Angelo Casati


Il pane è per tutti

Il pane come segno di incontro, di comunione universale, come segno della presenza costante del mistero nella vita di ciascuno di noi. Le riflessioni di un prete poeta, che ci fa sentire quanto sia concreto il pane divino, ma anche quanto spesso non riusciamo a coglierne la forza liberatrice. Il messaggio di Gesų č universale, tocca tutte le persone, le storie, č vita, come il simbolo che lui stesso ha scelto nell'ultima cena. Il libro č introdotto dalle bellissime parole dell'amico Paolo De Benedetti, uno dei pių grandi esperti di Ebraismo.


Edizioni Romena
Milano 2006

Tel:0575/582060 - Fax: 0575/016165 www.romena.it - mail@romena.it

Prefazione di Paolo De Benedetti

Un giorno mi son detto:
la Chiesa ove la metto,
con tutte le eminenze,
i veti, le indulgenze,
le encicliche, i decreti letti
neppur dai preti,
e gli abiti e i cappelli
che assomigliano a quelli
che indossano a Purim
gli allegri jehudim ?
E già in un sacco nero
mettevo Chiesa e clero
Per poi, con l’automobile,
portarlo in poco nobile discarica.
Ma un bisbiglio
è uscito dal groviglio
(don Angelo, pensai.
E invece era Adonài ),
che mi diceva: “Attento!
Nel sacco ci son cento
Giusti, oppur, come a Sodoma
Nemmen dieci si trovano,
ma c’è un piccolo prete
la cui vita fa liete
le angeliche genti
(che sono sue parenti),
e dà speranza e fede
a chi aiuto gli chiede”.
Prefazione
Allor pensai: Che fare?
Non resta che portare
Il sacco in San Giovanni
A ripararne i danni.
Don Angelo, tu puoi:
fallo per tutti noi!

Quando don Angelo Casati, parroco di San Giovanni in Laterano a Milano, compì i cinquant’anni di messa, gli dedicai questa poesia.
Riparare i danni, che sono molti, si può – e don Angelo ce lo insegna – se si imita Dio.
Secondo la mistica ebraica Dio, per creare il mondo e fargli posto nell’esistenza, fece tzimtum, cioè
contrazione: si contrasse, in modo che il creato potesse diventare il suo “tu”.
Ogni tu, da allora, richiede contrazione dell’io. Ed è quello che troppo spesso la chiesa non impara e non
fa. Perciò dobbiamo imparare dal ragazzo di Tabgha, che “non lascia nome né volto, solo l’incantato dei cinque pani d’orzo e due pesci condivisi fra tutti” – e, sottolinea don Angelo – “al ragazzo non sarebbe
rimasto più niente”. Oh, se la Chiesa, dopo aver distribuito i pani e i pesci, non avesse più niente in mano, questo sarebe uno tzimtzum degno di Dio. Dacci una mano don Angelo, perché ci sia di nuovo un cane, quello di Lazzaro, a lambire teneramente. E ci sia un seno, quello di Abramo, ad accogliere i disperati del mondo.

Paolo de Benedetti

 

 

 

 

 

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