articoli di d. Angelo


 

E ASCOLTARE IL SILENZIO DELLE STELLE


Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Se ti invitassi - penso di non sbagliarmi - tu usciresti. Con me. Ad ascoltare il silenzio delle stelle.
Veniamo, so che esagero, dal paese del disgusto. Dal rumore delle parole. Assordante, impenitente. Un inferno in terra. E più si è vuoti, più si consumano parole. Più si è maschere, più ci si esibisce. E spengo il televisore. Spengo i volti truccati. Ho bisogno di altro.
Spengo la menzogna. Le parole hanno smarrito il loro suono. Usate per dire il contrario del loro suono, non hanno più la pesantezza del reale, hanno la leggerezza del nulla. Ascolto, chiudo. E dico: è il nulla. E poi parlano di nichilismo! Loro che sono giullari del nulla, giganti del nulla.
Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Non le vedo, e non è solo miopia, ne ascolto il brusio, un brusio di sincerità.
Nella notte il brusio della sincerità. Su me stesso, innanzitutto. Ho voglia di quaresima, come ho voglia di notti e di stelle.
Ho voglia di quaresima e non so se ce la farò, comincio a dubitare di me stesso, dei miei buoni propositi. Di buoni propositi, dicono, è lastricato l'inferno. Non conosco le strade dell'inferno. Conosco le mie e so che ne sono lastricate.
Ho voglia di ascoltarmi e di vedermi. Ma non da solo, con qualcuno. Da solo potrebbe essere disperante. Ho bisogno di ascoltarmi e di vedermi come mi ascolta e mi vede Dio. Un Dio che scruta il mio cuore, ma non a condanna. Non è, anche se purtroppo l'hanno messo, nell'immagine del Dio giustiziere. È nell'immagine di un Dio che mi raggiunge dove sono per restituirmi libertà, la libertà di essere me stesso e non nella schiavitù dell'apparire, non nell'ossessione della maschera.
Ho voglia di sincerità come ho voglia di notti e di stelle. Leggo il salmo, il salmo 138 (139). Non a condanna. Ma a salvezza.
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.

Terrò caro il salmo nei quaranta giorni. Se vuoi, potrai pregarlo anche tu in silenzio.
Ho voglia di deserto e di seduzione. Così è scritto nel rotolo del profeta Osea:
Ecco la sedurrò
portandola nel deserto e parlandole
al cuore.

Parlandole "sul cuore": ha tradotto qualcuno. Che Dio mi parli sul cuore! Già è grazia che uno parli al cuore, in stagioni di parole urlate declamate. In assenza di cuore. Già è grazia che uno parli al tuo cuore. Ma grazia delle grazie sarebbe che qualcuno ti parlasse sul cuore, in una intimità segreta, quasi riposando sul tuo cuore.
Il libro del profeta Osea prosegue con alcuni versetti omessi dalla Liturgia di qualche domenica fa:
Lì darò a lei le sue vigne,
e la Valle della Disgrazia
sarà Passo della Speranza.
Lì mi risponderà come nella giovinezza,
come quando uscì dall'Egitto.
Quel giorno - oracolo del Signore -
mi chiamerà "mio sposo", non più "idolo".
Le distorrò dalla bocca i nomi dei baal,
nomi che non saranno invocati.
Quel giorno stringerò per loro
un'alleanza con le fiere selvagge
con gli uccelli del cielo e i rettili della terra.
Nel paese spezzerò arco, spada e armi
e li farò dormire tranquilli.

Sono immagini intriganti che ci allontanano una volta per tutte da una religione nel segno dell'evasione. Se scendi alla punta segreta del cuore, non è per nostalgia di vuoto intimismo, al contrario è per recuperare il vento della libertà, vento di trascinamento nella vita e nella storia. Il deserto chiama il vento, il vento della libertà. Il vento non può essere trattenuto, sequestrato in una casa.
Dal vento, sulle sabbie accecate di sole, ricordo di essere stato a lungo abbagliato nei deserti della Giordania:
E sognerò
folate di vento
di libertà
e sabbia nei capelli,
spazi senza recinti.

La quaresima come noviziato di libertà, come noviziato a piste segrete d'indipendenza.
Il nostro è un Dio che non sopporta di essere chiamato baal, ovvero padrone, ama un nome di tenerezza: "marito mio". Né sopporta che ad altri venga riservato il nome di baal. Che nessuno la faccia da padrone nella vita, nessun uomo, nessuna donna, nessuna istituzione né laica né religiosa, nessun raggruppamento, nessuna corporazione: "le distorrò dalla bocca i nomi dei baal, nomi che non saranno invocati".
Dio rivendica per sé l'immagine di innamorato, uno che perde la testa - poi perderà la vita! - così lontana dall'immagine di un Dio misurato, equilibrato, dell'equilibrio di chi non si lascia toccare.
Questa è l'immagine di Dio che Gesù rivendica per sé, non l'immagine di un Dio padrone da placare con i digiuni, ma l'immagine di un Dio sposo da testimoniare con la gioia, con la festa, con il vino nuovo: "Perché" dicevano "il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori?". E non capivano! Ancora oggi qualcuno non capisce o fa finta di non capire.
È questa l'immagine di Dio, l'immagine di Gesù che va salvata. È questa che fa la differenza. Oggi si sta sollevando un grande polverone sulla difesa dei valori cristiani. Si usa la parola "cristiani" ed è solo una parola. Senza contenuti. Il contenuto è questo, la differenza è questa: un Dio innamorato, un Rabbì che mangia con i peccatori, non con i puri, un Dio malato d'amore che ci chiede di testimoniarlo ammalandoci d'amore, squilibrandoci come lui si è squilibrato. Il Cristianesimo è questo.
E benediciamo il Signore per questa grazia che ci concede: di riaprire, ogni sette giorni, le antiche Scritture, il Vangelo e di essere così istruiti sulla vera immagine di Dio, di Gesù, del discepolo. Se no, si inseguono fantasmi, i nomi diventano fantasmi.
È quello che purtroppo in questi giorni sta succedendo sotto i nostri occhi e ci colma d'indignazione. Ci si erge a difensori del cristianesimo. Li guardi sbiancando in volto, le proposte sono esattamente l'opposto di ciò che sta scritto nei vangeli. Un Cristo, un nome senza storia. Che ne avete fatto del suo vangelo? Che ne avete fatto di Gesù? Lui che è un Dio che mangia e beve con pubblicani e peccatori, un Dio che passa il confine, che scopre segni di fede nel territorio della non credenza, un Dio che chiama "pagani" quelli che fanno del bene a patto di reciprocità: "che fate di straordinario?" diceva "lo fanno anche i pagani". Difendiamo un cristianesimo senza Cristo? Difendiamo un paganesimo con il nome di cristiano? Su questo dovremmo interrogarci.
Qualcuno giustamente ci direbbe: non nominare il nome di Dio, di Cristo, invano. A vuoto, a sproposito, per vile interesse. Sarebbe come mettere, dice Gesù, un panno grezzo su vestiti logori, vecchi. Con la conseguenza che lo strappo è ancora peggiore. Non è questo il rimedio.
Le radici sono nel silenzio della terra. Dio solo le vede. Se sono radici cristiane o no, lo riconoscerai dai frutti. Criterio infallibile segnalato da Gesù: "dai loro frutti" diceva "li riconoscerete" (Mt 7,16).
Ho voglia di uscire nella notte e di ascoltare il silenzio delle stelle. Dopo l'insostenibile leggerezza delle parole, ho bisogno che qualcuno nel silenzio sotto le stelle mi racconti quali sono i frutti dello Spirito. "Il frutto dello Spirito" dice Paolo "è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22).
Ne ho abbastanza, ce n'è d'avanzo, per passare quaranta giorni a interrogarmi. Non sulle radici. Sul frutto dello Spirito.
Ho scritto del desiderio, il mio. Desiderio di notti e di silenzio di stelle. Desiderio di deserti attraversati da folate di vento d'indipendenza. Vorrei aggiungere, desiderio di montagne. Mi porto in cuore i passi di salita di Mosè, di Elia, di Gesù al monte.
Stette Mosè sul monte Sinai. Quando scese "non sapeva che la pelle del suo viso era raggiante perché aveva conversato con Dio" (Es 34,29).
Un desiderio ci conduce: che illimpiditi sul monte siano i volti. Gridiamo cristianesimo e abbiamo occhi duri, e faziosi, senza fascino. Voci come pietre, senza sussulti. Giudizi come clave, senza remissione. Mascheriamo i volti in assenza di luce. Forse non abbiamo conversato con Dio, ma con noi stessi o con i baal di turno.
Stette Elia sull'Oreb e fu monte di conversione, monte di rivoluzione di pensieri e di intenti per uno come lui che veniva dall'aver scannato quattrocentocinquanta falsi profeti al torrente Kison. E da fessura sul monte, da fessura di caverna odorò il mistero di Dio, di un Dio che non è nella potenza del tuono, del turbine, del fuoco. Dimora la voce di un sottile silenzio.
Dopo millenni ascolto, osservo. L'Oreb è lontano. Siamo ancora al torrente, il torrente Kison. Che grazia per tutti salire alla caverna di spiamento dell'Oreb!
Dimorò Gesù sul monte. E fu monte di notte. Non c'è traccia del nome del monte nei vangeli, ma fu monte di un desiderio, desiderio di solitudine, desiderio di fuga dal delirio delle folle, dopo che i cinque pani di un ragazzo, per miracolo di condivisione, divennero pane dei cinquemila: "ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo".
Montagna della fuga da ogni fraintendimento di via: era venuto per servire e non per essere servito. Nella notte sul monte a confermare la via.
Vorrei salire il monte di Mosè, il monte di Elia, il monte di Gesù. Troppo è il desiderio di limpidezza. Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle.

don Angelo


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