articoli di d. Angelo


 

A PROPOSITO DI UN "GIUSTAMENTE"


Un foglio bianco, poche righe, quasi invisibili, inghiottite dall'ombra, nell'androne, segnalava anche quest'anno nei pressi delle portinerie, la visita alle famiglie, all'avvicinarsi del Natale.
Il foglio, da qualche anno, impenitente, la annuncia così: "Gentili abitanti di questa casa, anche quest'anno un sacerdote busserà alla vostra porta per invocare, con voi, la benedizione del Signore sulla vostra casa. Uno spazio breve di tempo per un incontro, una preghiera, un augurio. Ben comprendiamo come, nel mutato contesto sociale e religioso, qualcuno potrebbe giustamente non desiderare questa visita. Vi saremmo grati se in qualche modo poteste gentilmente segnalarcelo, per non disturbare, suonando alla vostra porta. A tutti il nostro augurio di serenità e di pace".
Così il foglio bianco. Qualcuno giorni fa ha portato in parrocchia uno di questi fogli cui da una mano purtroppo anonima era stato apposto un commento.
Cerchiato in rosso l'avverbio "giustamente" e, a commento, alcune righe in rosso dicevano: "Forse i nostri sacerdoti non sono consapevoli di portare la speranza del mondo. Auguri di un autentico Natale".
Non segue firma. E la prima reazione sarebbe di cestinare. Come ci è stato insegnato. Destinazione cestino per lettere o messaggi anonimi.
Che dietro l'anonimato si nascondesse l'ombra di un cristiano doc, la frase lo faceva supporre, e proprio questo creava un primo disagio. Non ti riesce infatti ancora oggi di pensare che Gesù ci abbia educati a questo stile. Passi in rassegna mentalmente pagine e pagine di vangelo e non ti sembra di trovare un passo, uno che è uno, dove Gesù avvalori l'agire nascosto, il dire senza dire, il dire senza dirsi, il dire senza volto. Anzi chiede i volti: "Se tuo fratello peccherà, va, riprendilo fra te e lui solo… se non ascolterà prendi con te anche uno o due…" (Mt 18, 15-16).
Proprio non so se il commentatore anonimo leggerà questo foglio. Un cristiano doc può anche sentirsi stretto in una chiesa come la nostra, e guai a noi se volessimo per questo muovergli rimproveri o, peggio ancora, insidiare la libertà dei figli di Dio, anche la libertà di pensare diversamente.
Io invece vorrei cogliere l'occasione per parlare di quell'avverbio "giustamente" che non è piaciuto all'anonimo commentatore: quel "giustamente" infatti, anche se non è un dogma, ci appassiona e mi piace parlarne con gli amici - sono molti - che si danno appuntamento all'ombra dell' "albero".
Pur con tutti i limiti che ci segnano pesantemente, i sacerdoti di questa parrocchia, ma non solo loro, anche i fedeli, ma non solo loro, molti degli uomini e delle donne in ricerca che la frequentano, sono consapevoli di portare in vasi fragili un tesoro prezioso, inestimabile, Gesù di Nazaret. Niente e nessuno paragonabile a lui, fosse anche il papa, o un vescovo, tanto meno noi stessi.
È la cosa più sacra, da non svendere a parole. È il segreto che non ha nulla da spartire con il chiacchiericcio della pubblicità. Ha molto da spartire con i racconti della tenda
"dimora
all'infinito migrare
una tenda
ombre segrete
parole dissepolte
e luce
che trema
sui volti".
Racconti della tenda, racconti della sera, della sera quando le memorie prendono la profondità e l'emozione delle ombre.
Non ci interessa la carriera, né le decorazioni dall'alto, né l'appoggio di poteri mondani, ci interessa la memoria di Gesù, che non se ne perda il racconto nella vita e nelle case. In modo povero, l'unico modo che ci appartiene, questo noi raccontiamo ogni domenica. Né sapremmo raccontare emozione maggiore di quella che ti sale fino agli occhi quando qualcuno dei cosiddetti lontani osa dirti: "Mi hai fatto innamorare di Gesù". "Chi mi segue" - è scritto - "non camminerà nelle tenebre, ma avrà il lume della vita" (Gv 12, 13).
Parole che custodiscono gelosamente un segreto. Diffidiamo - è una questione di pelle - dei sentimenti sbandierati. Diffidiamo di una fede sbandierata come una clava, diffidiamo di un cristianesimo che pensa di far buon servizio a Gesù, brandendolo come una clava.
Proprio perché crediamo in Gesù, speranza del mondo, siamo gelosi del "giustamente" che sta sul foglio cerchiato in rosso da mano anonima: "qualcuno" - è scritto - "potrebbe giustamente non desiderare questa visita", la "nostra" visita.
Il "giustamente" segnala una zona di rispetto, il rispetto della coscienza, la libertà della coscienza che Gesù nella sua vita ha insonnemente onorato, e davanti alla quale non sempre purtroppo noi cristiani lungo i secoli ci siamo fermati. Non possiamo non ricordare che a questo rispetto siamo stati richiamati da una consapevolezza più lucida maturata anche fuori la chiesa, nel mondo contemporaneo. Richiamati a un vangelo dimenticato. Ne è nata una consapevolezza nuova nella chiesa. Celebrata e ratificata nell'ultimo Concilio.
Non ci appartiene l'arroganza di chi, sentendosi portatore di Cristo, pretende come diritto che tutte le porte siano aperte. La malattia viene da lontano, ma Gesù l'ha fermata sul nascere, proclamando apertamente che chi è malato di questa presunzione non conosce il suo spirito. Nessun appoggio. Anzi il rimprovero. Capitò un giorno sulla strada che saliva a Gerusalemme, quando Gesù mandò messaggeri davanti al suo volto ed essendo essi entrati in un villaggio di samaritani per preparare per lui, questi non li accolsero. Le case si erano chiuse alla visita. "Signore" - esplosero Giacomo e Giovanni e il volto era di fiamma - "vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?". Ma egli voltatosi li rimproverò. Qualche manoscritto riferisce che aggiunse: "Non sapete di quale spirito siete" (Lc 9, 51-56).
Vorremmo fosse lontana da ogni pur minima parvenza di intrusione o invasione ogni nostra espressione di vita, tanto forte è la nostra passione e il nostro rispetto per la coscienza dell'altro, tanto viva e accesa la nostra passione e il nostro rispetto per la memoria di Gesù.
In un passaggio di un suo piccolissimo libro intriso di poesia in cui parla con emozione di Gesù senza mai nominarlo, Christian Bobin scrive:
"Il fatto che milioni di uomini si siano nutriti del suo nome, che abbiano dipinto con oro il suo volto e fatto risuonare la sua parola sotto cupole di marmo, tutto questo non prova alcunché riguardo alla verità di quest'uomo. Non si può prestar credito alla sua parola sulla base della potenza che ne è storicamente scaturita: la sua parola è vera solo in quanto disarmata. La sua potenza è di essere privo di potenza, nudo, debole, povero: messo a nudo dal suo amore, fatto povero dal suo amore. Questa è la figura del più grande re d'umanità, dell'unico sovrano che abbia chiamato i propri sudditi a uno a uno, con la voce sommessa della nutrice. Il mondo non poteva sentirlo. Il mondo sente solo quando c'è un po' di rumore o di potenza. L'amore è un re privo di potenza, dio è un uomo che cammina ben oltre il tramonto del giorno" (L'uomo che cammina, pp. 20-21).
"La sua potenza è di essere privo di potenza: nudo, debole, povero". Qui sta il punto. Cruciale per una chiesa. Ci rimane ancora il coraggio di credere che la vera potenza dei credenti, come quella di Gesù, sta non nell'arroganza dell'invasione delle case e delle coscienze, ma nell'essere nudi, deboli, poveri?
"Sì" - scrive Enzo Bianchi, l'amico priore del monastero di Bose - "noi possiamo ripetere con Paolo: 'Guai a me se non evangelizzo', ma l'annuncio deve avvenire in una buona comunicazione, la bella condotta di cui parla Pietro (1 Pt 2, 12), in una pratica cordiale del confronto e dell'alterità, non deve avvenire a ogni costo né attraverso l'arroganza dell'identità cattolica pura e dura né con un ritorno alle certezze che mortificano e agli splendori abbaglianti della verità" (Come evangelizzare oggi, pp. 40-41).
Il Natale insegna. Gli antichi Padri parlavano di un Verbum abbreviatum, una parola che si accorcia per non offendere la debolezza dei nostri occhi, di un Verbum infans, infante, una parola che non parla, parla con il silenzio della sua carne abitata dall'amore.
E qui si apre il diario. Diario segreto di preti e non preti, testimoni silenziosi e commossi della nube della presenza, della Parola accorciata e fatta silenzio.
Quanti uomini e quante donne del nostro tempo subiscono il fascino della magnanimità dei credenti, piccola, sì piccola, povera ombra della magnanimità di Dio e della sua benevolenza verso tutti.
A fronte di un cristiano doc che si indigna, quanti volti, questi sì non anonimi, conosciuti e ripercorsi nella memoria del cuore, di uomini e donne che in questi anni sono stati colti da stupore ed emozione per il rispetto, di cui secondo loro era intriso proprio il foglio che stava nella penombra nell'androne della casa. E non solo quello, dicevano.
E ultima, in ordine di tempo, ma non nell'ordine del cuore, una famiglia che, pochi giorni prima di Natale, sorpresa dal foglio, telefonò in parrocchia dicendo: "Noi siamo una famiglia di tradizione ebraica, ma a noi farebbe molto piacere che il parroco al suo passaggio si fermasse da noi, per la gioia di conoscerci". Così avvenne.
Oggi, scrivendone, vorrei ringraziare Dio. L'immediatezza dell'amicizia che andava oltre ogni separatezza, la luce che filtrava dai grandi vetri della casa, il profumo del rispetto che la riempiva, quasi un augurio alla soglia di un anno che, appena nato, già è insidiato da rumori e minacce di guerra.

don Angelo


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