la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quarta Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


17 aprile 2016



 

 

At 21,8b-14
Sal 15
Fil 1,8-14
Gv 15,9-17

Le parole che abbiamo ascoltato oggi nel vangelo sono parole dentro un lungo discorso di addio che, secondo l'evangelista Giovanni, Gesù fece durante la sua ultima cena, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, dopo aver preannunciato il tradimento di uno di loro. Voi mi capite, sono parole che nascondono un'emozione. E noi vorremmo leggerle dentro questa emozione.

Emozione palpabile quella notte, in quella sala al piano superiore. E che cosa lascia Gesù, quale testamento? Verrà meno il suo dimorare terreno tra loro. Ma ci sarà per loro una possibilità di un'altra dimora. Non più "appresso" ma "dentro", un rimanere in lui.

C'è per noi una possibilità di rimanere in Gesù, di essere stretti a lui come i tralci lo sono alla vite. Un'immagine, questa, che Gesù ha appena finito di evocare. C'è una linfa che ancora può fluire e può ancora stringere."Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore". E uno di noi potrebbe rincorrere nella sua mente chissà quali e chissà quanti comandamenti.

Lo abbiamo anche fatto lungo i secoli passati, forse dimenticando o dando meno importanza al fatto che Gesù stesso in modo molto esplicito ci ha detto qual è il suo comandamento. Riascoltiamo. Riascoltiamo perché non sempre queste parole le abbiamo lette con questa loro limpidezza, inequivocabili, stringenti.

Riascoltiamole anche perché sono, al dire di Gesù, indicazioni per la gioia: "perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena"! E la gioia è una cosa a cui teniamo tutti. Ebbene: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Non so, ho qualche dubbio: se qualcuno chiedesse a noi cristiani qual è il cuore della nostra fede, forse qualche incertezza l'avremmo, nel trovare una sintesi, una parola che racchiuda tutto, la cosa su cui insistere.

Penso che voi tutti abbiate notato come insistente nel nostro piccolo brano siano i verbi "amare" e la parola "amore": in poche righe una decina di volte. Per dirci da un lato il volto di Dio, la nostra immagine di Dio: noi crediamo in un Dio che è tenerezza; e, per dirci, d'altro lato, in che cosa stia l'etica che nasce dal vangelo, a che cosa siamo chiamati: ad amarci gli uni gli altri.

Questo il comandamento: "Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri". Ebbene, non so se ci rendiamo conto, ma ancora una volta siamo messi a confronto con una notizia sorprendente, meravigliosa, sbalorditiva, stupefacente: che a Dio non interessa Dio, gli interessiamo noi. Non dice: "Questo vi comando: amate Dio, amate me". No dice: "Amatevi gli uni gli altri".

Questa la condizione per rimanere in lui. L'amore - voi lo sapete - è anche concretezza, è toccare. Ma oggi dove lo tocchi Gesù, ora che non cammina più tra noi con il suo corpo? Papa Francesco direbbe - ce lo dice ripetutamente - che oggi la carne di Cristo la tocchi nel povero. E si può essere poveri in tanti sensi: le opere di misericordia ce lo ricordano. Cristo non lo tocchi nelle visioni: "Amatevi gli uni gli altri".

E ha aggiunto - aggiunta importante - : "come io ho amato voi". C'è da tenere davanti agli occhi - c'è da tenerlo davanti agli occhi una vita - questo "come": "come" Gesù ha amato noi. Qualche volta mi viene da pensare che è per questo che noi veniamo a Messa la domenica, per fare memoria di come Gesù ha amato noi e poi fare altrettanto, nel nostro piccolo, con la nostra piccola misura, nella vita di tutti i giorni. Non avremo mai finito di contemplare come Gesù ha amato noi.

Tanto più, non avremo mai finito di amarci come lui ci ha amati. Ebbene, io - certo riducendo l'orizzonte e vi chiedo perdono - vorrei brevemente sostare su una delle modalità con cui Gesù ci ha amato. Non inventandola, ma attingendola alle sue stesse parole, quelle che oggi abbiamo ascoltato. Che cosa dice del suo modo di amare? Ecco la sottolineatura dell'amicizia.

Sentite: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi". Io rimango sempre stupito a queste parole: è l'eliminazione - e noi dovremmo verificarla nei nostri rapporti - di ogni modalità "padronale", sia nei nostri rapporti più personali, che in quelli sociali o ecclesiali.

E' finito un modello, quello del padre-padrone, quello di chi decide senza mettere al corrente, senza condividere, senza il benché minimo sguardo da amico: "il servo" dice Gesù "non sa quello che fa il suo padrone". E' la fine di un modello e se ne inaugura un altro! Si inaugura la modalità dell'amicizia: "Io vi ho chiamato amici".

E lui, Gesù, ha appena finito di annunciare la nuova modalità, la sua modalità d'amare, con un gesto concreto, cingendo ai fianchi un asciugatoio, mettendo l'acqua in un catino, lavando i piedi dei discepoli e asciugandoli con l'asciugatoio. Ha ribaltato il ruolo di signore e maestro, dicendo loro: "Vi ho dato l'esempio, io il Signore e il Maestro".

Ed ecco la domanda: lo abbiamo imitato in questa modalità eccentrica? Per esempio, c'è più amicizia o più ruoli di potere in mezzo a noi, nella chiesa? Come è stato bello oggi leggere nella lettera di Paolo parole come queste "Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù".

Pensate si parla di desiderio. Voi sapete che cosa significa desiderare. Ebbene l'altro come il termine di un desiderio che ti abita. E non è stato forse bello oggi leggere nel libro degli Atti come la comunità di Cesarea, vedendo Paolo determinato ad andare a Gerusalemme nonostante le più fosche previsioni, non riesca a trattenere il pianto?

E Paolo a dire: "Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore?". Siamo lontanissimi dalle modalità di un'autorità che si configura nell'immagine del padre-padrone, dove non si intravede il benché minimo refolo del vento dell'amicizia o della paternità.

Proprio in questi giorni un'amica, ora in Germania come ricercatrice, confrontando alcune modalità, aperte e coinvolgenti della comunità in cui ora si trova a vivere, con altre modalità vissute qui da noi, così estranee al calore di una paternità, aggiungeva: "Quanto estranea a certe figure di responsabilità la paternità. Che invece renderebbe tutto più umano e semplice…!".

Noi aggiungeremmo: "Quanta estranea la modalità dell'amicizia". Eppure così evangelica! E' la cosa che sogniamo. Per la quale ci battiamo e lavoriamo. E' la nostra passione. E' la bellezza di una chiesa. Non servi, ma amici.

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home