la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella terza Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


10 aprile 2016



 

 

At 28,16-28
Sal 96
Rm 1,1-16b
Gv 8,12-19

Anche queste parole di Gesù hanno un contesto: Gesù le pronuncia alla fine di una festa, quella delle Capanne, sempre nel tempio, dove già si era tentato di arrestarlo. Tentativi andati a vuoto: era venuto meno il coraggio in coloro che se ne dovevano occupare.

Gesù interviene nel tempio e, dopo essersi dichiarato "acqua che disseta" - "se qualcuno ha sete venga a me" - ora con altrettanta forza, con una affermazione di grande intensità, si dichiara luce, luce del mondo: "io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Proviamo ad immaginare. Erano quelli i giorni in cui, in occasione della festa delle Capanne, nel tempio, nel cortile delle donne, venivano innalzati quattro candelabri giganti e, notte e giorno, irradiavano luce nella città, quasi a significare e a celebrare la presenza della luce di Dio, che attraverso la Thora, la Legge, illuminava il suo popolo.

Immaginate lo sconcerto di scribi e farisei: il rabbi di Nazaret, rivendica di essere lui la luce, la luce di Dio. Rivendica di avere Dio per padre e di essere lui la dimora della Luce sulla terra. Rivendica dunque non solo di essere luce per una città, o per un popolo, ma di esserlo per tutto l'universo: "Sono io la luce del mondo". "Voi" sembra dire "vi vantate di seguire come luce la Legge, ma l'avete atrofizzata, le avere succhiato la vita. Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Significativo questo accostamento di luce e di vita. Non è forse vero che al venir meno della luce corrisponde inesorabilmente un venir meno della vita? Chiudiamo finestre e porte di una stanza e dopo pochi giorni andiamo a verificare che cosa ne è di un vaso di fiori che abbiamo lasciato su un tavolo.

Vorrei dirvi che questa connessione luce e vita, prende ancora maggiore intensità e profondità se la luce la connettiamo con l'amore. "Chi ama" è scritto "cammina nella luce". E infatti potremmo chiederci come Gesù è luce del mondo? Significativo che stiamo leggendo questo brano di Giovanni a pochi giorni dalla Pasqua.

Il cielo - voi lo sapete - si era fatto buio, buio come di pece, alle tre del pomeriggio di quel lontano venerdì, sette aprile dell'anno trenta, quando Gesù moriva sulla croce. Perché se già si fa buio sulla terra quando muore una persona buona, pensate il buio, il vuoto di luce, quando a morire è colui che è l'incarnazione dell'amore in assoluto.

Era lui la luce del mondo, e lo era con il suo amore, perché è l'amore che accende la luce nella vita, nella stanza della vita. Pochi giorni fa in una riunione ci capitò di ricordare le parole di una canzone del passato - "il cielo in una stanza" - che con immagini bellissime dice come una stanza non ha più pareti o soffitto ma alberi e l'immensità del cielo se vi è ospitato l'amore. Luce è l'amore.

Anche la stanza dei discepoli impauriti - lo ricordavamo la scorsa domenica - ritrova la serenità, in un certo senso si illumina, quando gli occhi dei discepoli vanno al segno dei chiodi, il segno della crocifissione sul corpo di Gesù, il segno che ricorda un amore - quello del loro Signore e Maestro - giunto sino all'estremo.

Gesù aveva detto: "Io sono la luce dl mondo": Era sera quando venne il risorto in mezzo ai discepoli, radunati e pieni di paura, era sera, ma fu come se si facesse giorno al venire del Signore in quella stanza. Si fece la luce: "E la luce fu". Quasi una nuova creazione. Ricordate il libro della Genesi. Dio disse: "Sia la luce". E la luce fu.

La stanza si illumina e si trasfigura alla visione dell'amore. Perché è questo - e penso l'abbiate notato più volte anche voi - è questo il miracolo della luce, e quindi dell'amore: la luce, come l'amore, non si impone, la luce non violenta le cose, non le domina, non le strumentalizza, le riscatta dal buio in cui sembrano scomparire, quasi fossero inesistenti.

E' la luce che avvolgendoti ti fa presente, in un certo senso ti dà vita, ti restituisce i colori, ti fa fiorire. Non è forse vero che è l'amore che ti riscatta dal buio del non senso del vivere, che ridona colore alla tua esistenza, anche quella più quotidiana? In questo tempo di Pasqua spesso nella liturgia è risuonata un'affermazione del libro dell'Apocalisse che mi ha fatto molto pensare.

"Ecco" è scritto "io faccio nuove tutte le cose". Fare nuove le cose. Perdonate la rozzezza della mia interpretazione. Di per sé non è scritto: "io faccio cose nuove". Può succedere. E a volte siamo anche chiamati a fare cose nuove. Ma dobbiamo anche riconoscere che le nostre giornate per larga misura sono fatte di cose che si ripetono, di cose solite, le solite cose.

E allora l'arte è di rendere nuove, fare nuove, le cose che sono di sempre. Illuminandole di senso. Dando loro il senso dell'amore. Ritorno sull'affermazione: "io sono la luce del mondo" per sottolineare come proprio di questo, di Gesù luce del mondo, Paolo vuole essere testimone, anche presso i fedeli di Roma: da loro vorrebbe recarsi, per confermarli in questa notizia buona, perché anch'essi, seguendo Gesù, camminino nella luce.

Destinazione della luce è dunque il mondo: "Io sono la luce del mondo". E' - e voi mi capite - il superamento di ogni particolarismo, di ogni settarismo, di ogni ghettizzazione. Quelle che oggi abbiamo letto nel libro degli Atti sono le ultime parole di Paolo. Di Paolo, del suo processo a Roma, dell'esito del suo processo, della sua morte non si fa nel libro la benché minima menzione.

Si ricordano le sue parole ai Giudei di Roma, che sembrano far eco alla proclamazione di Gesù "Io sono la luce del mondo". Dice Paolo: "Sia noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alla nazioni, ed esse ascolteranno".

Inviata alle nazioni! Respiro universale! Il nostro respiro.

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home