la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quinta Domenica di Avvento
secondo il rito ambrosiano


13 dicembre 2015



 

 

Is 30,18-26b
Sal 145
2Cor 4,1-6
Gv 3,23-32a

La liturgia oggi ci ripropone una pagina di vangelo su cui abbiamo sostato nell'ultima domenica di agosto, ce la ripropone nella luce dell'avvento. Di cui il Battista è figura luminosa. Nei giorni in cui veniva scritto il vangelo di Giovanni ancora era dato incontrare gruppi o comunità di discepoli del Battista che erano fermi nel riconoscere nel loro maestro, e non in Gesù, il Messia.

Questa disputa l'abbiamo colta nel brano che oggi abbiamo ascoltato, dove si racconta di discepoli di Giovanni che sono in subbuglio perché si accorgono di un fatto nuovo: anche Gesù battezza, non solo Giovanni; e "tutti accorrono a lui". E lo vanno a riferire al Battista. Diremmo, scandalizzati dalla cosa. Che per loro è inquietante. Giovanni non fa giri di parole. Non se lo ricordano che già in passato senza un minimo di esitazione aveva loro detto che non era lui il Messia, ma solo uno che prepara la strada? Che anzi ciò gli dà gioia, come ha gioia l'amico dello sposo che organizza la festa allo sposo.

E' come se Giovanni precisasse con molta chiarezza l'orientamento. A chi orientarsi, a chi volgere lo sguardo, a chi dedicare la vita? Ebbene penso che il pericolo di dare importanza, anche per quanto riguarda la fede, ad altro o ad altri, non fu un pericolo solo per la generazione dei discepoli del Battista. Siamo così sicuri che non possa succedere anche oggi là dove nella devozione popolare certe figure di santi sembrano ricevere più attenzione di Gesù stesso o certi messaggi di rivelazioni private sembrano ricevere più attenzione dello stesso Vangelo?

Giovanni dice con fermezza a chi dobbiamo guardare. E a lui fa eco Paolo nella lettera ai cristiani di Corinto. "Noi infatti" scrive "non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi siamo i vostri servitori a causa di Gesù". Come dicesse il nostro compito in mezzo a voi, la nostra missione, la nostra passione è che voi siate intimamente convinti che la gloria di Dio risplende sul volto di Gesù.

In questa luce vorrei riprendere un passaggio del rotolo di Isaia che oggi abbiamo letto. E' una promessa. Anche per i giorni di afflizione e di tribolazione. Eccola: "Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: 'Questa è la strada, percorretela' caso mai andiate a destra o a sinistra". Vorrei riprendere brevemente l'immagine del maestro, il maestro da guardare, da ascoltare e l'immagine della strada, la strada da cercare, da percorrere. Gesù è il maestro. E ci ha messo anche in guardia dall'appropriarci con presunzione di questo titolo, quello di "maestro", con il rischio che abbiamo corso di creare anche all'interno della chiesa un fossato tra chiesa, così si diceva "docente", che fa da maestra e chiesa "discente", una chiesa che impara.

In qualche modo scordando le parole di Gesù. Chiare nel vangelo di Matteo. Chiare, troppo chiare, e troppo dimenticate. Eccole: "Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo" (Mt 23,8-11).

Parole chiare, queste di Gesù, parole - dobbiamo dirlo - che gli sono costate la vita perché andavano a detronizzare le autorità religiose del tempo, che avevano costruito un potere sulle coscienze. E Gesù a smascherarle, senza timore della loro reazione: "Sulla cattedra di Mosè" diceva " si sono seduti gli scribi e i farisei… dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito" (Mt 23,2-4).

Penso sia una dimensione da recuperare, una dimensione bellissima, questa, di sentirci tutti discepoli nella chiesa, dal primo all'ultimo. Tutti, come dice Gesù, fratelli. L'altra immagine che abbiamo trovata nel libro di Isaia è quella della strada, che è bello attribuire a Gesù: il Battista lo indica come una strada. Era scritto in Isaia: " i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: 'Questa è la strada, percorretela' caso mai andiate a destra o a sinistra".

Perché Gesù - permettete che mi esprima così - è un maestro itinerante, è maestro e strada insieme. Non è un maestro installato come gli scribi e i farisei, loro si sono installati nel loro ruolo e nel loro potere. Gesù è un maestro che cammina, un maestro per le strade, ma soprattutto è lui una strada, è una strada con la sua vita.

A differenza di coloro che sono diventati cariatidi con l'immobilità dei loro pensieri e del loro stile di vita. Tu ascolti Gesù, le sue parole, c'è vento nelle sue parole, c'è vento nei suoi occhi ed è come se ti si aprisse una strada. Una strada da percorrere. Non ha lasciato suoi scritti. Nel vangelo non si parla di lui che scrive, se non di un giorno in cui scrisse - e non sappiamo che cosa - sulla sabbia: stava piegato a terra e dal basso guardava con tenerezza, con tenerezza infinita, una donna adultera, che sembrava un pulcino spaventato sotto gli occhi spietati, senza pietas, dei suoi implacabili accusatori.

Nessuno sa che cosa scrisse, erano le parole dei suoi occhi, parole affidate al vento, che non potevano essere imprigionate in un pulviscolo di segni. Il vento soffiò sulla sabbia e si prese le parole, quelle scritte sulla sabbia. Ma non si prese le parole scritte nei suoi occhi, nel suo sguardo. Maestro e strada. Maestro con i suoi occhi. Un lago di misericordia.

 

 


 
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