la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quattordicesima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


21 agosto 2016



 

 

Esd 2,70-3,7.10-13
Sal 101
Ef 4,17-24
Mt 5,33-48

"Fu detto agli antichi… ma io vi dico". Vorrei sfiorare brevemente queste parole di Gesù per una breve riflessione iniziale su ciò che noi solitamente chiamiamo "tradizione". La tradizione consegnava a Gesù precetti e norme dei padri, custodite nelle Scritture ebraiche: "Fu detto agli antichi…".

Gesù che cosa fa? Non cancella la tradizione, ma le dà nuovo respiro, ne dilata l'orizzonte, ne scopre l'anima profonda. Questo è il modo vero di onorare la tradizione. Tradizione significa "consegna": ti viene consegnato qualcosa e tu ricevi e dai nuovi sviluppi. Pensate come spesso, troppo spesso, noi invece diamo una interpretazione immobile della tradizione: "Si è sempre fatto così" diciamo. "Abbiamo sempre pensato così, abbiamo sempre detto così…".

Una visione fissista della tradizione, che ci rende irrimediabilmente, implacabilmente, "tradizionalisti". Chi onora veramente la tradizione? Non chi la immobilizza, ma chi le dà sviluppi. C'è dell'antico e c'è del nuovo. Onora la tradizione, ma non rimanerne prigioniero.

So di dare una interpretazione forse estranea al significato profondo del brano del libro di Esdra che oggi abbiamo letto, ma mi colpiva il racconto della ricostruzione del tempio di Gerusalemme: un avvenimento corale, cui partecipa tutto il popolo. E c'è l'esultanza, l'acclamazione con grida di gioia della gente, ma c'è anche il pianto dirotto di chi ricordava il tempio di prima, quasi una mescola di acclamazioni di festa e di lacrime di rimpianto. Una mescola di antico e di nuovo.

Ma anche in questo caso sulle fondamenta antiche si dà origine al nuovo. Così fa Gesù. Che vede un pericolo: quello che "il fu detto" della tradizione possa essere derubato della sua anima segreta e profonda; il precetto di conseguenza corre il rischio di una sua ossificazione. Questo riguarda anche il giurare: alle tue parole puoi dare credibilità senza ricorrere al giuramento. E questo succede, quando tu per l'altro sei una persona affidabile, totalmente affidabile.

Ma poi, a seguire, Gesù ci sconcerta soprattutto con il suo insegnamento sull'amore dell'altro. La legge antica, per esempio, era rimasta al monito che la reazione a una violenza dell'altro non dovesse andare oltre quello che l'altro aveva commesso: occhio per occhio, dente per dente. Che la reazione, spinta dalla vendetta, non andasse oltre. Ma porgere l'altra guancia, come insegna Gesù? Amare i nemici? Pregare per quelli che ti perseguono? E, poi, far dipendere da questo il fatto di essere o no suoi discepoli? "Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto solo ai vostri fratelli che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?".

Ascolto le parole di Gesù e subito mi sorge una domanda: non sarò io rimasto tra i pubblicani, tra i pagani? Sono andato oltre? In gioco - voi l'avete intuito - c'è tutto il tema dell'amore dei nemici, c'è il tema della non violenza. Temi su cui non possiamo non interrogarci, tanto sono determinanti per il nostro essere cristiani. O no.

Sul tema dell'"amare i nemici" vorrei innanzitutto dire che non possiamo oltrepassare, o vanificare, queste parole di Gesù giudicandole semplicemente paradossali o riservate a qualche categoria speciale di cristiani. Anche perché noi tutti sappiamo come Gesù abbia dato concretezza a queste parole con la sua vita: chiamando, per esempio "amico" Giuda che lo tradiva, pregando per coloro che lo crocifiggevano e lo insultavano sulla croce. Ma detto questo, non possiamo sfuggire alla problematicità di questo insegnamento.

Vorrei ricordare a questo proposito una riflessione di Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Che scrive: "Occorre chiedersi: è realmente possibile amare il nemico, e amarlo mentre manifesta la sua ostilità e inimicizia, il suo odio e la sua avversione? È umanamente possibile tale scandalosa simultaneità?". L'amore del nemico - sembra di capire - non è un dato ovvio di partenza, ma può essere frutto di una maturazione, frutto di un lungo itinerario.

E occorre anche distinguere: un conto è lasciarsi coinvolgere in disegni di vendetta e di annientamento del nemico, un conto invece è fraintendere le parole di Gesù, pensando che l'amore del nemico ci chieda di diventare complici, arrendendoci ai disegni di ingiustizia e di violenza dell'altro. Amare il nemico non significa tacere quando sono violati i diritti o calpestata la dignità di chiunque, non significa non lottare contro ogni forma di ingiustizia.

Dicevo che l'amore del nemico può essere solo frutto di una lunga maturazione, una maturazione alla dimensione della gratuità, ad amare non per il contraccambio. Come spesso invece ci succede. Come arrivarci? Gesù ha lasciato una indicazione precisa: andare con lo sguardo al Padre che è nei cieli. Che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Vorrei dire: tentare di essere figli di un tale padre. Altro tema del vangelo dì oggi - ma solo l'accenno, lasciandolo alla vostra riflessione - è quello della non violenza: "a chi vuol toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello". Un invito a non rispondere alla violenza con la violenza. Guerra? Non violenza? Una cosa dovrebbe essere chiara: che il vangelo non detta soluzioni concrete ai problemi, che investono anche il nostro tempo. Le soluzioni vengono anche dalle nostre analisi, dalle nostre riflessioni, dalle nostre ricerche.

Però qualche interrogativo il vangelo ce lo lascia. Mi lasciava qualche interrogativo, per esempio, in questi giorni da un lato leggere sui quotidiani la commozione per la foto di Omram, il ragazzino dal viso sporco di terra e di sangue per strage di guerra e dall'altro leggere, ancora in questi giorni, che il nostro paese investe ogni ora due milioni e mezzo di euro in spese militari. Ogni ora due milioni e mezzo in spese militari! Mi sono chiesto, se non dovremmo metterci in cammino verso altre soluzioni, che non siano la guerra.

E non c'è solo la violenza della guerra - voi me lo insegnate - c'è una recrudescenza di violenza in tutti i campi, dalle parole ai gesti. Non sarà che dobbiamo ritornare a leggere il vangelo, a guardare - come suggerisce Gesù - il Padre che è nei cieli?

 

 


 
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