articoli di d. Angelo


 

TROPPO VUOTO O TROPPO PIENO?

Troppo pieno agli occhi di un giornalista.
Era un articolo in controtendenza. Fin dal suo titolo: "Ma per favore non accusate il solito vuoto".
Mi incuriosiva. E non solo perché, nonostante gli anni, mi rimane dentro, forse in piccolo, l'antica anima del bastian contrario, ma forse anche perché, quando le parole, le stesse, vengono prese a prestito da tutti fino a diventare un luogo comune, parole declamate con enfasi, ripetute all'ossessione, piena la bocca vuota la vita, mi rimane in cuore più di un sospetto, provo un senso di sazietà, l'anticamera del rifiuto.
L'articolo in controtendenza era su un quotidiano laico, "La Repubblica". Va da sé che non tutti gli articoli di un giornale mi trovano in sintonia. Non quelli dei giornali laici, ma nemmeno quelli dei quotidiani cattolici. Tanto per intenderci.
Ci sono -chi lo immaginerebbe?- giornalisti che passano la vita a fare le pulci agli articoli degli altri. Ad alcuni possono forse piacere, ma non sono di mio gradimento. Mi insegue, mi sento braccato dal detto di Gesù: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della la trave che è nel tuo?" (Lc 6, 41).
Sorprendentemente l'articolo, che era di Michele Serra, incrociava in parte i pensieri di un prete alla vigilia di una nuova quaresima. Tempo di navigazioni forti la quaresima, un tempo che ci chiama a verificare con urgenza la rotta.
Di fronte a delitti umanamente assurdi come quelli che ci hanno profondamene segnato in questi giorni, fino a ferirci là dove, nonostante tutto, ancora resiste un'immagine promettente di umanità, diventa un rito accusare, spesso retoricamente, il vuoto. Ma quale vuoto? Si chiede Michele Serra. Troppo vuoto o troppo pieno?

Vengo alla citazione:
"Si dice che l'assassino è il vuoto (nelle sue varianti più note: vuoto di valori, vuoto di ideali, vuoto di sentimenti), e lo si dice un po' ritualmente, magari per chiudere in fretta una così orribile istruttoria. Così che "l'assassino è il vuoto" suona come la variante pensosa de "l'assassino è il maggiordomo".
Il vuoto, però, aveva un alibi di ferro: non c'era. Non c'è. Ed è un bel pezzo che nessuno lo vede e lo sente.
Quella sera non era a Novi Ligure, non era in Italia, non era in alcun luogo dell'impero d'Occidente. Che è, con ogni evidenza, l'impero del Pieno, mica del Vuoto. È il vasto, febbrile posto dove ogni casa, ogni minuto, ogni vita sono pieni di cose da fare e da dire, corsi da seguire, problemi da risolvere, programmi da registrare, appuntamenti da onorare, ansie da accordare, sentimenti da approfondire, alimentazioni da riprogrammare, vacanze da rimandare, difetti da correggere, lacune da colmare, talenti da perfezionare, sicurezze da conquistare. Vuoto?
Sia pure con la fragile presunzione di ogni analisi indiziaria, proviamo a pensare il contrario. Proviamo a pensare che l'assassino sia il pieno. Che a interrompere la connessione tra una persona e il proprio sè possa essere appunto l'occupazione costante e greve del suo territorio mentale, l'abuso della psiche, l'attivazione simultanea di tutti i suoi talenti e i suoi desideri".

Anche i laici sono oggi con noi a confessare che provvediamo i figli di tante cose, anche troppe. Ciò che invece non riusciamo più a donare loro è "la forza del vuoto, il privilegio della solitudine, la ricchezza della contemplazione, il lusso impagabile della distrazione".
L'invito è dunque a diradare la fitta foresta di impegni e desideri e a indicare una qualche radura in cui sostare.
Mi chiedo se proprio questa immagine della radura non fosse quella suggerita, con una saggezza dimenticata, dalla fede del passato, quando aveva disegnato e proposto il cammino della quaresima: il deserto, la radura, la memoria dei quaranta giorni in cui anche Gesù in qualche modo volle ascoltarsi nel più profondo e ascoltare l'Abbà, fuori dall'assedio delle parole, fuori dal rumore delle cose.
Far posto dunque, ma non con le forzature che purtroppo sono entrate prepotentemente anche nelle nostre chiese. Far posto alla Parola che scende in te e illumina il volto.
L'ossessione -lo costatiamo- è entrata perfino nelle chiese, che non sono più radura, ma foresta di indicazioni, di ordini, di concitazione: "Alzati, canta, siediti, muoviti…". Fuori dal tempo, il tempo delle coscienze e del cuore.
Troppo pieno non solo nei programmi ecclesiastici, ma troppo pieno perfino nelle chiese. E nessuno che si chieda se non starà anche qui la ragione del fatto che poi non succede proprio nulla.
Diradare la foresta diventa, a tutti i livelli, un compito urgente.

E disegnare la radura.
Ancora una volta fa pensare quella beatitudine messa dagli evangelisti al primo posto. "Beati i poveri in spirito": nel vangelo di Matteo. "Beati voi poveri": nel vangelo di Luca.
Sulla scia dei nostri pensieri potremmo forse riscrivere così la beatitudine: beati coloro che non sono pieni, beati coloro che non sono sazi, beati coloro che fanno spazio.
Ricordo che mi colpì in una liturgia del mattino, nel monastero di Bose, l'ammonimento di un monaco: "Chi ha spazio faccia spazio". Non so se quella fosse la trascrizione della parola di Gesù "chi ha orecchie per intendere intenda". So che è una parola di rara suggestione: "Chi ha spazio faccia spazio". Beati i poveri, beati coloro che fanno spazio.
Il troppo pieno agli occhi di un giornalista.

Il troppo pieno agli occhi di una giovane carissima amica.
Era una sera, una di queste. Mi parlava come chi ti dice una cosa che sta a cuore. E la cosa, prima che disegnata nelle parole, era disegnata nel fremito delle labbra, nel luccichio degli occhi.
Anche lei metteva un dito sul "troppo pieno". Il troppo pieno in beni della nostra vita, il troppo pieno delle nostre famiglie, il troppo pieno del nostro tenore di vita. Un troppo pieno in controtendenza con la radicalità della proposta custodita nella Bibbia, in controtendenza con la povertà e l'ingiustizia che segnano drammaticamente i due terzi dell'umanità.
Leggevo sul volto della mia amica una passione e una sofferenza capaci ancora di smuovere uno come me che ha i suoi anni, capaci di inquietare uno che ha mille scuse a disposizione per far tacere e mettere all'angolo i sogni e le profezie.
La sensazione, che ora mi rimane dietro le parole dell'amica -una sensazione che cresceva col crescere delle sue parole- è che io mi stia imborghesendo, che la chiesa si stia imborghesendo, che i giovani, purtroppo anche loro -se anche loro, chi ci salverà?- si stiano imborghesendo: il troppo pieno.
La sensazione, dietro le sue parole appassionate, che anche la Bibbia possa diventare fatto estetico, declamazione verbale. Ci si riempie la bocca nelle chiese dei sogni e delle profezie del Libro, ma poi la vita rimane quella di sempre: vita troppo piena. Piena di beni, di comodità, di privilegi.

La radura della quaresima con il suo richiamo al digiuno -tenere vuoto il troppo pieno- spinge verso stili di vita più sobri e più austeri.
Purtroppo, anche per quanto attiene il digiuno, è avvenuto uno stravolgimento.
Potrebbe avere ancora senso soffrire il vuoto per una giornata per portare scritto nella propria pelle il grido della fame che urla silenziosamente nel dramma di tanta parte dell'umanità.
Fa' spazio al grido. Fa' spazio al grido in questa nostra vita troppo protetta, troppo agiata, troppo privilegiata.
Un lontano discepolo di Isaia ci ha ricordato in questi giorni che cosa è vero digiuno agli occhi di Dio.

Digiuno non è piegarsi come un giunco. Dio i suoi figli non li vuole piegati ma dritti, dritti nella loro libertà di figli, liberi dall'idolatria del denaro, del successo, del potere.
Digiuno non è piegarsi come giunco, ma risollevare coloro che la vita o l'ingiustizia degli umani ha vergognosamente piegato.
Digiuno è fare spazio agli altri. Digiuno è inventare. Riappropriamoci della nostra capacità di inventare.
Inventare uno stile di vita meno appesantito dalle cose e, di conseguenza, non sfuggire a domande che non sono così banali, le domande che vanno a interrogare sull'uso del denaro, sulle spese necessarie e su quelle non necessarie nella nostra vita di tutti i giorni.
Il troppo pieno agli occhi della mia giovane amica e le parole di Gesù nel vangelo di Luca: "Beati voi poveri", beati voi che non siete assediati dalle cose.
Forse poche volte valutiamo quanto siano liberatorie queste parole di Gesù, come ci renda beati il non essere assediati dalle cose, perché altri godano di una vita, nei fatti e non solo a parole, promettente.
Una beatitudine scritta nel luccichio degli occhi di un'amica.

don Angelo


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