SOFFIA
SUL CARBONE DEL CUORE
Sgocciolano
di pioggia i vetri. Batte il passo la primavera, come uno
scricciolo quasi implume, che teme il fuori nido. E io,
contagiato dal male del secolo, il "tutto subito",
a sognare primavere forzate. Oggi che tutto, o quasi tutto,
è forzato. Pure i bambini forzati. Anche Dio, anche
lui, forzato.
Sgocciolano i vetri. E domani sarà nuova fatica nella
casa per le donne cui toccherà illimpidirli. Forse
è l'otto marzo che spinge a domandare. Sta il fatto
che un pensiero mi sta attraversando il cielo: hai mai ringraziato
una donna per averti illimpidito i vetri? Non penso sia
così frequente.
Dai vetri sporchi entra a rilento pure il sole. Sembra perdere
colore e, per chi guarda da dentro, è come se le
cose fossero annebbiate, ingrigite, confuse in immagine.
Sento battere un bisogno di limpidezza. Ai vetri dell'anima,
non quella ostentata, che è sempre, o quasi sempre,
celebrata come se fosse chiara. No, ai vetri dell'anima
più segreta.
Bisogno di verità che mi è parso di incrociare
in uno dei brani d'inizio quaresima, un brano che nel nostro
immaginario passa come il racconto delle tentazioni di Gesù.
E Dio voglia, per inciso, che sia fine una volta per tutte
all'improponibile, disgustosa teoria che quella fosse semplicemente
una finta, perché il Figlio di Dio per i benpensanti
della fede non poteva di certo essere sfiorato se non dall'idea
del bene. Sciocchezze che non commuovono né la mente
né il cuore.
Mi piace invece pensare, al di là delle mille e una
interpretazioni bibliche, che a spingere prepotentemente
Gesù nel deserto, prima di "scendere in campo"
- ormai era vigilia di strade e di incontri - sia stato
quasi un bisogno di fare chiarezza. Nella sua anima. Dal
momento che anche lui ne aveva una!
Un bisogno dunque di fare verità in se stesso, dentro
il silenzio quasi infinito, a prova di vento, del deserto.
Perché se non fai verità in te stesso, se
non fai verità sul senso della tua missione, la "discesa
in campo" non può che giustamente inquietare.
È a rischio di distruzione, e non di salvezza. A
crescita di disumanità e non di libertà. Da
dove infatti viene la tempesta dell'imbarbarimento? E ci
perdonino i barbari, spesso meno "barbari" di
coloro che li volevano sottomessi all'impero. Da dove oggi
l'imbarbarimento?
Se sono chiaro, quando esco, ed esco alla vita ogni mattina,
porto chiarezza, se sono limpido, porto limpidezza. Ma se
sono ambiguo porto ambiguità, se sono corrotto, quando
esco, ed esco ogni mattina alla vita, porto corruzione.
E allora la domanda, da vivere nel silenzio dell'anima,
è questa: per che cosa vivo, per che cosa esco alla
vita ogni giorno, che cosa mi spinge?
Più mi inoltro in questo mio tempo e più sento
sete di deserto. Di silenzio. Di verità. Di pensiero.
E non mi si dica che è vizio di intellettuali o di
poeti. E che la gente che non ha "studiato" ha
bisogno di altro e di altri. Di altri che pensino al suo
posto, perché non ha né la testa né
il tempo per pensare.
Se c'è un vuoto che mi spaventa fino a farmi temere,
temere del mondo, è il vuoto di pensiero e, di conseguenza,
la strategia, questa sì satanica, di cancellare diabolicamente
lo spazio del pensare.
Immaginate se avvenisse la sospensione. La sospensione non
è prevista. A una cosa succede senza sosta l'altra.
Forse esagero. Ma è sperando in un sussulto di coscienza.
Da povero sognatore provo ad immaginare. Lo schermo si fa
improvvisamente muto, muto e vuoto. Appare una scritta:
"ma che cosa hai visto?" E, dietro la domanda,
altre a stimolare il pensare: quali modelli d'umanità
e quale pienezza di vita? E che cosa ti è rimasto?
Il vuoto? E come rientri nella vita? Dopo questo bagno di
immagini. E almeno ci rimanesse il sorriso, l'allegria.
Di questo pure si nutre la vita. Ma non ci accorgiamo che
ormai siamo forzati? Loro forzati a far sorridere. Se ti
accorgi, ti fanno pena. E noi, a nostra volta, forzati a
sorridere.
Ma dov'è la vita, la nostra, quella reale? E dov'è
il pensiero? Se lo schermo rimanesse vuoto, vuoto e muto,
e dentro la sospensione, una scritta: "dov'è
il pensiero?", ci sentiremmo impietosamente turlupinati,
turlupinati nella nostra intelligenza.
Dov'è il pensiero? Forse questo è lo spartiacque.
Il Cardinal Martini era solito dire che la vera differenza
non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti
e non pensanti.
Lo spazio del pensare, lo spazio della Parola, della Parola,
altra dalle pallide parole, ci fa resistenti, uomini e donne
della resistenza.
Bisogno di verità che mi sembra diventare prepotente
nel racconto delle tentazioni, dentro l'aria di menzogna
di tante parole, parole viscide, usate dal satana, proposte
scintillanti di vita, modalità vincenti per la missione
di un Figlio di Dio. Un Figlio di Dio, come sei tu, deve
muoversi così: con i miracoli, con lo spettacolo,
con il fascino del potere. Lo dice anche la Scrittura.
E Gesù passa il deserto, passa il silenzio del suo
"faccia a faccia" con Dio, fa chiarezza. Fa chiarezza
dentro di sé e prende la distanza dalla menzogna.
Pensate. Se Gesù fosse sceso in campo per la seduzione
delle folle, per dominare su qualsiasi altro? Non avremmo
visto niente di nuovo, ma quello che accade anche oggi.
Purtroppo sotto i nostri occhi. E crea disgusto.
Occorre che io faccia limpidezza in me stesso. E porti alla
luce angoli di menzogna. E venire alla luce.
Il satana del racconto di Matteo è inverosimilmente
pirotecnico, un fuoco d'artifici, di parole, di gesti. Usa
pure le Sacre Scritture. Ma a modo suo, a uso d'interesse.
Può imbalsamare perfino una chiesa e ridurla a burocrazia.
Ricordo la dedica di una poesia di Giovanni Cristini a Don
Mazzolari nei giorni della sua morte:
A Don Primo Mazzolari
che la morte ha liberato
dai piccoli burocrati di Dio.
Succede a una chiesa, quando a sedurre è il fascino
del potere, quando nell'aria è lo stordimento della
menzogna.
Se la verità, quella senza manovratori, quella di
Dio, ci fa liberi, come diceva Gesù, la menzogna
invece fa schiavi.
Il deserto, che Gesù cerca, spinto prepotentemente
dallo Spirito, non poteva non evocare al suo cuore quando
lo fissava, a perdita d'occhi, il deserto che i suoi padri
avevano conosciuto, sperimentato, patito sulla pelle. E
non per quaranta giorni, ma per quarant'anni. Passaggio
faticoso dalla schiavitù alla libertà: una
marcia sovrumana, eroica, durata quarant'anni. Verso la
libertà. A prezzo di sete, di fame, di vento, di
sabbie.
Non so se capita anche a voi di avvertire a volte come una
sensazione di catene, catene che trattengono. "Sciogliete"
è scritto nel rotolo di un lontano discepolo di Isaia
"Sciogliete le catene inique". Ci si sente incatenati.
È così vero, per esempio, che io non potrei
fare qualcosa di diverso, non importa se piccolo, ma di
diverso? O sono catene?
È così vero che non potrei entrare nella vita
di ogni giorno se non con l'approccio oggi celebrato, quello
della competizione, del-l'utilizzo dell'altro, del possesso
dell'altro? O sono catene?
È così vero che le cose stanno così
e che il corso della storia non può essere mutato,
che il mondo dovrà essere sempre diviso tra coloro
che mangiano, i meno, e coloro che non mangiano, i più?
O sono catene?
È così vero che il potere chi ce l'ha ce l'ha
e ne usa come vuole, perché la regola è questa?
O sono catene?
E potremmo continuare. E sento le catene, le mie, quelle
degli altri. E forse anch'io a incatenare. A incatenare
la Parola di Dio. "La Parola di Dio non è incatenata":
scriveva Paolo a Timoteo (2 Tm 2, 19).
Ma a volte noi purtroppo la incateniamo. La incateniamo
con le nostre osservanze religiose. Va rimessa in libertà.
Le vostre preghiere sono chiasso: ammoniva il profeta. Chiasso
che disturba il cielo. E digiuno, digiuno vero, quello che
desidero - dice Dio - non è mortificare l'uomo, ma
è far vivere, è rimettere in libertà,
sciogliere le catene Digiuno vero è libertà.
Regno di Dio è una terra di libertà. Una terra,
delle coscienze e dei popoli, senza faraoni. Nella libertà
dei figli di Dio.
Spesso si grida a un bisogno di polizia. È nell'aria,
scandito a gran voce. Ma non sarà che ci stiamo ingannando
e che il bisogno più urgente non sia quello di polizia,
ma di pulizia, di limpidezza? Ma già, ancora una
volta prevalgono gli slogan e i teoremi. In castigo è
il pensiero. In castigo la Parola di Dio che non esita a
dire da dove incominciare.
Giorni fa Bianca, un'amica, mi ha suggerito una citazione,
scoperta in un libro di Harold S.Kushner dal titolo "Ma
cosa ho fatto per meritare questo?". Harold S.Kushner
in un capitolo del suo libro ricorda alcuni versi di un
poeta di grande sensibilità, Archibald Mac Leish,
che Bianca non ha più cancellato, versi luminosi,
a prova di emozione:
Le candele nelle chiese sono spente,
Spente le stelle nel cielo.
Soffia sul carbone del cuore
E tra poco vedremo...
I vetri più non sgocciolano di pioggia. Una donna
ancora una volta li ha illimpiditi.
Ora sappiamo da dove partire. Ed è scritta anche
una speranza.
Soffia sul carbone del cuore. E tra poco vedremo
don
Angelo
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