articoli di d. Angelo


 

DENTRO IL LABIRINTO DELLA STORIA

Appunti di viaggio

E' mattina dolce, ventilata, di settembre. La partenza è dai colori: il rosso dei mattoni della chiesa, il verde variegato degli alberi su cui pesa una maledizione e chiazze di cielo azzurro tra i rami. Quasi un presagio, un buon presagio. Parti dal colore.
Parti da case conosciute, da strade frequentate, da una vita quotidiana praticata. Dal conosciuto al non conosciuto: i luoghi verso cui viaggi sono semplicemente rincorsi, evocati per immagini.
Il viaggio riserva spesso sorprese. Non può che essere così. Costituzionalmente è sorpresa il viaggio: la sorpresa gli appartiene come l'anima.
Dopo l'undici settembre ancora di più. E' martedì, otto giorni dopo. Dopo l'undici settembre.
La preghiera è all'angelo, il custode del viaggio, se pur viaggio meno arduo, il nostro, di quello di Tobia nella Bibbia. E la preghiera è anche per gli occhi: "Beati i vostri occhi perché vedono". Vedere cose nuove certamente. E' entusiasmante. Ma soprattutto vedere in profondità, scoprire sensi. Oltre il velo, a volte impercettibile, delle cose.
E dunque occhi per lo svelamento, se possibile, di un filo rosso che percorra il viaggio.
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Il volo è Malpensa-Parigi. Anche gli aeroporti portano segni. Segni di uno spaesamento e di uno smarrimento. Ci sono vuoti inattesi che parlano sottovoce di altro. Di un male oscuro che intimidisce il volo.
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Chartres. Le vetrate della cattedrale stanno chiudendo gli occhi ora che si fa sera. Arriviamo alle luci smorzate del giorno. Eppure rimangono brividi di colore nelle ogive lontane. Nella penombra, in un silenzio che avvolge, vai alla ricerca del labirinto disegnato sul pavimento: segnava, in tempi lontani, ai pellegrini la via della conversione. Labirinto anomalo. Per una ricerca in cui non ti perdi ma arrivi a salvezza.
Chartres, miracolo di una pietra che ha perso durezza e staticità, connubio di fortezza e tenerezza: anche i portali sono abitati di volti e di storie.
Pietra calda, vivente, la cattedrale, quasi brace nelle nostri notti. La cattedrale ha un cuore, un cuore che vive: è Cristo, lui all'ultimo tornante dei nostri labirinti.
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Angers. Forse ti rimarrà negli occhi, per giorni, il suo castello, abbracciato di verde e di fiori, ma per anni ti rimarranno negli occhi le visioni dell'Apocalisse: arazzi e arazzi, più di settanta, a raccontare la visione, consegnata nel libro alle chiese. Apocalisse che è svelamento non di cronologie del futuro - non ci serve sapere né dove né quando - ma del senso che abita la storia.
Apocalisse. Verso lo svelamento, verso l'apertura del libro della vita. Chi ci aprirà - ce lo chiediamo nei giorni più duri e più inquieti - chi ci aprirà il libro della storia?
E' l'Agnello immolato, lui la pietra vivente, lui al cuore della ricerca di senso. Lui senso della vita con la dismisura delle braccia allargate sulla croce, delle mani trasfigurate nella risurrezione.
E noi ci perdiamo nell'incanto degli arazzi, nella magia delle figure e dei simboli, nello stemperarsi leggero, oltre ogni immaginazione, dei colori.
Libro scritto alle chiese, l'Apocalisse, anche alla nostra, per tempi difficili come il nostro, tempi di conflitto in cui la Bestia, la grande Bestia, il Drago - e dove è oggi il Drago? - sembra vincente, sembra trascinare la metà del cielo.
Tempo in cui confermare la fede rifuggendo dall'idolatria, tempo di fede che va sostenuta, di speranza che va riscaldata, perché è inverno per certi aspetti, inverno del mondo.
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Ancora una cattedrale, la cattedrale gotica di Saint Pierre, nella cittadina di Vannes, dentro un dedalo di viuzze, con antiche case e mercati al coperto.
Secoli di storia iscritti nelle pietre e negli ambulacri, sotto lastroni di marmo che custodiscono tombe di vescovi, a testimonianza di un desiderio: che neppure la morte li distanziasse dal loro popolo.
Sotto l'effige di un prelato c'era chi osava scrivere: "minus praeesse quam prodesse", un po' meno "dirigere" e un po' di più "essere utile".
***
Bretagna. E ora, su grigie pianure, in mattino di nebbie, l'eco misteriosa di civiltà lontane, avvolte nel silenzio.
Quattromila e più anni.
E nessuno che squarci
il segreto riposto.
E noi a scrutare
con occhi negati
il mistero che intride
cerchi di pietre
e megaliti giganti
su prati di erbe
indurite dal vento,
su grigie pianure
velate di nebbia
sedotti nel labirinto
del pensiero remoto
che le ha erette.
Pietre dilavate,
ma non consumate,
pietre vive
profezia ante tempus
della Pietra vivente.
***
In vista dell'oceano. Il vento nei capelli e negli occhi, fino ad invadere l'anima. Inebriati, ripuliti miracolosamente da meschinità e piattume, da nebbie e stanchezze.
Case
lavate di sole
su tetti spioventi
neri d'ardesia,
ultime case
protese all'oceano.
E scrosci di risa delle onde
su scogliere dirupate.
Spruzzi di gioia
sui volti
invasi di vento
imbevuti di profumo
stordente di pesce e di mare.
***

Bretagna, terra di calvari. In gara tra paese e paese a costruire il più maestoso. Croci e personaggi di varia umanità.
Ancora una volta il bisogno prepotente di alzare la Memoria, la sola che ci fa salvi, icona struggente di Dio alle generazioni future, invito agli umani a costruire una terra secondo il modello contemplato su un monte chiamato Calvario. Calvari a cielo aperto.
Stare dietro a te, Signore Gesù,
nell'ora buia di caligine
con gli occhi smisurati
dei calvari di Bretagna.
Stare con mani di popolani
che osano dissacrando
toccarti e salvarti.
Fuori dal gelo
dei nostri riti artefatti,
fuori dall'imperturbabile
misura
dei nostri perbenismi religiosi.
Dentro la passione rozza,
dentro i gesti
irrituali e sanguigni
di un popolo,
dentro il trasalimento.
E accompagnarti
e adorarti.
***
Ancora oceano. E il fascino inconsumato dei fari, sferzati dalle onde, flagellati dai venti, implacabili nell'attesa.
Ora so
che dove la terra ha fine
e lunghe braccia protende
a cercare i suoi figli
nell'oceano di tempesta
sulla punta di vento
dentro l'urlo del mare
sta come sfida
e promessa il faro.
Ultimo rifugio tu, Dio,
per noi
gente di naufragio.
***
Forse è un faro, faro di Dio nel nostro pellegrinare, Mont Saint Michel, terra ora protesa nel mare ora nelle sabbie. Si erge come promessa.
Per chi si fa pellegrino dietro il modello del monte, dietro l'immagine del Signore, fissata con occhi scavati nella vivacità dei calvari bretoni, dal cammino non è assente la drammaticità, l'angoscia dei giorni della storia, il drago sul punto di divorare la fragile donna e il figlio che porta in grembo, ma l'arcangelo Michele ricorda la promessa.
"Scoppiò" - narra il libro - "una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli combatterono contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo diavolo e satana, che scatena tutte le terre, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli" (Ap 12, 7-9).
Non sarà per questo che uomini e donne nei secoli si fecero pellegrini al monte.
Sul monte dell'angelo Michele per stampare negli occhi la visione: la vittoria non è del seduttore, non della grande Menzogna, non della Violenza, non della Rapina.
Vedo il monte da lontano, isola di Dio, in meandri di sabbie e di acque.
E non è miraggio
è roccia abitata
sono pietre
affocate dell'Invisibile.
Né sai
dove la roccia finisca
e dove ha inizio il possente
massiccio del monastero
che arde verso il cielo.
San Michele monte
dell'angelo che salva
isola
in mare di sabbie dilavate.
Noi scalzi
di ogni improntitudine
saliamo i gradini
sferzati dal vento
entro cunicoli
abitati da ombre.
Passiamo
la porta dell'Altro,
sfioriamo muri di silenzio
chiostri imbevuti di gregoriano
attendiamo
il fruscio dell'Angelo.
Attendiamo dentro i rumori di guerra, dentro una storia non conclusa di prepotenza del Drago, di donne e bambini sul punto di essere divorati. C'è una promessa, che ci fa quotidianamente fedeli al modello del Monte. E' dentro l'emozione incorrotta dei calvari bretoni.

don Angelo


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