abbiamo notato - fa chiarezza. Fa chiarezza con il demonio.

La pagina sembra ricordarci che nessuno è esente dal confronto con la tentazione. Che sta nelle pieghe della vita di ciascuno, nelle pieghe della singola persona e nelle pieghe della società. E ne sentiamo i richiami. Perché le vere tentazioni, quelle importanti - non quelle cui abbiamo dato molta importanza, ma ne hanno meno per il vangelo - si segnalano come connotate da ambiguità.

Il racconto di Matteo ce lo ricorda: quanta ambiguità nella parole del demonio! A fronte, impressiona, affascina, il fare chiarezza da parte di Gesù, la sua libertà interiore. Di questo si sente bisogno, o forse potremmo dire che le persone, quelle più pensose, oggi sentono il bisogno. Un bisogno di verità, di far verità.

Matteo sente il bisogno di costruire questo midrash delle tentazioni e di collocarlo tra il Battesimo di Gesù e l'inizio della missione pubblica. Perché? Quasi volesse segnalare un bisogno, da parte di Gesù, di far chiarezza, di fare verità in se stesso, dentro un silenzio, dentro il silenzio immane del deserto, perché se non fai verità in te stesso, se non fai verità sul senso della tua missione, la tua "discesa in campo" non porterà salvezza, non porterà crescita di umanità, ma distruzione, crescita di disumanità.

Voi mi capite. Se sono luminoso quando esco, quando esco alla vita ogni mattina, porto luminosità, se sono limpido, porto limpidezza. Ma se sono ambiguo porto ambiguità, se sono corrotto, quando esco, quando esco ogni mattina, quando esco alla vita, porto corruzione. E allora la domanda, da vivere nel silenzio della Quaresima, è questa: per che cosa vivo, per che cosa esco alla vita ogni giorno, che cosa mi spinge?

Gesù è spinto dallo Spirito - racconta Matteo - nel deserto. Penso che lo Spirito non lo abbia condotto solo in luoghi, ma l'abbia condotto al superamento della prova. La prima prova è quella del deserto e parte dalla fame: "Se tu sei figlio di Dio, dallo a vedere: dì che queste pietre diventino pane".

Ma Gesù viene da un'esperienza che l'ha segnato: quaranta giorni di un altro nutrimento, nutrito di Parola di Dio. C'è necessità di pane, ma accanto c'è necessità di Parola di Dio. Quaresima come fare spazio a questa necessità! Ma, vorrei aggiungere, Gesù non accede a soluzioni miracolistiche per il pane: il pane dalle pietre, un pane facile, un pane per miracolo.

Il pane ha un sapore, un sapore buono, totalmente diverso, se ce lo siamo guadagnato, e noi ce lo guadagniamo con il nostro lavoro: "frutto della terra e del lavoro dell'uomo", diciamo nella messa. Insegnamento prezioso che mette l'accento sulla nostra responsabilità - non puoi caricare tutto sulle spalle di Dio - e contemporaneamente mette l'accento sul lavoro, sulla urgenza, oggi drammatica, che tutti abbiano un lavoro, che ognuno possa essere giustamente fiero di avere dato il suo apporto per il pane, il suo e quello dell'umanità.

La seconda prova, quella del tempio: "Se sei figlio di Dio, dallo a vedere gettandoti giù dal punto più alto del tempio". Voi mi capite, la tentazione della spettacolarità, delle masse in adorazione di tutto ciò che ha sapore di miracolo. La tentazione di stupire il mondo non per la nudità della fede, ma per la vistosità delle manifestazioni.

E Gesù esplicito: "Non mettere alla prova il Signore Dio tuo". Non mettere in gioco Dio. Che è altro e sta in altro. Non sta nelle apparizioni, sta nel quotidiano della vita, dove sperimentiamo la fatica di una crescita lenta, un passo dopo l'altro, una pietra dopo l'altra, a costruire dignità sulla terra.

La terza prova, quella del monte alto: "Tutte queste cose ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai". Il dominio, dominare dall'alto del proprio potere. E lui, Gesù, che si è fatto servo: "Sono venuto per servire e non per essere servito". Lui, Gesù, che vede nel dominio la grande tentazione che si infiltra silenziosa anche nei rapporti quotidiani.

L'altro in soggezione davanti a me, dipendente, strisciante? O l'altro libero? E noi, come Gesù, chiamati a lottare per un mondo di liberi, schiene dritte, davanti a chiunque, perché solo Dio, "lui solo adorerai, a lui solo renderai culto". Non vogliamo essere cortigiani di nessuno.

Non siamo schiavi, siamo figli. E lui, Dio, garante della nostra libertà. Una libertà di cui appassionarci. E da riconquistare. Nella nostra quaresima.

 

 


 
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