articoli di d. Angelo


 

RICORDATI DI TUTTO IL CAMMINO

Oggi, scrivendone, non posso nascondere l'emozione. È vero che una data forse vale l'altra e che solo una consuetudine ci porta a dividere il tempo in anni. Ma quando gli anni sono nel numero corposo di cinquanta, cinquanta dal giorno in cui diventasti prete, ti fermi come da un monte a guardare. Come fosse il monte Nebo, il monte da cui Mosè si perdeva con gli occhi a scrutare lontano. Al-l'orizzonte la striscia sottile della terra promessa che gli sarebbe stata negata. Là, oltre il Giordano. Mi sembra, come per lui, di esserne in vista.
Gli occhi del condottiero di tribù erano rossi di sabbie. Non li aveva spenti, se mai accesi, il vento del deserto.
Come dal monte Nebo dunque. E nel cuore mi rimormoravano in questi giorni le parole di Mosè, grande omelia nella steppa, parole di consegna, al popolo della traversata. Tra le parole più care, quelle custodite al capitolo ottavo del libro del Deuteronomio. Ancora più intense, a memoria, perché la traversata, la mia, tiene lo spazio non di quaranta ma di cinquant'anni. Invito a ricordare.
"Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto… luogo di serpenti velenosi e di scorpioni" (Dt 8, 2.15).
Ma aggiunge anche: "Ti ha nutrito di manna a noi sconosciuta. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato" (Dt 8,4).
Ricordando la traversata dei miei cinquant'anni, devo confessare che mi sono stati per grazia risparmiati serpenti e scorpioni. Non sarà perché le spalle di questo povero prete per debolezza e per timore non avrebbero retto a tanto e Dio ebbe compassione? Devo invece riconoscere che il vestito non mi si è logorato addosso e il piede non si è gonfiato.
"Non per la tua forza o per la potenza della tua mano": è scritto nel libro. Non per la mia forza o per la potenza della mia mano.
Ricorda il cammino. Ricorda il tuo Dio. A dire un miracolo così prolungato, a dire la gratitudine, non sarebbe bastata, è indubbio, la mia voce.
Vi dirò che alla Messa del sei giugno, Messa di memoria del lungo cammino, dopo un attimo di sospensione per la sorpresa di una chiesa stipata oltre ogni limite, mi prese un senso di gioia. Vi avrei voluto ringraziare ad uno ad uno, dai bambini che ancora sono portati in grembo, ma già mi sono stati condotti perché li toccassi, su su fino a quelli tra noi che contano sulle rughe gli anni e sono tanti. Ringraziarvi ad uno ad uno di aver aggiunto voce, la vostra, a una debole voce. Ringraziarvi di aver dato voce di gratitudine al Dio della traversata.
Questo anniversario portava alla luce anche strane, inattese coincidenze.
Mi ritrovavo a celebrare, dopo cinquan-t'anni, nella chiesa dell' in principio. Come fosse congiungimento agli inizi. Nel lontano giugno 1954 non l'avrei di certo immaginato. Erano anni quelli in cui la Madonna vegliava ancora dall'altare maggiore e si celebrava con il popolo di Dio alle spalle.
Una chiesa, questa, che avevo conosciuto da bambino. Ma poi i cieli si erano andati incendiando di bagliori di guerra. E cominciarono a piovere bombe a prova di distruzione, a gara di morte. Fummo costretti ad andarcene.
Mi ritrovavo così a celebrare, dopo cinquant'anni, nella chiesa dove t'aspettavano da bambino, eri chierichetto, preti dalla lunga talare e un sagrestano, l'Enrico, che, anche quando ti capitava di sbagliare, ti guardava con occhi affettuosi.
Le Messe allora erano a gara con le prime luci dell'alba. E tu andavi a servir Messa, senza accompagnamenti, per strade ancora buie. Le insidie allora non te le aspettavi dagli uomini. A farti sussultare il cuore era il latrare puntuale dei cani al tuo passaggio, al di là della staccionata, che copriva da un lato, sulla destra, parte della via Nöe.
Fili d'emozione, che mi legano, dopo cinquant'anni, alla chiesa della mia infanzia.
La celebrazione del sei giugno viveva anche di un'altra sottile coincidenza. Era celebrazione nella festa della Santa Trinità.
Un nome, questo della Trinità, che, vi confesso, in sé, non mi entusiasma, non mi ha mai entusiasmato. Preferisco dire che celebriamo la comunione dei volti, il volto del Padre, fonte della vita, il volto del Figlio che si è fatto carne per ciascuno di noi, il volto dello Spirito che abita la grotta interiore del nostro cuore.
Suggestiva mi appariva la coincidenza di celebrare i cinquant'anni in una festa che ha in se stessa il sapore del ricordo. Con la Pentecoste, con il dono dello Spirito sei arrivato sul monte e ti fermi a guardare, a guardare dall'alto il cammino. E ti commuovi al mistero di Dio che avvolge la vita: Tu non sei un Dio lontano. La terra, la nostra terra è il tuo paese. La vita, la nostra vita concreta, è lo spazio del tuo incessante venire, il luogo del tuo passaggio in mezzo a noi.
Mistero che avvolge la vita. E ti rimangono dopo lungo cammino i volti: il volto del Padre, del Figlio e dello Spirito. È una festa di volti. Chi mi conosce sa che questa è una delle parole cui sono più affezionato, come se avessi per questa parola "volto", una sorta di partigianeria, di segreta complicità.
Vi dirò che questa parola "il volto" mi ha riconciliato con l'immagine di Dio, che era rimasta per un certo verso impigliata a un triangolo, la classica raffigurazione della Trinità per dire l'unità e la trinità di Dio. E al centro del triangolo un grande occhio scrutatore, simbolo di un controllo poliziesco più che della misericordia e della tenerezza: tu sei sotto la telecamera. Il Dio della paura, della legge. Un Dio gelido, come quel triangolo.
Lungo i cinquant'anni, e sono qui a confessarlo, avvenne l'arrovesciamento. È avvenuto per via del Libro, per l'amore che ci è nato in cuore per la Scrittura Sacra. La Scrittura Sacra non è fatta di definizioni. È fatta di racconti. E i racconti sono fatti di volti. Racconti di un Dio che prende volto.
Per alcuni di noi una delle interpretazioni più suggestive della Trinità è quella evocata a prova di emozione dal grande iconografo russo Andrej Rublëv, con l'icona dei tre "angeli" intorno alla mensa di Abramo.
Tu la guardi, tu che sei da questa parte, e ti sembra che i tre ti invitino alla loro mensa. Come se loro fossero una comunione e ti invitassero a sedere nella loro comunione. È un fuoco acceso. Un fuoco tenero abita i loro volti, il fuoco della loro accoglienza. Chiunque tu sia, sei chiamato a sedere lì.
E avverti che tra loro, come suggerisce il vangelo di Giovanni, tutto è in comunione. Quello che è tuo - perché c'è qualcosa che è tuo, tu sei irripetibile - quello che è tuo non lo rivendichi con arroganza per te stesso. Nessuno dei tre dice: "quello che è mio è mio", ma lo mette in comunione.
È affascinante pensare che Dio non solo ci ha raccontato la comunione dei volti, ma ci invita a sedere a mensa. E l'Eucaristia ogni domenica ce lo ricorda. Ci ricorda e ci fa rivivere il miracolo di un Dio che ti chiama alla mensa.
Ringrazio dal monte il Dio dei volti. Ma lo ringrazio anche per i vostri volti, che sono la vera ricchezza della vita, della mia vita. E oggi, facendo memoria nel mio cuore di questi cinquant'anni, penso con emozione agli innumerevoli volti che ho incontrato, ai vostri volti, come al grande dono della mia vita, la vera icona di Dio. Per me che sono una creatura fatta non di solo spirito, ma anche di carne.
Ricordo che, invitandomi a venire in questa Parrocchia, il Card. Martini, quasi a rassicurarmi, mi diceva: "Guarda, don Angelo, non dovrai costruire edifici. Non ci sarebbe neppure lo spazio per farlo. Dovrai costruire relazioni. È la cosa che conta".
L'importanza della relazione, l'importanza dei volti, l'insostituibilità dei volti è il segreto del mistero di Dio.
Innamorarsi dei volti. Se c'è un peccato di cui sento di dover chiedere perdono, nel cammino dei cinquant'anni di ministero, è di non essermi a volte fermato davanti ai volti, di non essermi abbastanza innamorato dei volti, icona di Dio.
Ma sento in cuore anche immensa gratitudine, perché avverto con una lucidità estrema e con una emozione sconfinata che, se ho camminato, se il mio ministero è cresciuto di intensità, se non è impallidito, dopo Dio lo devo a voi. È stato il miracolo dei vostri volti.
Questo vorrei fosse un messaggio da custodire, se vogliamo dare spazio a una terra diversa. Non il triangolo con l'occhio poliziesco di Dio. Non sarà questo il segreto di una terra nuova. Ma l'icona dei tre angeli. E della mensa a cui sedere, una terra che metta al centro, come inviolabile, l'icona dei volti.
"Volti da guardare, volti da rispettare, volti da accarezzare": scriveva anni fa don Italo Mancini. Altre volte l'ho ricordato. Insegnava filosofia della religione e filosofia del diritto all'università libera di Urbino, lui stesso voce libera.
"Il volto" scriveva "la parte più indifesa di noi, la più esposta, la più rivelativa, ma anche la più deterrente, tanto che è difficile uccidere uno guardandolo in faccia".
Purtroppo siamo arrivati a questo. Triste sconcertante disumano approdo. La tortura. Perché? Abbiamo messo al centro del mondo l' "io sono", l' io arrogante, dominatore, l' io che cancella il volto dell'altro, la voce dell'altro... Dominano purtroppo le facce, truccate, artefatte, senz'anima.
E se fosse un messaggio anche questo dal monte: ritornare ad innamorarsi dei volti?

don Angelo


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