la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica delle Palme
secondo il rito ambrosiano


20 marzo 2016



 

 

Zc 9,9-10
Sal 47
Col 1,15-20
Gv 12,12-16

Che cosa possiamo augurare a noi stessi all'inizio di questa settimana che chiamiamo santa? Che cosa, in sincerità? Perché un pericolo, che sento, reale per me - non so se anche per voi - è di dare nomi che restano nomi: di dare nome di "santa" a una settimana che resterà come tutte le altre.

Vorrei che non fosse così! E allora mi chiedo se c'è un punto prospettico da cui guardare, dal quale affacciarmi per capire. Sento anche questo pericolo, in agguato: quello di non capire. Perché non mi sento molto migliore, anzi non mi sento affatto migliore né diverso dai personaggi che fanno da cornice all'episodio della cena di Betania.

Già mi è capitato di far notare come la nostra liturgia ambrosiana in questa domenica si distingua - e per una volta è una felice distinzione - dalla liturgia romana universale: anziché il racconto della Passione ecco il racconto della cena di Betania. Con ombre e luci. Forse più ombre che luci. Ma non è così anche del racconto della Passione di Gesù?

Come sapete, ogni brano di vangelo ha la possibilità di scavi diversi, molteplici. Quest'anno, soffermandomi sul testo, mi ha molto colpito la solitudine, la solitudine di Gesù, una solitudine rotta da poche presenze. Siamo sei giorni prima della Pasqua, la vita terrena di Gesù va verso l'approdo. E' alle porte la morte! Gesù sembra averne lucida coscienza, tant'è che al gesto della donna dà un'interpretazione, quasi di un anticipo: il profumo di cui lo ha inondato è anticipo del profumo di cui lo si avvolgerà nella sepoltura. E le domande ritornano al cuore.

Battono al cuore di Gesù, ma ribattono anche al nostro cuore. Sta per finire la sua missione sulla terra. E chi lo ha capito? Con chi alla fine si ritrova? Quella cena, se la interroghiamo da questa prospettiva, è da un lato tenera, ma dall'altro anche inquietante. E' una cena per festeggiare, ma - riconosciamolo! - da un certo punto di vista sono più le ombre che le luci. Come se Gesù fosse circondato, e siamo alla fine, da gente che non capisce.

La folla? Vengono per vedere il taumaturgo. I discepoli? Fanno questione di soldi, ce l'hanno con l'amica di Gesù che ha speso una cifra per quel profumo, una cosa per loro insopportabile, un insulto - così lo giudicano - alla povertà. I capi? Le autorità? Il loro rovello è come trovare un espediente per ucciderlo. Questa è l'aria che si respira. Che Gesù respira.

Penso che non siamo molto lontani dal vero immaginando che forse una domanda in quei giorni l'avrà sfiorato: per chi e per che cosa era venuto, vissuto? Per chi e per che cosa ora andava a morire? In questo senso potremmo recuperare in tutta la sua drammaticità la figura del servo di Jahvè che ci è stata presentata questa mattina dal libro di Isaia: uno che ha preso su di sé la sorte di tutti, ebbene uno da cui si gira via la faccia. Eppure.

Sì, "eppure", proprio dentro queste ombre fosche e pesanti, soffocanti, si fa strada e balena una luce. La luce di chi sembra prendersi cura di una solitudine. Con un gesto che riconosce, che riconosce che cosa abita il cuore del rabbi di Nazaret. Riconoscimento estremo: il riconoscimento da parte di Maria, l'amica di Betania, sei giorni prima della Pasqua; il riconoscimento da parte del centurione pagano sotto la croce; il riconoscimento da parte del ladrone appeso con Gesù alla croce.

Nella solitudine estrema, nella incapacità e ottusità degli umani a capire, nel fraintendimento più ignobile, ecco lembi di luminosità, squarci di tenerezza. Uno su tutti il gesto della donna, il suo gesto che, con la follia di quel profumo costosissimo, sembra voler allontanare il cattivo odore della morte.

Il cattivo odore della morte cui aveva fatto cenno Marta, la sorella, poco fuori del sepolcro, quando aveva tentato di resistere all'ordine di rimozione della pietra, dicendo: "Già manda cattivo odore!". Vince la follia del profumo. E vengo a noi, perché nella storia di Maria di Betania si apre come una fessura dalla quale intuire la suggestione di un percorso, che ci può portare più vicino al mistero degli eventi che celebreremo in questa settimana.

Che cosa ha colto Maria? Perché questo capirsi immediato tra lei e Gesù? Con l'ordine perentorio di Gesù di lasciarla fare e che non le creino fastidi? C'è come una complicità che Gesù rivendica e difende. In che cosa complici? E' come se fossero sulla stessa lunghezza d'onda. Lei con quel profumo, con quell'olio prezioso sembra consacrare il suo amico, consacrarlo come Messia.

Consacrarlo non nell'immagine potente, vincente, dominante, che ancora imperava nel cuore di discepoli e di oppositori. Lei lo riconosce nell'immagine di chi si dona come profumo. Il Messia non è sul trono, non è il Messia delle grandi convocazioni, non è nel segno di un Dio onnipotente, maestoso, estraneo alla sofferenza degli umani. Dio è altrove.

Voi mi capite, ci vogliono occhi che riconoscano Dio, il suo messia, il suo messaggio lungo strade diverse, che sono l'opposto. E che suonano scandalo. Perché scandalo è un messia che va a morire, scandalo - ma noi ci abbiamo fatto l'abitudine - scandalo è un Dio crocifisso.

Scandalosa questa congiunzione, su cui spesso, troppo spesso, per colpevole abitudine, sorvoliamo, la congiunzione "Dio"-"crocifisso". Ebbene è la congiunzione che Maria riconosce, un Messia da onorare nella sua morte con il profumo della dismisura. Il suo amico non aveva raccontato Dio a partire dall'onnipotenza o maestosità, aveva per tutta la vita raccontato Dio - e lo stava per raccontarlo in pienezza - immergendosi nella storia degli umani, nell'avventura delle loro vite sino a condividerne i giorni più inquieti e drammatici, i giorni della loro solitudine.

Solitudine estrema la morte. E allora ritorna la domanda: "Come vincere l'odore della morte, il cattivo odore della morte?". E solo che restassimo un attimo a pensarci, quanto cattivo odore registreremmo. Di quante cose potremmo dire che non profumano lontanamente di bene e di vita, ma di morte! Come vincere il cattivo odore della morte?

Con il gesto di Maria. Il cattivo odore della morte lo allontani così: entrando in sintonia, uscendo dalle parole - non un sola parola di Maria nel racconto - prendendoti cura di una solitudine. E anche a proposito di solitudine, quanti segni dovremmo riconoscere nella stagione che ci è dato di vivere. Una settimana, quella santa, per scoprire il profumo che cancelli il cattivo odore della morte.

Lo Spirito che è luce ci accompagni in questi giorni.

 

 


 
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