la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quinta Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


24 aprile 2016



 

 

At 4,32-37
Sal 132
1Cor 12,31-13,8a
Gv 13,31b-35

Nel brano di vangelo che oggi abbiamo ascoltato penso che tutti voi abbiate colto assonanze, in alcuni passaggi persino le stesse parole, con il vangelo della scorsa domenica. Per esempio nel comando di Gesù: "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri".

Vorrei indugiare nella mia riflessione sulla concretezza dell'amore, e sull'amore come segno di riconoscimento. Innanzitutto sulla concretezza. E vorrei partire dalla concretezza del cercare: "Voi mi cercherete, ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire". Sembra paradossale parlare della concretezza del cercare: "Mi cercherete".

Pensate alla bellezza di questo verbo "cercare", che è il verbo del desiderio. Desiderio sì anche delle cose, cercare cose; ma desiderio soprattutto dell'altro, dell'altra, cercare l'altro, cercare l'altra; e, insieme, desiderio di Dio, cercare Dio. Nel salmo leggiamo: "Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto".

Ebbene desiderare - potremmo dire - è un'arte da apprendere. Lo sottolineava in una sua riflessione Enzo Bianchi il priore di Bose. Noi a volte confondiamo il desiderio con il bisogno. Il bisogno dice il "tutto subito". Avere, possedere; e bruciare tutto subito. E subito - se ci pensate - viene spento il desiderio.

Che, al contrario, significa custodire nella vita un'attesa, una ricerca; uno stupore che non finisce. Basterebbe riandare all'esperienza degli innamorati che si cercano, si perdono e si ricercano. "Voi mi cercherete". "Chi non desidera" dice Enzo Bianchi " è un morto, non è più un vivente secondo la Bibbia. L'atarassia, l'impassibilità non sono virtù cristiane né bibliche!".

Come a dire che una persona o è un uomo dai desideri grandi, una donna dai desideri grandi o non è . Sino a ad arrivare al desiderio di Dio. Avviene come avviene per gli innamorati: lo si cerca, lo si perde, lo si ricerca. " Voi mi cercherete". E Gesù parlando di sé accenna a una distanza, una distanza che nella vita noi non potremo mai colmare, cancellare: "Dove io vado, voi non potete venire".

Ma aggiunge: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri". Quasi a dire: riempite la distanza, la nostalgia del mio volto, in questo modo concreto, amandovi gli uni gli altri. Con la concretezza dell'amore, della carità, parola su cui abbiamo a volte equivocato, riducendo la carità a elemosina: fate la carità, fate l'elemosina.

Parola questa "carità" che invece tiene tutto l'orizzonte dall'amore: fate la carità, portate amore. Un invito, a non sfuggire alla concretezza, lo abbiamo tutti notato nel brano della lettera ai Corinzi. Là dove notiamo un Paolo consapevole del pericolo - lo avvertiva nella comunità di Corinto - il pericolo della vanificazione della fede, una fede estatica, una comunità dove si proclama, dove ci si vanta dei propri carismi, ci si esalta.

E Paolo richiama con forza al carisma che supera tutti e senza il quale ogni altro carisma si svuota, quello della carità, pena il ridurci a bronzo che rimbomba o a cimbalo che strepita. E di questa carità, di questo modo di amare, Paolo dà caratteristiche molto concrete.

Riascoltiamole: "La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta".

"Misuratevi" sembra dire Paolo "su questa concretezza". Cioè la carità, l'amore non è solo un fatto invisibile, prende forma, prende carne, si traduce nel visibile. L'amore inventa, inventa traduzioni nel visibile. Di una traduzione dell'amore in visibilità parlava oggi il libro degli Atti degli Apostoli: "In quei giorni" è scritto "la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune… Nessuno infatti tra loro era bisognoso".

Pensate alla concretezza. Allora la concretezza si traduceva nel vendere campi o case per darne il ricavato chi era nel bisogno. Oggi la carità, l'amore potrà avere altre traduzioni concrete, non potrà certo non averne. E rimane il pensiero che soggiace. Mi chiedo se rimanga anche oggi.

Sentite: "Nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva". Non è forse vero che noi invece consideriamo nostra proprietà quello che ci appartiene? Rimane una lunga strada. Era la traduzione - una delle traduzioni - del comando del Signore. Ed è il segno di riconoscimento. Da che cosa sono riconosciuti i cristiani? Esplicite, inequivocabili, inequivocabili ma a volte dimenticate, le parole di Gesù: "Da questo - cioè dall'amore che avrete gli uni gli altri - "da questo tutti sapranno che siete miei discepoli".

Segno di riconoscimento! E non ci sarà bisogno tanto di parlare, segno che capiscono tutti: "da questo tutti sapranno…". Segno che apparirebbe ancora più visibile, più visibile e paradossale, in una società dove a prevalere fossero altri segni quello dell'interesse, pubblico o privato, quello dell'egoismo personale o di gruppo, quello dell'indifferenza verso i singoli o verso i popoli.

Ebbene nella comunità dei primi discepoli la concretezza, la visibilità dell'amore non solo li faceva riconoscere come quelli della via di Gesù, il profeta di Nazaret, ma diventava motivo di stima, di simpatia: "Tutti" è scritto "godevano di grande favore". E non è forse vero che la stima, la simpatia per la chiesa cresce nel mondo per alcuni gesti del Vescovo di Roma che va a toccare le ferite di donne, uomini e bambini nell'isola di Lesbo e si commuove quando ne parla il giorno successivo all'Angelus?

"Ho visto" dice "tanto dolore! E voglio raccontare un caso particolare, di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri, con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda. Ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo e abbandonare la sua fede. E' una martire! E quell'uomo piangeva tanto…".

Non aggiunge parola . Si ferma al pianto: "quell'uomo piangeva tanto". Quasi un invito alla chiesa a fermarsi al pianto. Se vuol essere riconosciuta come la comunità dei discepoli del Signore.

 

 


 
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