CHE
SIGNIFICA QUESTO?
"Sabato, 15 giugno, ore 11.30": così l'annuncio
nella partecipazione del matrimonio. E dalla fessura -un
taglio nel cartoncino aragosta- si intravedono occhi e labbra,
gli occhi di Mariachiara, le labbra di Steffen: un rigo
di sorriso li unisce, occhi e labbra che sorridono.
L'orario d'inizio delle celebrazioni, del matrimonio soprattutto,
spesso è provvisorio, a rischio. A rischio di ritardo,
per lo più per gli imprevisti della sposa.
Il matrimonio di Mariachiara e Steffen non fu a rischio
di ritardo. Fu matrimonio in anticipo, se così si
può dire. In anticipo di un giorno.
Era come se tutto iniziasse da prima, in anticipo, fin dalla
sera prima, la sera di venerdì.
L'appuntamento
era tra le montagne, le montagne estasiate delle Dolomiti.
La scelta -così mi era sembrato- era più che
opportuna, funzionale: avrebbe risparmiato qualche ora ulteriore
di viaggio a chi, come i parenti di Steffen, sarebbe arrivato
da molto lontano, dai confini della Germania dell'Est.
Ma poi, al calar delle ombre, dentro la luce tenera dei
monti, mi sembrò di capire che la scelta non doveva
essere stata dettata da ragioni puramente funzionali.
Le case, meta del convenire, case vegliate e protette dagli
abeti, facevano villaggio, villaggio di appuntamento, appuntamento
da tutto il mondo.
Gli occhi di Mariachiara e le labbra di Steffen sorridevano.
Instancabilmente.
La sensazione, bellissima, era che la celebrazione fosse
già iniziata e l'inizio del matrimonio fosse sotto
gli abeti, fosse nel raccontarsi di ragazzi e ragazze convenuti
da tutto il mondo. Più calavano le ombre e più
si infittivano i racconti.
E quando fu buio, il buio inviolato dei monti, i racconti
infittirono la grande sala del villaggio: si arrivava da
mesi, da anni di cammino e ci si raccontava -come forse
succedeva un tempo presso il fuoco- pezzi di storie, sentieri
smarriti e ritrovati.
Fu
notte e fu mattino. Il racconto prese la forma di una liturgia,
lontana, per grazia, dalla pretesa di rinchiudere il sacramento
nel confine della celebrazione, come se il sacramento -che
dice il mistero di Dio- avesse un principio e avesse una
fine: il sacramento veniva da lontano e portava lontano.
Se c'è un sacramento -così mi sembra di intuire-
che soffre l'interrogativo di Dio a Davide, è quello
del matrimonio: "Ma come? Io sono stato dovunque sei
andato e tu mi vuoi imprigionare in un tempio, in un rito?".
"Dovunque siete andati, io sono stato con voi; dovunque
andrete, io sarò con voi": Dio non è
nel gelo dei monumenti, Dio è nel brivido dei nostri
inquieti cammini. Dio è nella tenda, si muove con
noi.
Il
matrimonio dunque come la tenda, la tenda mobile di Dio,
di un Dio che entra nella storia di due creature che si
amano, nella loro carne, nella loro casa. E dunque più
che sacramento delle chiese, sacramento dei volti, della
casa, della tavola, della relazione. Un Dio che edifica
la casa, più che le chiese e dunque anche la tua
casa. Così ci ricordava, nella penombra della chiesa,
il secondo libro di Samuele, nel timbro forte e cadenzato
della dizione in lingua tedesca.
Ed esplose il canto nell'unisono della lingua parlata dagli
ebrei: "Anche se cammino in una valle di morte, non
temerò alcun male, perché tu sei con me".
Fiorivano
lingue nella chiesa, fino ad intrecciarsi l'una all'altra,
per dire insieme, senza perdersi, il miracolo della Pentecoste.
Che significa questo?
La lettura degli Atti che racconta dello Spirito che investe
come vento la casa e dà riverberi di fiamma sui volti,
iniziata dal lettore nella nostra lingua, ecco che d'improvviso
si scioglieva in più lingue: era tedesco, era inglese,
era italiano. Più lingue insieme, all'unisono, a
raccontare il prodigio. Più lingue insieme ora leggevano:
"Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore
dicevano: "Costoro che parlano sono forse tutti Galilei?
E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra
lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della
Mesopotamia, della Cappadocia, del Ponto, dell'Asia, della
Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della
Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti,
Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nella nostra lingua
le grandi opere di Dio". Tutti erano stupiti e perplessi,
chiedendosi l'un l'altro: "Che significa questo?"".
Che
significa questo?
Il matrimonio di Mariachiara e Steffen era il miracolo della
Pentecoste: radunati dal mondo, dall'Italia, dalla Germania,
dalla Francia, dalla Spagna, dall'Inghilterra, da Israele,
dalla Giamaica, dalla Cecoslovacchia, dalla Finlandia...
convenuti dal mondo e il miracolo di capirsi.
Il miracolo non è che ci sia un'unica lingua, un'unica
cultura, un'unica tradizione religiosa. Che miracolo sarebbe?
Il miracolo è che tu, Steffen, che tu, Mariachiara,
hai accolto, senza perdere la tua voce, la voce dell'altro;
hai accolto, senza perdere la tua cultura, la cultura dell'altro;
hai accolto, senza perdere la tua tradizione religiosa,
la tradizione religiosa dell'altro.
Miracolo del matrimonio di Mariachiara e di Steffen, ma
miracolo di ogni matrimonio che sia vero: l'unità
dei volti, la comunione delle diversità, una diversità
che Dio ha già scritto nella carne, nell'essere uomo
e donna, una diversità che diventa ricchezza.
C'è
emozione in questa chiesa di montagna, nella promessa che
Mariachiara e Steffen si scambiano l'uno nella lingua dell'altro,
nei canti che sembrano radunare le lingue e i ritmi del
mondo, nei testi senza confine, penso all'ultimo, sul finire
della celebrazione, un testo che risale al 1000 a.C., testo
dell'India antica, tratto dal "Atharva-Veda",
che ora viene letto a brani, alternando lingue, il tedesco,
l'inglese, l'italiano:
"
Così l'uno ama l'altro, come la sacra
vacca ama il vitellino che appena le è nato
e la moglie divida col marito la sua vita, dicendogli parole
dolci come il miele
siano come persone che viaggiano
insieme verso lo stesso posto e annuncino con gioia il loro
arrivo. Voi che avete chi vi guida e che siete dotati di
intelligenza non lasciate che la divisione passi attraverso
di voi, siate pronti ad agire uniti insieme e in questo
modo andate sempre avanti".
È vero, noi oggi non abbiamo capito tutto della lingua
dell'altro, ma esistono sentieri di comunicazione insospettati.
Tommaso mi traduce il commento di un ragazzo tedesco: "Parlando
di te, dice che durante la celebrazione non capiva tutto,
ma sentiva ciò che tu dicevi".
Per
troppo tempo, forse, abbiamo chiuso i sacramenti in una
rigida compostezza, che ha finito per soffocare e spegnere
ogni sussulto e ogni creatività. Il risultato è
la sensazione di assistere al "già visto",
fotocopie di fotocopie.
Ora comincia ad accadere qualcosa che ti prende il cuore,
il cuore anche di chi si confessa "non credente".
Un mese fa una donna, non credente, profondamente laica,
a commento di un matrimonio indimenticato, celebrato nella
nostra chiesa, ebbe a dire: "Confesso che ero entrata
con disagio, convinta di assistere a una cerimonia di una
noia infinita. Sono rimasta sorpresa, coinvolta in una emozione
crescente, che non mi ha mai abbandonato, mai, dall'inizio
alla fine".
Che
ogni matrimonio -celebrato tra i monti o no- ritorni ad
avere un sapore, che sia il suo; ritorni a rivestirsi di
colori, che siano i suoi. Non diceva forse Gesù:
"Siate sale
siate luce
"?
La luce non appiattisce, né violenta. La luce silenziosa,
risveglia e rivela i colori delle cose.
Mi rimane nel cuore l'emozione di questa luce dei monti,
luce che dà un colore alle montagne al mattino e
poi un altro a mezzogiorno e un altro ancora alla sera.
Così tu, Steffen, risveglia tutti i colori di Mariachiara.
E tu, Mariachiara, risveglia tutti i colori di Steffen.
E insieme risvegliate i colori dei vostri amici, i colori
di quanti incontrerete, i colori, quelli veri, di questa
nostra terra. Che Dio vi doni di risvegliare i colori della
vita, nei giorni luminosi come questo ma anche nei giorni
di buio che non mancheranno.
E che possiamo tutti insieme custodire i sogni. Il vostro
matrimonio ce l'ha ricordato fin dal cartoncino aragosta:
i tuoi occhi, Mariachiara, e le tue labbra, Steffen, sorridevano
tra le parole di Sebastiao Salgado: "Il destino degli
uomini e delle donne è di creare un mondo nuovo,
di far risorgere la vita, di ricordare che per ogni cosa
esiste un limite, una frontiera, ad eccezione dei sogni,
che permettono di adattarsi, di resistere, di credere. Nella
storia non esistono sogni solitari".
Per questo avete scelto di sognare insieme, di sognare con
noi.
don
Angelo
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