la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nell'Ottava del Natale
secondo il rito ambrosiano


1° gennaio 2016



 

 

Nm 6,22-27
Sal 66
Fil 2,5-11
Lc 2,18-21

Iniziamo un anno. Lo iniziamo con questa nostra eucaristia che veglia sull'inizio. Forse ognuno di noi ha iniziato l'anno in modo diverso. Ma qui ci è chiesto di iniziarlo insieme, comunitariamente. Come comunità che si è data convocazione in una eucaristia. Voi tutti sapete che eucaristia significa ringraziamento. E allora diamo inizio all'anno ringraziando.

Ringraziano coloro che hanno occhi aperti, occhi che si interrogano, occhi che riconoscono i doni - riconoscenza -. Non ringraziano i distratti. Ringraziano i pastori che con i loro occhi sono andati oltre il buio della notte. Si interroga Maria, che conserva nel cuore le cose che accadono e cerca di capire: spossata dal parto, custodiva tutto dentro di sé, cercando un legame tra ciò che vedeva e ciò che un giorno aveva ascoltato, ascoltato dall'angelo: "Darai alla luce un figlio, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato figlio dell'Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre".

Sì, lei e Giuseppe chiamavano quel frugolo d'uomo col nome di "Gesù". Ma quanto all'Altissimo, più in basso di così! E quanto al trono, fissava con occhi teneri la mangiatoia. Cercava di legare le parole a ciò che vedeva, non era facile. Nemmeno per noi è sempre facile legare la parola di Dio a ciò che vediamo. Forse anche Maria si interrogava sull'identità di quel bambino che aveva messo alla luce. nella notte? Forse anche Giuseppe si interrogava. Penso che un po' tutti, madri e padri, si interrogano sull'identità del bambino quando nasce loro un figlio.

Che l'identità fosse in quel nome? Forse Maria se lo chiedeva, perché era stato l'angelo a portarle il nome. Oggi noi, quando si tratta di dare un nome a un bambino, glissiamo facilmente, superficialmente, senza troppo interrogarci, non facciamo congiunzione tra un nome e la missione di quel figlio.

Ebbene questo riferimento al nome mi è molto risuonato nel cuore leggendo i testi di questa nostra liturgia, tre testi a parlare del nome: quello di Luca che ci ha raccontato come all'atto della circoncisione, che immetteva un neonato nella storia di un popolo, al bambino fu dato il nome di "Gesù"; la lettera ai Filippesi a dire che, il suo Figlio morto di croce, Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome; e poi l'invito rivolto nell'Antico testamento ai sacerdoti: "Porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò".

Si tratta dunque per noi di capire, perché in quel nome sta una benedizione. E non è cosa di poco conto iniziare un anno dentro una benedizione. E allora, siccome il nome Dio non lo dà a caso, bisogna che noi partiamo dal significato. Il nome dato dall'angelo, il nome "Gesù", voi tutti lo sapete, significa "Dio salva". Ebbene forse che non ci commuove pensare che Gesù è stato per tutta la sua vita fedele al nome che portava? Quel nome è stata la sua vita. Lui è vissuto per salvare.

Pensate ai suoi incontri, fateli passare a uno a uno, pensate alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi sguardi: la sua passione era salvare. Dall'inizio alla fine. L'inizio dei segni per Giovanni fu alle nozze di Cana in Galilea, dove volle salvare la festa, salvare con il vino la festa di due giovani sposi. Lui voleva salvi tutti. Così sino all'ultimo: l'ultimo lo salvò sulla croce, dalla croce, era un malfattore, appeso come lui a una croce, gli disse: "In verità io ti dico: Oggi sarai con me in paradiso". Ultimo gesto, ha salvato. Era la sua vita, era la sua passione.

Ed è per questo - dice la lettera ai Filippesi - per questo che il suo nome è sopra ogni altro nome, perché gli importava degli altri: "svuotò se stesso assumendo una condizione di servo", "umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte di croce", "per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che al di sopra di ogni altro nome". Pensate, è, ancora una volta, la rivoluzione della categoria del "grande" e del "sopra".

Un teologo commentando questi versetti della lettera scrive che in Dio è avvenuto un terremoto, il terremoto in Dio. Sì, perché noi Dio lo sequestriamo nella categoria della potenza, della grandezza, dell'altezza. Si svuotò, si abbassò. E lo svuotamento cominciò nella nascita - dalla nascita alla croce -. E l'abbassamento fu sino alla morte, da malfattore, la morte di croce, l'abbassamento che era iniziato nella nascita.

Ma perché? Ma perché, solo se non ti tieni arroccato in te stesso, ami, veramente ami. Solo se non stai sopra, ma ti abbassi al viso dell'altro, ami, veramente ami. Se il volto di Dio che si è svelato in Gesù è il volto di un Dio svuotato, abbassato, voi mi capite, cambiano le categorie con cui guardare la vita e la storia.

Non pensate che su queste immagini di Dio si gioca anche la pace? In nome di un dio, svuotato, abbassato, tu non puoi fare la guerra o uccidere. Non puoi, come dice il Papa nel suo messaggio per la giornata della pace, non puoi vivere nell'indifferenza. Il suo messaggio inizia con queste parole che riguardano Dio, parole che poi Francesco declina per noi: "Dio non è indifferente! A Dio importa dell'umanità, Dio non l'abbandona". Vinciamo dunque l'indifferenza, a noi importa dell'umanità, a noi importa di ogni persona, vicina o lontana, di ogni realtà, vicina o lontana. A noi importa.

"Il volto di Gesù" disse il papa a Firenze "è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto". Questo è il nome di Dio e questo è il volto di Dio, che suona benedizione per questa nostra terra, all'inizio dell'anno nuovo. Germe di salvezza per questa terra. Nasce di qui la pace: da un Dio cui importa dell'umanità.

Siate testimoni del "Dio cui importa dell'umanità", del suo volto: "Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace".

 

 


 
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