articoli di d. Angelo


 

Il gigante buono, la madia e il pane dell’angelo


Il colpo era forte. Un rimbombo. Come di cannone. Qualcuno va dicendo che un tonfo simile s’era udito anni fa, il giorno in cui un velivolo in città investì il Pirellone. Questa volta era semplicemente il tonfo di un botto, e poi a seguire altri, devastanti, nel mezzo della notte, a Capodanno. Qualcuno poi mi disse che cosa può costare un botto, di questi che ti sgranano il cuore. E mi sembrò, ti dirò, insensato. Accuso l’insensatezza. Poi mi interrogo e mi vado dicendo che forse è perché sono vecchio. O non starò diventando forse arcigno censore, fustigatore dell’allegria?

Mi fermo poi a pensare a un altro rimbombo, all’effetto della notizia di quel prezzo nella mente di chi la vita se la consuma con una pensione che forse per pudore chiamiamo minima. E che minima non è, perché non è, diciamolo, il minimo per vivere. Che botto la notizia! E un po’ mi rattristo.

Tu mi capisci, mi rattristo, perché questo è solo un episodio, e quasi un simbolo. Non so se a te qualche volta è venuto di pensare al-l’effetto che può avere la notizia degli stipendi dei super manager e delle loro pensioni, effetto bomba, su quelli che la vita se la campano duramente con la minima.

Si potrebbe pensare che così vanno le cose. E arrendersi. C’è aria fredda, gelida, in città e non solo in città. Sarà anche per via della mancanza di sicurezza. Ma la parola, ti dirò, comincia a insospettirmi. Se non altro perché se ne stanno riempiendo la bocca in tanti. Troppi forse. Fino a far presentire un abuso. Pochi giorni fa mi stropicciai gli occhi, quando il questore della città o chi per lui, non ricordo, facendo un bilancio dell’anno, dichiarava che oggi la città è molto più sicura di ieri e che gli attentati alla sicurezza dei cittadini sono diminuiti e non di poco. A fronte di questo, diceva, è cresciuta la sensazione della paura.

Non possiamo negare che i problemi siano reali, peccheremmo di ingenuità. Ma ci si dovrebbe interrogare sul fenomeno. Che la paura non sia anche un effetto di questo gridare all’insicurezza dilatandone lo spettro? Qualcuno comincia a pensare che gridare all’insicurezza porti vantaggio a chi grida. E più sono i vantaggi, più si grida.

Da povero osservatore delle cose piccole mi sembra di capire che non sia questo il dramma più inquietante del nostro tempo. Se fosse questo, altro rimedio non ci resterebbe che alzare muraglie.

Nei giorni ormai vicini al Natale, rientrando una tarda mattinata, trovai una sorpresa. Alla fine mi dissi: “è passato un angelo”. Comincio infatti a pensare che alcuni degli esseri che la Bibbia chiama angeli altro non siano che uomini e donne in carne e ossa, come quell’angelone che mi trovai quella mattina davanti agli occhi. Dentro me li stropicciavo. Era lui o no? Era lui. Un tempo ancor più in carne e ossa, quasi gigante, gigante buono. Pesantemente smagrito, scavato da trentanove giorni di sequestro in una foresta delle Filippine, Padre Giancarlo Bossi. Qualcuno ne ricorderà il volto in uno dei servizi dei nostri telegiornali. Era lui. Lo ascoltavo. Forse, ancor più, lo guardavo, quasi me lo bevessi con gli occhi.

E, dentro le sue parole, alcune che per un attimo mi parve sbriciolassero la consistenza di tante nostre grida sulla sicurezza. Nella Messa di mezzanotte a Natale pensando con nostalgia alla sua Payao, lui avrebbe detto: “Sapete come si sta bene senza niente. Mica come qua che avete belle case che sono belle prigioni, con allarmi e spioncini dove si vive blindati, ognuno chiuso nel suo benessere, senza più sogni e utopie”.

Forse di tanto in tanto dovremmo chiederci se stiamo diventando o no più uomini, se la terra la stiamo costruendo più umana o no. E se ad abitare le case blindate fosse un vuoto di umanità, in assenza di sogni e di utopie?

Da povero osservatore delle cose piccole mi sto convincendo che il dramma più inquietante sia questo: il degrado che fa scuola dall’alto, nell’indifferenza quasi generalizzata. Vedi la corruzione e subito vedi la giustificazione. Un tempo la menzogna era chiamata menzogna e il latrocinio latrocinio, l’abuso di potere abuso, l’arroganza arroganza, la maleducazione maleducazione. Siamo arrivati allo sberleffo. Un tempo i corrotti pativano in qualche modo vergogna. Ora trovano udienza, pontificano dai salotti televisivi, trovano accoglienza proprio là dove si sventolano bandiere, che sono stracci strappati dal vento. E si gridano nomi che dovrebbero far arrossire. Che cosa potrebbe riservarci - penso alle parole del “gigante buono” - una terra senza sogni e senza utopie?

Dove sta il rimedio? Forse in una sollevazione interiore. Che parta da noi. Da ciascuno di noi. Perché ciò che vediamo purtroppo fa scuola. Fa devastazione. Fa devastazione delle coscienze. E vuoto. Gli spiriti più attenti sono in apprensione, in apprensione i genitori per le nuove generazioni. Vedo papà e mamme interrogarsi sui figli. Come sarà il futuro dei figli se persisteranno ad essere figli dei sogni e figli delle utopie? Come vivranno i figli dei sogni e delle utopie? Vedo smarrimento negli occhi di padri e di madri.

Credo in una sollevazione delle coscienze, che ci veda resistenti ai dominatori di questo mondo e appassionati al vangelo. Che non è un nome. È la vita di Dio come l’abbiamo potuta leggere in una vita di uomo.

Con una vita di uomo come la sua, Gesù ci ha raccontato come dobbiamo farci uomini, come dobbiamo diventare uomini. Perché è vero che si nasce uomini, ma è anche vero che uomini si diventa. Forse è anche vero che qualche volta ci si smarrisce come uomini, se ne perde l’immagine. Si è fatto uomo e vuole che noi ci facciamo più uomini, o se volete più umani.

E come non sperare e pregare che ci rimanga una briciola di coraggio, per chiederci se quello che stiamo cercando, inventando, costruendo, a livello personale e a livello di società e di chiesa, sia o no nell’orizzonte di un vero essere uomini.

Il coraggio di interrogarsi. Senza venir meno, senza lasciarci imbavagliare da disfattismo e indifferenza. Allora sarà sollevazione: come quella del seme nella terra. Una ragazza come regalo mi ha lasciato dei semi. Per lenire, diceva lei, un pochino il vuoto di Piazza Bernini. “Una pianta, distratta, capita che mi dimentichi di innaffiarla” scriveva “per ora, sta lì e resiste. Ogni tanto spinge, come se le radici richiamassero attenzione sotto il cemento. Mi chiede di esserci.”

Oggi ci viene chiesto di esserci. E di resistere. Là dove siamo. Dove trovare coraggio?

Un vecchio prete dei monti, mio amico, morto due anni fa, vecchio di anni ma non di mente, non di cuore, don Michele Do, alla Messa di fine anno, ventidue anni fa, invitava a raccogliere nel cuore la dolcezza di tutti i nostri ricordi. E diceva: “Non dimenticherò mai un Natale passato nell’Eremo di Sorella Maria, dove, in quel periodo, sulla grande madia, nella grande sala, venivano esposte tutte le fotografie degli amici lontani: le presenze vive di quelli ancora pellegrinanti e di quelli che erano già andati oltre, nel Regno! Come è bello raccogliere i ricordi. Io ho bisogno di ritrovare questi volti. Credo che questo sia un momento sacro”.

E aggiungeva a scanso di fraintendimenti: “La memoria cristiana, la memoria religiosa, non è la struggente nostalgia del tempo perduto, ma sono tutte le ricchezze del nostro passato: tutte le ricchezze degli affetti, delle presenze, delle cose vissute, le cose belle e - lasciatemi dire - anche le ore oscure, le ore di smarrimento, le ore di peccato, non dobbiamo rifiutare nulla. Non dobbiamo cancellare niente, dobbiamo assumere tutte le cose perché sono diventate sostanza della nostra vita… I mulini di Dio macinano ogni cosa, anche il nostro peccato, anche i nostri momenti di pochezza, di povertà, di oscuramento, di travolgimenti”.

“Meditare non è dunque voltarsi indietro. Il Signore ci dice ‘non voltatevi indietro’. Gesù, accogliendo creature consunte e sfigurate, diceva loro: “Alzati e cammina”. Il Signore ci dia il coraggio di guardare sempre oltre.

In questi tempi di mediocrità e di indifferenza occorre non cedere mai l’anima, non cedere alle delusioni, alle amarezze, alle tentazioni del ripiegamento su se stessi, alla tentazione della fuga. Ci sono cose morte ovunque, nella chiesa, nella società civile, nel nostro ambiente. Non cediamo l’anima a queste cose morte. Ma ci sono delle cose vive e queste dobbiamo far vivere. Cerchiamo di far vivere le cose che meritano di esistere e di vivere.”

E allora vorrei quasi augurio per l’anno nuovo unire all’immagine del “gigante buono” altre due immagini. La prima è la grande madia, nella grande sala dove sono radunate le fotografie. Come vorrei che a darci immaginazione e coraggio fosse la grande madia, dove raccogliamo le memorie, e tra le prime, la prima, quella di Gesù, e poi quelle a noi più care, madia delle memorie, che sono seme di vita per noi.

E l’altra immagine quella del pane dell’angelo. L’angelo al profeta Elia sconsolato, sul-l’orlo della disperazione, tentato di farla finita, porta una focaccia, un pane, gli dice: “alzati, mangia e cammina: hai ancora della strada davanti a te”. A darci immaginazione e coraggio sia il pane dell’angelo, pane il volto di Dio, pane la sua Parola, pane il volto dei nostri amici, pane la loro presenza. Prendiamo il pane dell’angelo e camminiamo verso il monte di Dio.

don Angelo


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