la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella settima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


3 luglio 2016



 

 

Gs 24,1-2a.15b-27
Sal 104
1Ts 1,2-10
Gv 6,59-69

Siamo invitati, direi quasi sollecitati, quasi sospinti, a una scelta, a una scelta di libertà. Dio crede nella nostra libertà. Vuole che siamo coscienti. Anche nel servirlo, anche nel seguirlo. Al popolo, convocato in assemblea a Sichem, Giosuè in modo netto chiede una scelta, una scelta di libertà: "Sceglietevi oggi chi servire: se gli dei che i vostri padri hanno servito oltre il fiume oppure gli dei degli Amorrei che nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore".

Come se dicesse: "Decidete!". E, dopo una loro prima professione di volontà di servire il Signore, insiste, quasi dicesse: "Ne siete proprio sicuri?". Anche Gesù, nel brano di vangelo che oggi abbiamo letto, spinge a una scelta. E' scritto che da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?".

E una cosa sembra di capire, che la scelta non è fatta una volta per sempre: "Sceglietevi oggi chi servire". Oggi. Oggi che siete a contatto con altri dei, oggi che vedete il gruppo assottigliarsi. Non basta un'abitudine, una consuetudine, un rito ripetuto: "abbiamo sempre fatto così". Non basta. Non basta perché le abitudini, le consuetudini possono nascondere cedimenti, più o meno consapevoli, a quelli che Giosuè chiama "gli dei degli stranieri".

Ecco l'invito: "Eliminate allora gli dei degli stranieri che sono in mezzo a voi e rivolgete il vostro cuore al Signore, Dio d'Israele". Può avvenire una contaminazione, una contaminazione da idolatria: rischiamo di essere contaminati dagli idoli del nostro tempo. Un rischio allora, un rischio oggi.

Ricordo che In una sua omelia del mattino, a Casa Santa Marta, Papa Francesco metteva in guardia da una lettura ingenua delle idolatrie che ci porterebbe a dire un po' troppo frettolosamente che noi - evviva! - idolatri non siamo. "Io sono sicuro - diceva - che nessuno di noi va davanti a un albero per adorarlo come un idolo, che nessuno di noi ha statue da adorare in casa propria". Ma "l'idolatria è sottile; noi abbiamo i nostri idoli nascosti, e la strada della vita, per non essere lontani dal Regno di Dio, è una strada che comporta scoprire gli idoli nascosti" (6 giugno 2013).

E tra le idolatrie l'accento va sull'idolatria del denaro, cui possiamo aggiungere l'idolatria di noi stessi, del nostro successo, del nostro privato, del consenso altrui, della sicurezza nostra e non degli altri, del bene nostro e non del bene comune. E potremmo continuare. Gli idoli del tempo. Che si possono insinuare anche in noi che abbiamo fatto la professione di servire il Signore. Che frequentiamo le chiese. Io per il primo! Le idolatrie, vorrei aggiungere, se le osservi da vicino - che lo riconosciamo o no - hanno il triste potere di renderci schiavi.

E' interessante notare come già il popolo, convocato da Giosuè a Sichem, messo di fronte all'alternativa, riconoscesse in questo la differenza tra gli dei degli stranieri e il Dio d'Israele: Il Dio di Israele è un Dio della libertà, a differenza degli dei degli stranieri che ti riducono a vassallo, vassallo di uomini e di cose, schiena piegata, schiavo.

"E' il Signore nostro Dio" dice il popolo " che ci ha fatto salire noi e i nostri padri dalla terra di Egitto, dalla condizione servile, egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino…". Bellissimo, scegli un Dio che fa salire, che non soffoca, un Dio che ci vuole liberi. Liberi da ogni forma di condizionamento, di sottomissione, di dipendenza.

Il rifiuto delle idolatrie è la garanzia ed è anche il prezzo della nostra libertà. Ce ne rimane ancora o no? Io mi entusiasmo - ma immagino anche voi - quando nella vita, quella di tutti i giorni, mi capita di incontrare persone libere, schiene diritte, resistenti alle seduzioni mondane.

Certo, c'è un prezzo: è quello della libertà. Della vita. Della vita che non sia una finta di vita. "Volete andarvene anche voi?". Ma a quale prezzo? Pietro risponde: "Da chi andremo tu hai parole di vita eterna". Come dicesse: "Nelle tue parole respira la vita". Ed è ciò - lasciatemi dire - è ciò che purtroppo non avevano capito quelli che tornavano indietro e non andavano più con Gesù. "Tornavano indietro".

Mi colpisce il verbo: una sorta di regressione. Che può capitare anche a noi. Dovuta a un grave fraintendimento, che nel brano di Giovanni è registrato e mi ha fatto molto pensare: Gesù nella sinagoga di Cafarnao aveva cercato di allargare gli orizzonti dei discepoli, che si erano come chiusi sul prodigio della moltiplicazione dei pani. Lui a parlare di un altro pane, a dire che il pane era lui, che dovevano assimilare lui, lui e la sue parole, la sua vita.

Risposta. "Questa parola è dura. Chi può ascoltarla?". E Gesù sembra ribattere all'accusa di durezza rivolta alla sua parola: "Le parole che io vi dico" ribatte" sono spirito e vita". Sono vento e vita. Lasciatevi condurre. Aprono cammini. Non so se ha colpito anche voi questo verbo, più volte ripetuto nel Vangelo di oggi, un verbo che dice, con un'immagine viva, non pallida, che cos'è la fede: il verbo "andare", "camminare".

Riascoltiamo: "Da allora molti dei suoi discepoli se ne andarono indietro e non camminavano più con lui. Disse allora Gesù ai dodici: "Volete andarvene anche voi?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".

Noi abbiamo di molto impoverito l'immagine della fede, identificandola prevalentemente in un insieme di parole, di dichiarazioni, di proclamazioni. È pallida questa immagine. Dice poco, a confronto di quella evangelica: "andare dietro Gesù". Camminare dietro le parole di Gesù che "sono spirito e vita"! E in effetti - confessiamolo - ogni volta che apriamo il Libro, il Vangelo, è come una boccata d'aria fresca dentro l'afa, l'afa pesante dei soliti discorsi scontati che brillano per la loro ovvietà, discorsi sfioriti in un giorno, impalliditi nel giro di una settimana.

"Le mie parole sono spirito e vita". C'è dentro un vento, un vento creatore, che ti rigenera, che suscita energie nuove, che apre cammini. Da chi andremo?

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home