ZACCHEO
E GLI OSANNANTI
Fu
così che andai a rileggermi la storia di Zaccheo.
Confesso che mi sono fatto uno stratagemma, stratagemma
a difesa, un esercizio che mi sentirei di raccomandare.
Quando sento che l'aria si fa pesante, quasi insopportabile,
al limite del respiro, mi rifugio nel vangelo.
Mi succede per lo più quando assisto a imperdonabili
sconcertanti sbandieramenti di nomi e dietro i nomi si difende
il contrario di quei nomi.
È scritto: non nominare il nome di Dio invano. E
il comandamento potrebbe essere declinato: non nominare
il nome del cristianesimo invano. Invano, cioè per
dire il contrario. Dicono di difendere il cristianesimo
facendo l'esatto opposto di quello che faceva Gesù.
Aria cattiva, pesante, irrespirabile, a misura di meschinità.
Apro il vangelo, finalmente respiro. A pieni polmoni. C'è
un uomo, Zaccheo. E c'è una città, Gerico.
E c'è un verbo, "attra-versava", riferito
a Gesù. Verbo intrigante, all'imperfetto, quasi a
descrivere un'azione che perdura. "Gesù, entrato,
attraversava la città". Lui sì la città
la attraversava. Attraversava la città con i suoi
occhi e con il suo cuore. Cuore e occhi, spalancati dalla
simpatia e dalla compassione. Quasi una condizione per attraversare
una città, un'umanità. E non è detto
che l'attraversino tutti coloro che passano per la strada.
Se ne vanno senza vedere. Senza simpatia, senza compassione.
Blindati nei loro teoremi. Anche religiosi.
Una città l'attraversi se non fai gruppo osannante
o processione. Le processioni spesso passano senza vedere.
Senza vedere l'uomo che si è arrampicato sull'albero.
Ti dirò che questa iattura di "attraversare
senza vedere" accade nella città, ma anche fuori.
Era capitato ancor prima che arrivassero a Gerico. Erano
ancora nelle vicinanze, non ancora in vista delle porte
della città. Un cieco, seduto lungo la via, gli aveva
gridato dai suoi occhi spenti: "Gesù, figlio
di Davide, abbi pietà di me". Per un attimo
il grido rimase come sospeso nell'aria. Lacerata. Ma subito
gli osannanti gli furono addosso a zittirlo. Tutti a zittire
lui, il disturbatore. "Tutti" è scritto.
Che qualcuno non abbia cuore passi. Ma che siano proprio
tutti e che siano quelli della processione mi fa paura.
E mi sfonda il cuore. E lui il cieco a gridare più
forte. Gridava il bisogno della compassione.
È scritto che Gesù si fermò. Disse
e la luce fu. Negli occhi spenti di Bartimeo.
Ma la folla riprese presto l'andatura compatta. Dobbiamo
ricompattarci, si dice. Anche oggi. Folla compatta, quasi
una siepe che preclude l'orizzonte. Passa imperterrita e
non vede Zaccheo sull'albero della ricerca.
Dopo tutto e perché mai avrebbe dovuto vederlo? Che
cosa aveva di buono e di interessante? Forse solo il nome,
così aveva più volte pensato Zaccheo. Un nome
che poteva anche significare "puro" e se lo sentiva
un po' stretto per via di quel mestiere che gli era toccato
di pubblicano, mestiere per niente immacolato. Ma il nome,
il suo, poteva essere anche l'abbreviazione di uno più
esteso che significava, e qui ci si trovava un po' meglio,
"Dio si ricorda", "Dio ha un pensiero".
Il significato gli piaceva certamente di più. Gli
andava al cuore. Ma più volte gli era capitato di
pensare che fosse l'illusione di un sogno. Anche perché
di sguardi, a dire il vero, ne aveva esperimentati sulla
sua pelle. Per la gente lui era un capo di pubblicani, razza
odiata, mestiere da peccatori. E poi ricco. Qualcuno gli
aveva pure riferito che per il rabbi di Nazaret era più
facile che un cammello passasse per la cruna di un ago che
non un ricco per la porta del cielo. Che cosa aveva di buono,
pensava, agli occhi della gente? Per di più, piccolo
di statura.
Eppure di lui è scritto: "cercava di vedere
quale fosse Gesù". Lo desiderava. Lo salva questo
desiderio.
E non c'è il filtro della comunità tra lui
e Gesù. Anzi qui c'è la comunità che
fa barriera. L'avessero visto, gli avrebbero fatto un interrogatorio,
magari teologico. Perché sei qui? Che desiderio è
questo che ti spinge? È un desiderio profondo o è
superficiale? È corretto? È puro?
Zaccheo vede solo schiene, una barriera di schiene. Non
volti. Una barriera di schiene che per uno come lui, piccolo
com'era, costituiva una muraglia.
E si inventa un luogo di avvistamento, l'albero del sicomoro.
Il sicomoro nella Bibbia appartiene alla famiglia dei fichi
e i rabbini spiegavano che stare sotto il fico significa
stare alla ricerca della verità. Senza saperlo aveva
scelto l'albero giusto. Un luogo di avvistamento.
Ricordo una poesia di Montale dal titolo: Come Zaccheo in
Diario del '71.
Scrive:
Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai passi.
Ahimè, non sono un rampicante ed anche
stando in punta di piedi non l'ho mai visto.
Ma stare in punta di piedi non dice già il desiderio,
desiderio di un girasole impazzito di luce? E non è
forse questa sete che ci fa grandi? Se c'è un'arte
da coltivare in tempi di spegnimento non è forse
l'arte di interrogarsi e di interrogare?
E Gesù, è scritto, alzò lo sguardo.
Una fitta gli attraversò il cuore. Fitta di emozione.
Che fosse dunque vero quel nome che portava: "Dio ha
un pensiero per te"?
Anche tu, Zaccheo, piccolo di statura e per giunta pubblicano,
un pulviscolo, una goccia di rugiada che riposa al mattino
sulla terra. E chi dovrebbe accorgersi di te? Chi dovrebbe
avere un pensiero per te?
Ebbene quel rabbi che raccontava col suo volto i sogni di
Dio aveva proprio alzato lo sguardo su di lui. Alzato in
tutti i sensi, alzato da tutti i giudizi e pregiudizi della
gente, degli osannanti che lo accompagnavano ed erano folla.
Uno sguardo che superava la distanza. Del pregiudizio e
della sua professione così poco immacolata.
Prima ancora che gli parlasse, nei suoi occhi, e poi quando
parlò nella sua voce, gli balenò il volto
di Dio, quello che gli uomini della muraglia cercano di
confondere o addirittura cancellare, un Dio che non scarta.
Neppure quando dentro ci sentiamo rotti e lacerati.
Noi sì, scartiamo. Scartiamo ciò che è
rotto. La nostra è una società che scarta,
una società che dà per finite, per irrecuperabili,
per perdute tante cose, tante situazioni. Troppe cose. Troppe
situazioni. Mentre Dio al contrario è un Dio, dice
la Bibbia, che "risparmia": "Tu risparmi
tutte le cose. Tu hai compassione di tutti e nulla disprezzi
di quanto hai creato. Se avessi odiato qualcosa, non l'avresti
neppure creata" (Sap 11, 24-26).
Fu così che quel giorno Zaccheo, prima ancora che
il rabbi di Nazaret gli chiedesse ospitalità, lui
per il primo sentì crescere in sé come una
sensazione, ed era gioia, di sentirsi ospitato. Era, il
suo, uno sguardo che diceva accoglienza, prima ancora di
chiedere accoglienza.
Non sempre ci soffermiamo a pensare che cosa può
nascere da uno sguardo. Da uno sguardo come quello di Gesù,
da uno sguardo in cui ti senti ospitato.
Dagli sguardi freddi. impietriti, sguardi diffidenti, sguardi
di condanna, sguardi spietati, senza pietas, non nasce nulla.
Nulla che abbia l'immagine della bellezza. Nasce, si ingigantisce
la muraglia, la distanza.
Da uno sguardo in cui ti senti amato nasce un subbuglio
del cuore, nasce, ed è racconto del vangelo, storia
di Zaccheo, un movimento, uno svelarsi di sentimenti, di
emozioni, di gesti. È la fretta del cuore: "in
fretta" è scritto "scese e lo accolse pieno
di gioia".
E tu con l'evangelista Luca stai nascosto dalla soglia a
spiare. A spiare la benedizione di quella cena di peccatori.
A spiare Gesù che condivide l'atmosfera che si respira
nella casa. La salvezza, dice, è arrivata in questa
casa. Oggi. Nel quotidiano più quotidiano. E cambia
il colore della casa. Lo cambia l'avvento della condivisione.
Era partito, Zaccheo, con il desiderio di vedere quale fosse
Gesù. Sull'albero lo aveva intravisto, ora a quella
cena ne ha la riconferma: uno che ha cuore anche per un
pulviscolo sulla bilancia, anche per una goccia di rugiada
che riposa al mattino sulla terra.
Incurante dell'ostilità della folla, che si scandalizza
di quel pranzo di peccatori. "Tutti" è
scritto. E ancora una volta fa paura quel tutti riferito
agli uomini religiosi: "vedendo ciò tutti mormoravano".
Come siamo lontani dal Gesù dei vangeli, noi che
pensiamo che essere cristiani significhi distribuire, come
quella folla, patente di peccatore ora all'uno ora all'altro.
E non invece alzare lo sguardo. Alzarlo da tutti i pregiudizi
e da ogni durezza del cuore. Uno sguardo, come quello di
Gesù, che ti fa sentire ospitato.
È questa, o anche questa, una delle ragioni che ci
fa sognare una parrocchia un po' diversa. Non la barriera
degli osannanti. Ma un albero, semplicemente un albero,
che tu puoi salire anche di nascosto. E di lì accorgerti
che sei guardato da Gesù.
don Angelo
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