articoli di d. Angelo


 
GIORNI DELLA DESOLAZIONE O DELLA RICOSTRUZIONE?
alla vigilia delle elezioni


Stiamo discendendo. Che sia discesa agli inferi? Ti confesso che sono giorni che tento invano di fuggirli. Fuggo da un canale, me li ritrovo su un altro. Soffro persecuzione Non mi riconosco nei loro volti. Truccati. Intuisco che mi vogliono comprare. Come un giorno le vacche sulle piazze del mercato. Ma allora c'era più colore di vita e più fantasia. Più allegria, mi dicono. Sulle piazze del mercato. Le furbizie erano scoperte, svelate, davano allegria.

Oggi, sul "mercato" televisivo i volti sono senza fantasia. E non è furbizia ingenua, quella che traspare oggi, è corruzione. E più soldi hanno, più li vedo. Trionfanti dagli schermi: Ampiamente pagati. Una fiera di venditori.

Per contraccolpo, come li vedo, mi si accendono a refrain le parole di un vecchio proverbio -antica sapienza! - che non finisce di rimuginarmi dentro, nella mente. Sapienza dialettale, ma sapienza. Sapienza di come va la vita: "chi vusa pussè" dicevano i nostri vecchi "la vaca l'è sua". Parole che tradotte vengono a dire: "chi urla di più, la vacca è sua". Come a dire che le vacche se le prendono gli urlatori. Le vacche. E i risultati elettorali?

Ma come mai - mi chiedevo - come mai siamo finiti in mano ai venditori? Fino allo scempio cui stiamo assistendo? Ci hanno venduto una civiltà che è inciviltà, un benessere che è malessere, un progresso che è regresso. E hanno avuto anche la spudoratezza di chiamarla civiltà, di chiamarla civiltà cristiana.

Ci hanno rubato l'anima. Mentre mettevano in prigione i ladri di quattro soldi, ci hanno rubato l'anima. Dentro un clima - e avviso di reato viene a noi - dentro un clima di assuefazione generale. Dentro il sonno della ragione, dentro l'afasia assordante delle gerarchie, interessate ad altro. E si fa scempio dell'anima. Nemmeno abbiamo udito, per sordità dello spirito, l'urlo dei profeti, dei profeti di tutti i tempi, che si levava a notte , a monito, dalle tombe. Per questo sfregio, per questo scempio d'anima. D'anima e d'umanità. Un panorama desolante. Dove la fatuità, l'artificio, la menzogna, la corruzione, la furbizia dei disonesti, lo scempio dei sentimenti, lo svilimento della donna, la devastazione del suo corpo, la seduzione dell'adolescenza per miti di carta colorata, fanno scuola, nei salotti del vuoto, dalle tribune e dai palchi di satrapi e sultani. E la corte a incensare. A incensare il vuoto, il vuoto d'anima.

Come mai siamo finiti in mano ai venditori? Per mancanza - così penso - di sussulti di pensiero. Ci ha rovinati la mentalità della delega, quella che ci insegna che il dono di pensare l' hanno altri, a noi tocca seguire. Ciecamente. Non ci hanno mai, quasi mai, commentato l'invito di Gesù a giudicare. Molto commentato e giustamente l'invito a "non giudicare", nel senso di non emanare sentenze di esilio o di morte nei confronti di qualcuno. Ma poco, o quasi mai, ricordato l'invito a giudicare, e da noi stessi! E non per imbeccate dall'alto! A giudicare ciò che è giusto. Rimprovero severo: "e perchè non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc 12,57)

Di qui l'appiattimento. Ingoiamo tutto. O pensando che non è poi così male o non rendendoci nemmeno conto di ciò che ci viene propinato. Ho letto di un bambino che riempie di botte un suo compagno semplicemente, drammaticamente, perché ha un colore del viso diverso. "Perché non giudicate?" ci direbbe Gesù. Noi ingoiamo, nella sovrana indifferenza. L'esempio è piccolo. Ma, sbaglierò, è sintomatico. Di una malattia. Giudicate da dove viene. E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Sollevate indignazione.

E pochi - mi sembrano pochi! - a reagire. Pochi a insegnare che l'onestà è ancora una virtù, che la giustizia è ancora una virtù, che il rispetto è ancora una virtù. Ma non nel senso del peso che ti affatica, ma della bellezza tua e dell'umanità, della bellezza che rende luminosi i volti. Onestà. Giustizia, rispetto che vanno onorati. Ci rendono belli. E luminosi. Rendono bella una terra.

Dove mai ancora s'insegna a un figlio che tu sei veramente, grande e bello e beato, sì proprio tu, che a uno che si permette, per "grande" che sia, di sedurti con basse volgari sirene, tu abbassi il telefono, tu chiudi, tu resisti. Perché tu della dignità hai un'idea diversa, così come hai un'idea diversa dell'altro, che sia italiano o marocchino, della donna che sia italiana o slava o africana, del corpo che sia di un uomo o di una donna, del denaro e del lavoro, della società e della terra, del tuo popolo e degli altri popoli. Della vita. Tu hai un'idea diversa. E non la baratti. E non la cambi secondo che l'aria dei sondaggi spinga in un senso o nell'altro. Non la cambi. Perché tu il sondaggio lo fai nella coscienza. E a condurti è questa voce che ti parla dentro. A condurti, se sei un credente, è la parola del tuo Dio. Che non può benedire menzogna e falsità, corruzione e vanità. Perché tu hai un'altra immagine di umanità e, se credi, un'altra immagine di Dio. Che non muta al mutare dei sondaggi. Tu non metti il cervello all'ammasso dei sondaggi. E' giunta l'ora di dire: io non ci sto.

Chiudevo il televisore. Era, tu mi capisci, un bisogno di aria, di aria nuova, che mi faceva chiudere. Chiudere e cercare. Cercare altrove. Era un bisogno di fissare altro. Sono andato a cercare altro. Ho aperto il Libro, per un bisogno quasi fisico di udire la voce, la sua , che mi ridicesse le beatitudini del monte. Mi sono ripreso in mano il vangelo. Per desiderio di lavare gli occhi. Me li sentivo sporcati. Forse, perdona se ti coinvolgo, forse un po' tutti ci sentiamo gli occhi sporcati. Ce li hanno sporcati. Ho riaperto il Libro. E lui, non cambiava né parole né tono di voce. Ho respirato. Meno male, mi sono detto, che almeno le sue parole, quelle scritte, loro che trasformano la realtà in base ai loro interessi e ai loro sondaggi, non hanno il potere di cambiarle. Né le parole né il timbro della sua voce. Lui continuava a dire beati quelli. E non gli altri. A memoria.

Sono andato a cercare altro, tra i miei libri. Era troppo il bisogno di aria. Di aria nuova. Sono andato a rileggere alcune delle "Lettere dei condannati a morte della resistenza". Una l'avevo sentita rileggere da Gustavo Zagrebelsky giorni prima ad una trasmissione televisiva. Era la lettera di un giovane scritta poco prima di morire al suo padre adottivo:

Caro Papà,
benché non sia nato nel tuo stesso letto e non porti il tuo nome, sono riconoscente di quanto hai fatto per me nella vita terrena.
Sono sull'orlo della vita terrena e mi involo nel più alto dei cieli. Tu che sei un uomo di alti sentimenti, sappi che tuo figlio muore per un alto ideale, per l'ideale della Patria più libera e più bella. Di' al mio vero papà che lo perdono di tutto il male che ha fatto e che questo lo stimoli ad essere un uomo onesto nella vita. Caro papà, tutta la mia riconoscenza te la esprimo col mio cuore. Caro papà, sappi che non ho amato come mio insegnante di vita laboriosa ed onesta altro che te. Scusami se ti scrivo in questa maniera ma queste sono parole che mi escono dal cuore in questo triste e nello stesso tempo bel momento di morte. Col cuore straziato ti lascio baciandoti caramente.
Tuo per sempre figlio. Renzo

"Le Lettere" scrive Gustavo Zagrebelsky nella nota introduttiva "contengono la voce di un altro popolo; di uomini e donne, appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo ch'essa, in momenti estremi, comporta. Chiunque anche oggi le leggerà, vi troverà un'altra Italia e non potrà non domandarsi se davvero non ci sia più bisogno di quella voce o se, al contrario, non si debba fare di tutto per tramandarla e mantenerla viva nella coscienza, come radice da cui ancora attingere forza".

C'è bisogno di quelle voci. C'è bisogno oggi. Ho letto, ho attinto forza. Ti confesso che oggi, in presenza di questo scialo di sentimenti e di onestà, a volte mi prende la sensazione che mi prendeva da piccolo, alla fine della guerra, davanti alle nostre terre bombardate. Era sì desolazione, ma negli occhi respirava una voglia, una passione di ricostruire. Quella che oggi non mi sembra di vedere. Voglia e passione di ricostruire su altri modelli. Ognuno cominciando là dove la vita lo ha chiamato.

Nei mesi scorsi, a seguito di una lettera forse venata di un eccesso di pessimismo, qualcuno rispose con l'invito a resistere e a ricostruire, là dove si è. Vorrei ricordare due lettere che mi hanno molto colpito. Una di Filippo, l'altra di Antonella. Aria buona.

Scrive Filippo:

E' una risposta negativa, anarchica, di chi ha perso la speranza dell'altezza.
E chi ce l'ha in questo paese? Chi pensa che possa evolversi e passare da essere lo slum del capitale mondiale a una casa? Io penso. Mettersi in discussione sul lavoro, nei rapporti con gli altri, coltivare il senso del dubbio, guardare in faccia l'incertezza non per conviverci ma per trovare una alternativa. Rischiare. Lavorare. Creare delle cellule di legalità, di professionalità, che tra loro si parlano, che costruiscono sinapsi, come ho contribuito a fare anche io con il mio lavoro.
Nel mio piccolo ho sperimentato che è possibile. Con altri quattro colleghi abbiamo alimentato a Monza un sistema di formazione continua (gratuito) per i professionisti, abbiamo creato un mercato per gli immobili venduti in sede d'asta che ha coinvolto oltre che altri tribunali, anche (per alcuni aspetti) il legislatore del 2006. Ora che ho lasciato quel lavoro, la "creatura" vive di vita propria, si autoalimenta. Non è finita come Mani Pulite. Ed è fonte di nuove occasioni di riflessione, di approfondimenti per chi è rimasto. Alla vigilia di questo 25 aprile inviterei tutti a comunicare qualcosa che li ha fatti sentire orgogliosi di questo paese. Filippo D'Aquino

Risponde Antonella:

Mah…l'orgoglio nazionale non è il mio forte. Spesso penso che sarebbe meglio andarsene altrove e basta. .
Tuttavia cogliendo l'invito di Filippo vorrei raccontarvi la mia giornata dell'8 marzo di quest'anno. L'ho passata a Brugherio nell'Aula Consiliare in cui si firmava pubblicamente un protocollo d'intesa contro la violenza alle donne. .
Il progetto ha coinvolto l'Amministrazione Comunale, una fitta rete di associazioni di volontariato da anni attive in questo settore, le forze dell'ordine, i ragazzi e le ragazze del CAG (che hanno seguito un percorso informativo con il Centro Antiviolenza di Monza e hanno messo in scena una performance di musica e poesia sulle tematiche del femminile).
Il pubblico era davvero numeroso. .
Ho incontrato persone da anni impegnate per trasformare una realtà di prevaricazione e ingiustizia (paradossalmente evidente e latente nello stesso tempo; ho ascoltato discorsi pieni di competenza e privi di ipocrisia ( nel riconoscere ad esempio che la stragrande maggioranza di casi di violenza alle donne si dà tra le mura domestiche ad opera di italianissimi insospettabili signori e molto più raramente per strada ad opera del solito sporco rumeno); soprattutto si è davvero fatto qualcosa, costruito in modo intelligente e condiviso. Beh ecco, in quel pomeriggio io avevo il cuore più leggero; ho pensato che forse è ancora possibile vivere in questo paese. Ciao. Antonella

Segni che invitano a resistere. E a costruire.

don Angelo


 
 
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