articoli di d. Angelo


 

LE DONNE E GLI UOMINI DEL VENTO


Sono stati giorni di vento, ed era impazzire scomposto di alberi, frinire in amore di erbe, sventolare spudorato di panni, illimpidire assoluto di cieli. Ed era arruffarsi di capelli, inebriarsi di volti. Al limite della sostenibilità. È un sussulto di libertà il vento. Scavalca le rocce, annusa fessure: "non sai di dove viene e dove va" diceva Gesù. Del vento. Pure lui incantato al segreto.
Chi conosce il segreto del vento? Forse gli scienziati. Solo loro a scomporne gelosamente il mistero. Ma per noi, uomini e donne comuni, rimane, come per Gesù, il segreto. Il segreto impalpabile del vento. Che seduce.
Furono giorni di vento. E poi fu Pentecoste. Quasi un bisogno, nella chiesa e nel mondo, di vento, di soffio, di respiro. Respirare a pieni polmoni dentro giorni ingrigiti, irrespirabili. E così fui sedotto dalle immagini del racconto. Si raccontava, nel Vangelo di rito ambrosiano, di Gesù che la sera di Pasqua, alitò sui discepoli e disse: "Ricevete lo Spirito Santo". Il vento era arrivato fino a loro. Soffiava sui loro volti. La forza della risurrezione, la forza della vita, che riemerge quasi per un sussulto di fierezza, era arrivata a loro. E oggi a noi. È la Pasqua sui nostri volti. Quel vento arriva a noi, il soffio di Dio, soffio creatore. È sui volti. Oggi sui nostri. E non è poesia. Abbiamo letto il vangelo di Giovanni: "Alitò su di loro" è scritto "e disse: Ricevete lo Spirito Santo".
Ma, proprio perché vento, perché soffio di Dio, lo Spirito è un mistero di invisibilità, di impalpabilità. Per questo, troppo spesso ignorato. E sottovalutato. Come tutte le cose che non si vedono e non si toccano. Eppure, se non ci fosse il vento, come si impollinerebbero gli alberi? Tristezza di una terra senza fiori, senza frutti!
E chi si accorge dell'invisibile? Dell'aria che respiri? E chi la ringrazia? L'aria che respiri.
Ecco, vorrei dirvi che mi affascina l'invisibile vento di Dio. Dono che consente di superare l'ordinaria amministrazione delle cose. Viene dall'alto. Non è opera delle tue mani. E non è dunque proprietà. Di nessuno. Se lo fosse, allora ci sarebbe da discutere su chi ne ha tanto e chi ne ha poco: "e allora tu mettiti in ginocchio davanti a me e ti farò grazia di una certa misura". No. È scritto, ancora nella Bibbia: "Tutti furono pieni di Spirito Santo". Tutti! Pieni! Viene dall'alto. Ed è vento e quindi resistente a ogni sequestro. Viene dalla Pasqua di Gesù che è vento per tutta la terra, filtra in ogni pur minuscola fessura della terra. Straordinarietà di un dono.
Lo Spirito dunque impercettibile come il respiro, e, come il respiro, presente nelle più semplici, nelle più nascoste azioni di ogni giorno. Eppure dono meraviglioso, straordinario, perché senza lo Spirito le cose di ogni giorno si appiattirebbero, diventerebbero arida routine, inaridirebbero, diventerebbero spento monotono convivere.
È lo Spirito che illumina di poesia i gesti, che colora di tenerezza gli incontri, che dilata a dismisura le strade. Lungo i sentieri dell'immaginazione, dell'invenzione, della ricerca.
Un dono dunque che riscatta la pesantezza, l'opacità, la grossolanità di un vivere impoverito a banalità.
Che cosa significa allora essere uomini e donne del vento, dello Spirito?
La parola "spirito" richiama interiorità, forza interiore. Ma come tradurre questa interiorità nella vita quotidiana? Vado per brevi, rapidi, parziali accenni.
Interiorità dice uomini e donne del raccoglimento. C'è un momento in cui siamo chiamati a chiudere la porta. Ricordate le parole di Gesù? "Tu, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre nel segreto."
Riascolto spesso le parole, tra le ultime, di Etty Hillesum, testamento dai campi dello sterminio. Parole a Dio: "L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te, in noi stessi, mio Dio".
Spesso, troppo spesso, l'invito a "salvare l'anima" è stato declinato come salvezza che riguarda gli ultimi tempi. Ma non è in questa vita che l'anima va salvata? Salvata dal suo deperimento. Salvata o goduta? Tra gli Ultimi versi di Giovanni Raboni ho letto. "Pensare all'anima - non per salvarla: per goderne". Oggi forse più di ieri uomini e donne credenti e diversamente credenti o non credenti sentono di dover abitare questo spazio dell'anima per goderne. Per godere di questo soffio che ci abita. Nonostante tutto. E per resistere. Resistere con fierezza all'ottundimento dello spirito per seduzione da mercato. Una seduzione cui non sfuggivano - ed era ferita al cuore - nemmeno i compagni di prigionia di Etty Hillesum nel campo dell'orrore: "Esistono persone" scriveva "che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolvere, forchette e cucchiai d'argento. E altre persone che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno, se si è nelle tue braccia".
L'interiorità dello Spirito si traduce in sorprendente capacità di andare oltre, o meglio, come dice la parola "interiore", andare "dentro". Dentro lo spessore opaco delle cose, oltre la scorza esteriore. Essere cioè uomini e donne che non si chiudono in giudizi affrettati, sommari, in luoghi comuni. Oltre l'apparente coltre delle cose. Alla ricerca di visioni più profonde, più reali, solitamente più nascoste.
Ho trovato in Ultimi versi di Raboni questa poesia che suona come un grido di allarme. Quasi un invito a pensare. Dentro il trionfo dell'effimero e della menzogna:
Un'ossessione? Certo che lo è.
Come potrebbe non ossessionarci
la continua reiterazione
degli stereotipi più osceni,
l'alluvione di falsità e soprusi,
la suprema pornografia
dell'astuzia fatta oggetto di culto,
della prepotenza fatta valore,
della spudoratezza fatta icona?
Andiamo a dormire pensandoci,
ci svegliamo con questo fiele in bocca
e c'è chi ha il coraggio di chiederci
d'essere più pacati e costruttivi,
d'avere più distacco, più ironia.
Sia detto, amici, una volta per tutte:
a correre rischi non è soltanto
la credibilità della nazione
o l'incerta, dubitabile essenza
che chiamiamo democrazia,
qui in gioco c'è la storia che ci resta,
il poco che manca da qui alla morte.

Essere uomini e donne del vento significa appartenere alla razza di coloro che scrutano il cielo e la
terra a tutto campo, non intristiti dall'arroganza del "possesso" della verità, ancora capaci di "rendersi conto" di ciò che accade, non sequestrati da alcuna appartenenza, uomini e donne in movimento, nel movimento del vento dello Spirito, unica appartenenza. Pronti ad entrare nel territorio dell'altro. Non ad occupare, ma a sorprendere e a sorprendersi. Nella casa dell'altro a sorprendere i segni, a innamorarsi delle tracce, a scoprire il volto della grazia.
Pietro - raccontano gli Atti degli Apostoli - entra nella casa del centurione pagano Cornelio, entra con un seguito di discepoli circoncisi. E sono proprio loro a rimanere interdetti vedendo che lo Spirito di Dio già è effuso sui non circoncisi, ancora non battezzati.
"Sto rendendomi conto" dice Pietro "che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto".
"Sto rendendomi conto". Le parole di Pietro suonano come invito a guardare in faccia la realtà, a non accontentarci di slogan. Invito a fare analisi serie, ad approfondire, a essere donne e uomini che pensano e non si lasciano pilotare e manovrare. Invito a non mettere la nostra intelligenza in schiavitù di nessuno, a giudicare, come suggerisce il vangelo "da noi stessi" ciò che è giusto. A guardare in faccia senza pregiudizi la realtà. "Hanno ricevuto" dice Pietro "lo Spirito Santo al pari di noi". Al pari! Ha guardato in faccia la realtà. Che non era contenuta nei libri.
Ma c'è una condizione. Ci si rende conto, ad una condizione: se si entra nella casa dell'altro. Non vi si siete mai chiesti perché a volte siamo così duri, così intransigenti, così sicuri nel dividere il bene dal male? Perché non entriamo nella casa dell'altro o, se vi entriamo, vi entriamo non per ascoltare, ma solo per predicare. Entra e ascolta. Crea le condizioni per un ascolto, crea le condizioni perché ci si possa raccontare senza timori i segreti più profondi che abitano il cuore. Questo essere trasparenti l'uno all'altro è segno di una fiducia donata e guadagnata..
Lo Spirito fiorisce là dove si danno le condizioni perché ognuno possa prendere con franchezza la parola. Censurare le voci, togliere la parola, non dare spazio a un'opinione pubblica nella chiesa non è fare opera dello Spirito. E' spegnere il vento.
La verità, la verità dell'altro la scopri solo entrando nella sua casa.
E proverai stupore per ciò che ti era nascosto. Il cuore si aprirà e scoprirai ciò che mai avresti immaginato. Dirai anche tu: "hanno ricevuto lo Spirito al pari di noi". Al pari!
Essere uomini e donne del vento significa anche essere uomini e donne fedeli ai metodi dello Spirito. I doni dello Spirito, dice S. Paolo, sono "a servizio dell'utilità comune". Non per la difesa dei propri interessi, non per lo sfruttamento, non per la violenza sull'altro, bensì per la libertà, per il rispetto di ogni persona, di ogni cultura, di ogni fede. Per il dialogo. Non una sola lingua, ma la molteplicità delle lingue.
Uomini e donne dell'interiorità significa dunque essere uomini e donne che la loro fiducia non la pongono nella forza esteriore, nelle macchinazioni del potere, negli appoggi di quelli che contano. Mettono la loro fiducia in una potenza che può far sorridere i grandi strateghi dell'umanità, che predicano ben altri metodi, ben altre efficacie, ben altre strade. Con gli esiti purtroppo che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Segui le vie del vento e vedrai lentamente, sorprendentemente, rifiorire angoli di terra. Vicini e lontani.
"Mandi il tuo Spirito" è scritto nel salmo "e rinnovi la faccia della terra". Augurio alle donne e agli uomini del vento.

don Angelo


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