"Ad Deum qui laetificat juventutem meam"

 

Omelia di don Angelo
nell'Eucaristia celebrata in occasione del suo 80° compleanno.
Parrocchia di S. Giovanni in Laterano, Milano

9 maggio 2011



 

 

 

Penso che voi perdoniate le mie sconnessioni di questa sera, dovute oltre che alla mia età anche all'emozione di rivedervi. Stiamo celebrando un'eucaristia e il ringraziamento va in primis a Dio per la parola e per il pane, che ha sostenuto e sostiene il mio, il nostro cammino. Ma anche a voi. A Don Giuseppe e a tutti voi, parte del mio cammino, anche voi parola e pane del mio camino.

Mi rivedo bambino di nove o dieci anni uscire di casa presto al mattino, girare l'angolo di via Plinio e prendere per via Noë, verso la chiesa di S. Giovanni in Laterano, dove ero atteso come chierichetto per la prima Messa del mattino. Ad attendermi preti dalla lunga talare nera e un sagrestano, l'Enrico, che, anche quando nel servizio mi capitava di sbagliare, mi guardava con occhi affettuosi.

Delle Messe che allora andavo a servire, mi è rimasto stampato nella memoria, l'incipit di un dialogo tra prete e chierichetto in latino, ai piedi dell'altare, allora saldamente ancorato alla parete dell'abside.

"Introibo ad altare Dei" diceva il vecchio parroco chino al'altare, mentre io in ginocchio, un po' timoroso agli inizi, sbirciando in su gli rispondevo: "Ad Deum qui laetificat juventutem meam". "Mi accosterò all'altare di Dio, al Dio che rallegra la mia giovinezza"

Mi sorprendeva allora che quelle parole fossero in dialogo con il mio vecchio parroco, che, dopo tutto, mi dava proprio l'impressione di attribuirsele. Di attribuirsi la giovinezza e la gioia. Come dono che gli veniva a ottant'anni dall'alto.

Oggi sono qui a chiedermi se la mia fede è legata a giovinezza, alla novità, al rinnovarsi, al "non codificato" e se, nel caso mi rivenisse proposto quel sussurro di dialogo in latino, la risposta "A Dio che fa lieta la mia giovinezza", non sarebbe di menzogna. Per mancata corrispondenza alla realtà della mia vita. Oggi quel vecchio prete sono io. Oggi sono qui a chiedermi dove sono i segni della giovinezza e della gioia nella mia vita. Oggi che ho svoltato l'angolo e sono ottant'anni.

C'è una religione del codificato e una religione della giovinezza. Una contrapposizione che ritroviamo nel brano di vangelo che insieme questa sera abbiamo ascoltato.

Le parole di Gesù, che questa sera abbiamo ascoltato, sono dentro un contesto, che è opportuno, a mio avviso, richiamare. Sono parole di replica. A chi? A un gruppo di dirigenti, dirigenti giudei. E' scritto infatti: "Per questo i dirigenti Giudei cominciarono a perseguitarlo, perché compiva tali cose in giorno di riposo".

Che cosa aveva mai fatto Gesù? Là, alla porta delle Pecore, là sotto i portici dove si radunava una gran folla di infermi, ciechi, zoppi, paralitici in attesa che l'acqua miracolosamente ribollisse per esservi immersi e guarire, aveva intravisto un povero diavolo, malato da trentotto anni che non aveva mai avuto la fortuna di avere qualcuno che lo immergesse per primo nell'acqua, sempre superato da un altro. E Gesù preso da compassione aveva detto a quell'uomo sconsolato: "Alzati prendi la barella e cammina" E all'istante quell'uomo guarì, prese la barella e cominciò a camminare. Quel gesto attestava la sua appartenenza a Dio. Non aveva forse letto Gesù nelle Scritture Sacre che Dio fa camminare, che Dio rialza chi è caduto, che Dio ha occhi per coloro che nessuno difende? Ebbene Gesù fissava gli occhi sul Padre e faceva quello che fa il Padre.

Come se ci fosse uno specchiamento perfetto tra Padre e Figlio. Potremmo dire che Gesù rivendica che l'immagine, l'unica vera di Dio, è in consonanza perfetta con quel gesto che lui ha fatto di sollevare quell'uomo in giorno di sabato, in giorno di riposo. E se loro gridano alla scandalo è perché hanno una immagine distorta di Dio: per loro Dio è il Dio delle codificazioni, il Dio da imbonire con le nostre osservanze, un Dio padrone da servire come schiavi, il Dio padrone.

Il Dio che Gesù predica, e non solo a parole ma con quello che fa, è un Dio non padrone, ma padre, un Dio che ha cuore per ognuno di noi. Ha cuore e si appassiona soprattutto per le categorie più deboli dell'umanità. Ricordate? Il Dio. difensore degli orfani, delle vedove, dello straniero. Invece loro pensano a un Dio dei precetti, per il quale le regole valgono più della vita, più della vita di un uomo o di una donna.

"Ma leggete le Scritture" sembra dire Gesù "leggetele: se Dio è il difensore dei poveri, se Dio ai riti preferisce la cura dei deboli, come fate a menar scandalo su di me, che non faccio altro che realizzare le opere che lui, come padre vuole, queste!

Se voi mi chiedeste: dopo ottanta anni che cosa rimane? Anche per quanto riguarda la fede, tante cose, tante complicazioni inutili sono evaporate. Che cosa rimane?

"Guardate a lui" diceva oggi il salmo "e sarete raggianti". Guardate a Gesù, a lui, lui continua le opere del Padre. Facciamo come lui e sulla terra saranno prolungate le sue opere, quelle del Padre.

Perché proprio qui sta la sorpresa: che tu sei invitato a guardare Dio e di che cosa ti accorgi? Che lui guarda questa nostra umanità e ti riconduce con gli occhi alla umanità. "Gli occhi del Signore" continuava il salmo "sui giusti, i suoi orecchi al loro grido di aiuto Gridano al Signore ed egli li ascolta. Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti, molti sono i mali dei giusti ma da tutti li libera il Signore". E dunque i tuoi occhi come quelli di Dio, di Gesù, i tuoi orecchi come quelli di Dio, di Gesù. Forse potremmo continuare pensando ai piedi e alla mani di Gesù. Le tue mani? Come quelle di Gesù, I tuoi pied? Come quelli di Gesù.

Anche a ottant'anni, io penso,non avremo finito di chiederci questo: dove vanno i miei occhi, dove i miei orecchi, dove le mie mani e i miei piedi? Il mio cuore? Dove andavano quelli di Gesù? Mi viene da dire che saremo giovani fin quando sapremo chiederci questo.

 

 

 


 
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