la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica di Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


15 maggio 2016



 

 

At 2,1-11
Sal 103
1Cor 12,1-11
Gv 14,5-20

Festa di Pentecoste, il compimento, Il compimento è questo soffio dello Spirito che raggiunge i volti, raggiunge la terra, la nostra terra. Natale e Pasqua portano qui, all'aperto, fuori dai confini. Oltre le parole. Se c'è un giorno in cui senti la povertà delle tue parole, a dire, a raccontare, è questo il giorno.

E voi perdonerete. Voi andrete oltre. Dietro le immagini che insieme abbiamo contemplato. Accade qualcosa di inimmaginabile. Mi sono chiesto: che cosa avranno immaginato i discepoli nella stanza al piano superiore, la stanza della cena, quando Gesù prometteva loro lo Spirito? Mi verrebbe da dire, forse sbagliando, che le parole di Gesù in quel discorso di addio, lasciavano nel cuore qualcosa di indefinito nei bordi: "Il Padre vi darà un altro paraclito perché rimanga con voi per sempre".

Ma che cosa sarebbe accaduto? Ora a pentecoste le parole della cena accadono, la promessa accade. In una concretezza del vivere. Pensate, quando diciamo Spirito, Spirito santo, ci sembra di dire il massimo dell'invisibile e invece ora a pentecoste accadono cose, accadono emozioni, accadono situazioni. Si mette in moto la creazione, la creatività. Ecco lo Spirito!

Accade qualcosa di inaudito nel luogo dove si trovavano tutti insieme, accade qualcosa di inaudito sulla piazza, piazza dalle molte genti. Per via dello Spirito che non è una realtà scialba, inerte. E' come vento che riempie una casa, che investe una piazza. Vento e fuoco.

Vorrei sostare sulla parola spirito che in lingua antica, ebraica, ha nome di "ruha", ed è parola femminile. Molto simile alla parola "respiro". Ti raggiunge, ti accompagna, ti conduce il respiro di Dio. La casa si anima, come se si infiammasse, le pareti non sono più gelide, di un gelido spento, c'è calore e colore di fuoco, di fiammelle.

E poi la piazza, i turbinio dei molti popoli, ma soprattutto quella festa che nasce dal capirsi, dal miracolo di una lingua buona, che non è fatta tanto di vocaboli, ma di accensioni, di comunicazione interiore. E' arrivato il respiro, il respiro di Dio. Che libera dagli imprigionamenti. Che solleva dalle situazioni opprimenti, che scioglie da frustrazioni. Si respira!

Casa e piazza si animano. Penso che ognuno di noi in cuor suo invoca questo respiro che riempia i polmoni, soprattutto in stagioni grigie in cui la sensazione prevalente è invece quella che manchi il respiro, ti tolgono il respiro, il respiro della vita. Vieni, santo Spirito! Respirare e far respirare sembra essere uno degli esercizi più urgenti e insieme uno dei meno praticati.

Manca l'aria. Mi viene spontaneo pensare che forse una delle accuse più tristi che potrebbero venirci dagli altri potrebbe proprio essere questa: "Tu mi togli il respiro". E uno dei complimenti più belli che potremmo attenderci dagli altri, potrebbe essere proprio questo: "Tu sei una donna, tu sei un uomo di grande respiro, con te mi sembra di respirare. Non mi intristisci, mi fai a poco a poco fiorire.

Come se ritrovassi in me, nel mio pozzo interiore, qualcosa di nuovo, tu soffi sull'acqua, nell'immagine, certo minuta, del soffio di Dio sule acque primordiali, quando per quel soffiare accadde la creazione. Un soffio da invocare per noi, per gli altri, per la terra. Vieni, santo Spirito!

E basta una fessura - vorrei dire anche questo - basta una fessura, basta la tua piccola fessura, perché il vento vi porti un seme, un pulviscolo generatore. E uno dice: "Non sarà mai di me! Sono come un selciato duro, non ci sono le condizioni, non ci sono le premesse". E invece è proprio qui, sta qui la meraviglia, la sorpresa, dello Spirito: basta la fessura, piccola crepa nel marciapiede della storia ed è avventura di piccole nascite.

Anche nei luoghi più periferici, quelli più abbruttiti, l'importante è crederci, credere alla potenza segreta dello Spirito. E invocarla. E' una fantasia inarrivabile. Noi ce ne andiamo per lo più senza attenzione. Eppure quando ce ne rimane un frugolo, spesso capita di rimanere con il fiato sospeso davanti all'epifania dei volti dei cosiddetti piccoli, vera epifania dello Spirito, del divino.

Vorrei sostare brevemente ora su quello che nel testo degli Atti potrebbe forse apparire come un segno di riconoscimento dell'accadere dello Spirito e mi affaccio sul dono delle lingue. Dono che non è di facile interpretazione, ma che ha, secondo il testo, come esito, esito felice, che persone e popoli si capiscono, ci si capisce.

Gli apostoli non erano forse galilei? "E come mai" ecco la domanda "ciascuno di noi sente parlare la propria lingua nativa?". Nella terra di Babele, dove l'ideale perseguito era la torre di controllo, nacque la confusione. Nasce sempre una babele dove il linguaggio della comunicazione assomiglia più a un blaterare che a un parlarsi, dove i toni sono arroganti e avvilenti, dove non si danno ragioni al pensare ma si danno spinte all'irrazionale, dove alla forza della ragione si sostituisce la ragione della forza, della prepotenza.

Sono piazze, a volte fisiche, e spesso, mediatiche, piazze dei fantasmi della paura, dell'annientamento dell'altro. Altro l'ideale della pentecoste, racchiuso nell'icona di un'altra piazza, quella di Gerusalemme al compiersi dei giorni di Pentecoste.

Ridisegniamo le piazze, nel segno dello Spirito. C'è da inventare una lingua nuova, comprensibile a tutti. Importanti le lingue che consentono affacci sull'altro, Ma c'è una lingua che va al di là dei diversi idiomi, la capiscono tutti: è il tuo modo di guardare l'altro, è il rispetto, il rispetto - un assoluto per te! - con cui ti affacci all'altro, è la tua sete - ne parlava oggi Paolo nella lettera - è la tua sete per il bene comune, una tua passione non equivocabile e non vendibile, la si percepisce: il bene comune.

Perché i migliori carismi se non hanno dentro questa passione diventano schizofrenici, schegge impazzite di sé, pretesti per un dominio. Questa è la nuova lingua. Il nuovo sta in questa nuova lingua. Lasciate che vi dica che l'affacciarsi nella vita di una lingua nuova ci fa avvertiti della presenza dello Spirito.

E a noi, proprio in forza dello Spirito, ci è dato di discernere. Non è forse vero che davanti a non poche esternazioni la sensazione più forte e quella forse anche più triste che avvertiamo è che ci troviamo di fronte a parole vecchie, logore, senza respiro di futuro, parole immobili, vecchie, mortifere. Lasciamole.

Andiamo per parole che fanno alzare il capo. Che fanno ardere il cuore. Che fanno camminare i sogni. Inseguendo l'icona della grande piazza, quella di Gerusalemme, quella della pentecoste. Vieni, santo Spirito!

 

 


 
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