articoli di d. Angelo


 

STORIA DI UN CIECO

Bartimeo. Un nome che oggi forse pochi sceglierebbero per un figlio. Anche perché quasi nessuno, o forse pochi, oggi si chiamano Timeo e risulterebbe un falso un nome che significa: figlio di Timeo.
La sua storia, o, meglio, un pezzo della sua storia, il pezzo decisivo, qualcuno di noi l'ha sentita raccontare l'ultima domenica di ottobre nelle nostre chiese. Ogni tre anni la si racconta. A memoria.
Non so se succeda a qualcun altro, penso di sì. A me succede che quella storia, filmato d'autore, me la riveda negli occhi per giorni e giorni. Oggi si srotola. Tant'è che oggi mi succede di scriverne. Sarà forse perché Marco, l'evangelista, ha il potere di far assistere, quasi fosse in diretta.
La storia di Bartimeo, cieco e mendicante -di soldi o di luce?- è contenuta in poche righe, sette versetti in tutto, versetti di vangelo, di buona notizia. Ma sette versetti pieni di colore, di voci, di gesti, di movimenti. Pensate solo alla bellezza di quello scatto, lo scatto di Bartimeo. "Egli, gettato via il mantello, balzando in piedi, venne da Gesù".
L'episodio è come incastonato entro la stessa parola che sta all'inizio e alla fine del racconto, la parola greca odós, che significa la via, la strada.
All'inizio, del cieco si dice che sedeva "ai margini della strada". Alla fine si dice che Bartimeo "lo seguiva per la strada", letteralmente "nella via". Non era più ai margini, era nella via. Era nella via, perché aveva trovato - visto e trovato - Gesù, che è la via: "Io" diceva Gesù "sono la via, la verità, la vita".
Che cosa lo metteva ai margini? Ai margini della via, ma, ancor più, ai margini della vita. Certo, il fatto di non vederci. Se ti devi fidare degli occhi degli altri, ti portano dove vogliono, ti fanno credere quello che vogliono. Non sei un protagonista né della tua vita personale né della vita collettiva, sei un eterodiretto, sei pilotato, sei manovrato, servi. E come se servi! Al manovratore.
Tra l'essere ai margini della via e l'essere sulla via, passano, nell'episodio, gesti e parole. E le parole non sono pallide, non sono incolori, non sono spente. Sono grido, sono parole ad alta voce, quasi urlate. Una parola, anzi un grido su tutti, quello di Bartimeo, due volte nel nostro episodio: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me". È il grido degli occhi, parole ad alta voce.
Parole ad alta voce sono anche quelle dei molti che seguivano Gesù: "Molti lo sgridavano per farlo tacere". Parole ad alta voce, parole di una tristezza infinita, se pensi che a zittire quel grido, più che legittimo, sono quelli che vanno con Gesù. E non è uno. Può capitare che uno non capisca. È scritto: "molti". Molti considerano quel cieco come un disturbatore.
C'è un modo sperimentato, lo si ritiene molto affidabile, quasi infallibile per far tacere i "disturbatori": è quello di incollargli addosso il titolo di eretici o di senza religione, di senza Dio. Pensate quanti - quanti! - sono stati fatti tacere lungo i secoli e ancora oggi vengono fatti tacere in nome di Gesù, per la loro voce diversa, una voce che disturba. Disturba la falsa pace delle coscienze.
Gridavano per farlo tacere. Quasi che la strada non fosse di tutti, di tutte le voci, ma di una sola voce. Storia di tutti i tempi, storia inquietante anche dei nostri giorni: si vuole che la voce sia di uno solo. E che nessuno osi -come si permette? - il dissenso. O giullari di corte o destinati all'oscuramento.
Ma qui il vangelo ha un sussulto, sussulto di insurrezione. E a gridare, a guidare l'insurre-zione, la voce di un senza occhi! Anche questa è storia di Bartimeo, storia di insurrezione contro il tentativo, il progetto, di far tacere, di togliere la parola a qualcuno.
Spesso, troppo spesso, la nostra reazione di benpensanti si assesta sull'indignazione a motivo di qualcuno che alza la voce e grida. Non sempre o raramente ci si sofferma a chiedersi se quel grido non venga da diritti negati, cancellati e se non sia più che logico che uno senza luce negli occhi abbia in gola un grido che invoca pietà: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me".
Chi grida per far tacere, per togliere la parola, merita secondo il vangelo di Marco che qualcuno alzi la voce più forte di lui: "Ma egli" è scritto di Bartimeo "gridava più forte".
Sono voci, quelle di coloro che vogliono far tacere gli altri, che non meritano di essere ricordate. Il vangelo ricorda le parole del cieco, ricorda quelle di Gesù. Non ricorda le parole di costoro. Anzi, secondo il vangelo, i veri sordi sono loro: vedono Bartimeo, ma per loro rappresenta un caso, non è una persona; ascoltano il grido, ma per loro è un disturbo, non è l'urlo di un uomo dolente. E non si fermano.
Gesù sì, si ferma. È parola bellissima del vangelo, interrompe il movimento degli osannanti, i nostri passaggi trionfali, le nostre coreografie religiose. Si ferma.
Si ferma sempre davanti a un dolore, a un dramma il Signore e mette sotto accusa sacerdoti e leviti della parabola che tirano diritto. Lui si ferma. Anche in questi giorni si è fermato davanti a una tragedia di mare, tragedia assurda in termini di civiltà e di cuore.
Hai visto scorrere fotogrammi di una delle tante tragedie annunciate. Hai visto scorrere fotogrammi di corpi di naufragio, corpi di madri a protezione, da acqua e da gelo, di corpi inermi di bambini. Hai visto. E hai immaginato corpi inghiottiti per sempre nell'invisibilità delle onde. E ti vai chiedendo se i nostri occhi vedano veramente o non vedano. Ti vai chiedendo se gli altri, che non hanno l'animo di vedere i figli morire di fame, come nessuno di noi li vorrebbe morti di fame e tentano per disperazione il mare, li guardiamo alla maniera di Gesù o alla maniera di quelli che lo accompagnavano. L'altro come uno davanti al quale fermarsi o l'altro come un disturbatore?
Gesù si ferma e sembra dirottarci. Da Piazza S. Pietro dirottati per vangelo a un litorale di mare, a un braccio di mare, di quel mare che nel nome ha il destino di unire terre, oggi osannato a dividere terre.
Si ferma Gesù, come a dire: "Io ci sono". Al presente. Nel testo greco c'è questo bellissimo presente. Non è scritto: "avendo sentito che c'era Gesù", ma "avendo sentito che Gesù c'è…". Gli altri non si fermano, è come se non ci fossero. Lui c'è, infatti si ferma.
E lui, il cieco, non vede, non può vedere che cosa sta accadendo. Sente solo le voci. Nell'aria era rimasto il suo grido, più forte dell'altro che zittiva: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me". Ma poi in quell'aria tesa, quasi un'eco al suo grido, sente quella parola: "Chiamatelo!". Parola che non finiva di ritornargli come onda che lambisce, si ritrae e ritorna e non si ferma. Era il segno che quel Figlio di Davide si era fermato, che lui "c'è", che quel Figlio di Davide era pietà, era compassione, compassione per i suoi occhi di cieco.
E dopo quella parola "chiamatelo", un'altra parola: "Che vuoi che ti faccia?". Come se ti chiedesse di rivelare il desiderio più profondo del cuore: "Maestro mio" gli dice con tenerezza "che io riabbia la vista".
Non ci sembri banale questa domanda: "che cosa vuoi che io ti faccia?". Pochi versetti prima, nello stesso capitolo, la stessa domanda Gesù la rivolge a due dei suoi discepoli, Giacomo e Giovanni, stessa domanda: "Che cosa volete che io faccia per voi?". E che cosa gli rispondono? "Dacci di sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nella tua gloria".
Dacci di "sedere": voi mi capite, una questione di sedie, di poltrone, di posti. Siamo in un regno di ciechi, di morti, secondo il vangelo.
Il cieco, al contrario, rinasce, viene alla luce. Segno che è venuto alla luce è che non cerca di sedere, non cerca poltrone. Anzi balza in piedi, abbandona perfino il mantello. E ultimo fotogramma su di lui, figlio di Timeo, ultimo fotogramma per ogni discepolo, questo: "lo seguiva per la via".
Non so fino a che punto Bartimeo avesse intuito, certo l'aveva toccata sulla pelle. Sulla sua pelle aveva toccato la compassione. Seguire Gesù, seguire la via non era dunque andare per la via della compassione? La via su cui andò silenziosamente, lontana dalle abusate luci mediatiche, Annalena Tonelli, la volontaria laica, senza appartenenze e senza appoggi, assassinata in Somalia, la sera del 5 ottobre mentre rientrava a casa, dopo la giornata trascorsa in ospedale: due sicari, armati di fucile, le hanno sparato alla nuca.
In una sua testimonianza, alcuni mesi fa, così si era espressa e il ricordo andava a una parola folgorante di Luigi Pintor.

L'Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra. Se non amo, Dio muore sulla terra. Che Dio sia Dio io ne sono causa, dice Silesio; se non amo, Dio rimane senza epifania, perché siamo noi il segno visibile della Sua presenza e lo rendiamo vivo in questo inferno di mondo dove pare che Lui non ci sia, e lo rendiamo vivo ogni volta che ci fermiamo presso un uomo ferito. Alla fine, io sono veramente capace solo di lavare i piedi in tutti i sensi ai derelitti, a quelli che nessuno ama, a quelli che misteriosamente non hanno nulla di attraente in nessun senso agli occhi di nessuno.
Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse un giorno: "Non c'è in un'intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi". Così è per me. È nell'inginocchiarmi perché, stringendomi il collo, loro possano rialzarsi e riprendere il cammino, o addirittura camminare dove mai avevano camminato, che io trovo pace, carica fortissima, certezza che "Tutto è Grazia".

Non c'è in un'intera vita cosa più importante che chinarsi: questa la via di Gesù. "E lo seguiva nella via".

don Angelo


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