la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nell'ottava Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


10 luglio 2016



 

 

1Sam 8,1-22a
Sal 88
1Tim 2,1-8
Mt 22,15-22

La domanda era politica: "Dì a noi il tuo parere: è lecito o no, pagare il tributo a Cesare?"...
Le situazioni politiche non sono mai semplici. Né semplici sono le risposte. Non solo ai tempi di Gesù, ma anche ai nostri tempi. Anche oggi sono in agguato malizia e ipocrisia, ammantate a volte di professioni devote, professioni che apparentemente sono di grande stima, ma poi ti pugnalano alle spalle.

Lodi sperticate: "Maestro sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno". Riconoscimento assoluto, ma la domanda era semplicemente domanda trabocchetto che aveva un unico fine, quello di mettere Gesù in discredito tra le varie fazioni politiche del tempo, tra i farisei più determinati in una opposizione al potere romano e gli erodiani più inclini a una collaborazione.

Gesù non risponde direttamente; vuole che gli presentino una moneta del tributo su cui è scritto: "Tiberio Cesare, figlio del dio Augusto", e ribatte con una domanda: "Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?". Gli rispondono "Di Cesare". Disse loro: ""Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".

Le parole sono diventate famose. Ma corrono un rischio: quello che suonino quasi come uno slogan, di cui riempirsi disinvoltamente la bocca ogni volta che si affaccia il problema dei rapporti tra lo stato e la chiesa, tra l'autorità politica e i cristiani. Quasi si dicesse: ci sono due ambiti, quello della politica e quello dello spirito, ognuno arbitro nel suo campo!

Ma cerchiamo, se ci riesce, di approfondire. Innanzitutto che cosa significa: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare". "Rendete": ciò che spetta all'autorità, le va reso. Ma la domanda, che subito insorge - voi mi capite - è: che cosa appartiene all'autorità? Potremmo rispondere che le appartiene la politica, se non fosse che questa parola, "politica", si è caricata delle più gravi ambiguità.

Ma andrebbe recuperata - e sarebbe urgente nella nostra stagione - recuperata nel suo significato originale di cura della polis, cioè della città, della città dell'uomo. Questo spetta all'autorità politica. E non possiamo, se non ingenuamente, pensare di non averne bisogno. Che cosa significa questo? Che lo stato, l'autorità politica è assolutamente necessaria per la vita della polis.

La città, abitata dagli uomini e dalle donne, ha bisogno di ordine, di legalità, di giustizia. Abbiamo bisogno, un estremo bisogno di donne di uomini che si occupino con onestà e competenza della cosa pubblica. In questo orizzonte possiamo leggere l'invito di Paolo a pregare per quelli che stanno al potere "perché - dice - "possiamo condurre una vita calma e tranquilla dignitosa e dedicata a Dio".

Questo l'orizzonte, che spetta all'autorità, quello del bene comune: chi sta al potere può esigere ciò che si iscrive nell'orizzonte della cura della città degli uomini. In agguato purtroppo - e la Bibbia ce ne fa avvertiti - è il rischio ricorrente della degradazione della politica. Ce ne parlava il libro di Samuele raccontando dei figli di Samuele, che, eletti giudici, dimentichi delle orme del padre - è scritto - "deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto".

Sembra di leggere una pagina di cronaca dai quotidiani dei nostri giorni, dove quasi non passa giorno in cui non si debbano registrare notizie di tangenti, di corruzione, di illegalità. L'autorità politica vissuta come un approfittarsi. Dio intendeva aprire gli occhi al suo popolo, che chiedeva un re, un re come lo avevano gli altri popoli. Attenzione - diceva - perché un re, una autorità, può concepire il potere come un "prendere": prenderà i vostri figli, le vostre figlie, i vostri campi, i vostri oliveti, li darà ai suoi ministri.

Ecco il degrado della vita politica, la perversione di una cosa nobile come dovrebbe essere la cura e la costruzione della polis, della città degli uomini. Ebbene, mentre dobbiamo denunciare senza sconti la corruzione, non dovremmo - mi chiedo - per debito di verità, dare anche riconoscimento a coloro che con professionalità rigorosa e con limpida onestà si impegnano con passione in questo campo così rischioso?

Ma non possiamo dimenticare che Gesù va oltre la domanda sul tributo da rendere a Cesare, e aggiunge: "rendete a Dio ciò che è di Dio". Ma che cosa è di Dio? Ebbene di Dio è la persona umana. Immagine di Dio, secondo il libro della Genesi, è ogni uomo, ogni donna, fatti a immagine di Dio.

E' bellissimo ed è rivoluzionario, anche nella sfera politica, il messaggio di Gesù. Non è Cesare l'immagine di Dio. L'immagine di Dio non è legata al fatto che uno conta o non conta, che uno ha mezzi o non ha mezzi, che uno ha potere, protezioni o non li ha che uno è italiano o nigeriano.

Di Gesù è scritto che "non guardava in faccia nessuno". Lui guardava l'immagine di Dio in ognuno. Basta il fatto di essere una persona e Dio ne è il garante. Rispetta la sua immagine. Che ogni donna e ogni uomo siano onorati! E' così che si onora Dio. Che ogni donna e ogni uomo siano difesi! E' così che si difende Dio.

Anzi, starei per dire, è proprio quando tu onori chi nella vita non è onorato, quando tu difendi chi nella vita non è difeso, quando dai dignità a chi non ha dignità, che tu dimostri che i tuoi occhi - al di là del colore della pelle, al di là della cultura o della religione - vanno all'immagine di Dio che vive nell'altro. A prescindere. A prescindere da tutto. Rendete a Dio ciò che è di Dio.

 

 


 
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