articoli di d. Angelo


 

E SE FOSSE UN'ARTE INCHINARSI ?

Titolava giorni fa un quotidiano: "Alla ricerca del rispetto perduto".
Nell'articolo Vittorio Andreoli, neurologo psichiatra, forse forzando i toni, dava per perduto, morto, il rispetto. Il rispetto per l'uomo "un mio simile, che esiste in quanto lo incontro per strada. Lo vedo sull'automobile che mi giunge da destra. Il rispetto per l'uomo di cui non so nulla, se non che è un mio simile, uno che calpesta questa terra assomigliandomi".
E aggiungeva: "Questo rispetto è morto, l'uomo è meno di un oggetto, molto meno dell'automobile che ha un prezzo, mentre l'uomo è senza valore. E se gli si sbatte contro sulle strisce pedonali, ci si inquieta perché forse ha rovinato il paraurti. Non importa se sta crepando o ha bisogno di soccorso".

Le parole, lo confesso, sono dure come pietra. Ma come reagire?
Ora che il Natale e le sue feste si stanno consumando, viene spontaneo pensare che, se i presepi per grazia non hanno abitato solo gli occhi, tutti più o meno consciamente siamo andati in questi giorni a lezione. A lezione del rispetto perduto.
Rispetto è parola che viene dal latino (dal verbo "re-spicere"), è parola che evoca un guardare meno frettoloso, fa appello a un "ri-guardare", non basta una volta. Occhi che indugiano. E quasi vi cogli una sfumatura di protezione, la tenerezza del prendersi cura.

A coloro che hanno contemplato la nascita, secondo il nudo racconto del vangelo e non secondo le nostre fantasie, non sarà sfuggita l'assenza di ogni parola.
Nei racconti della nascita perfino gli spazi bianchi, gli interstizi tra parola e parola, sembrano abitati dal silenzio. Non ci sono parole, ci sono sguardi: i personaggi non parlano. E non solo le statuine, ma quelli veri in carne ed ossa.
Non una parola. Né di Maria, né di Giuseppe, il Bambino ancora non le poteva, né dei pastori, né dei Magi. Tutto è silenzio, è una questione di sguardi, indugiano gli sguardi.

Il rispetto ha qui la sua sorgente: nell'indugiare degli occhi. E non è solo la prima pagina del vangelo, quasi che dalla seconda in avanti cambiasse la musica.
Potrebbe essere interessante ripercorrere i vangeli alla ricerca dello sguardo di Gesù. Fra tanti sguardi frettolosi, a volte infastiditi, il suo ti copre come la nube della presenza, una nube di protezione.
Altri vedono i tuoi occhi spenti e fanno discussioni teologiche su chi ha peccato, lui si ferma. Altri vedono la tua mano inaridita e fanno questione di sabati violati, a lui interessa la mano, non l'uomo per il sabato, ma il sabato per l'uomo. Altri guardano con occhi spietati, vuoti di pietà, la donna peccatrice, lui osserva il profumo che porta nelle mani. I suoi occhi sono abitati dal pudore, il pudore del rispetto.
La parola "rispetto" evoca sì l'indugio, ma anche la vicinanza, evoca un guardare da vicino. Non sognare, non sognare mai di trovare rispetto in coloro che guardano dall'alto in basso. Per questo Dio si è abbassato: per guardare ad altezza di terra.
Essere guardati dalla stessa terra è anticamera di un miracolo. Lo sguardo dall'alto ti incenerisce, lo sguardo dal basso, lo sguardo della benevolenza, ti illumina come un fascio di luce che filtra nel silenzio di una camera oscura: è giorno per te.
Il "da lontano" mette paura, il "da vicino" ti fa essere, apre il cuore allo svelamento, per esperienze sempre più intense fino alla punta estrema del "da vicino" nel dono della sessualità, sconfinamento dell'accoglienza.
Dall'alto si gettano bombe ed è la distruzione del "riguardo", senza riguardo, la sconsacrazione del rispetto. A volte mi fermo a pensare che le bombe le puoi gettare solo dall'alto. Non le potresti gettare, solo che indugiassi sui volti o sulla terra che vai a ferire. Chiudi gli occhi, chiudi il rispetto e potrai bombardare. Che siano poi bombe dall'alto o giudizi dall'alto poco cambia. È l'assenza del rispetto.

Il rispetto, se ne ricerchi le radici, quelle più profonde, nasce da un sussulto per il mistero, per il divino che abita le persone e le cose.
Forse per questo, o anche per questo, oggi il rispetto sta diventando merce sempre più rara, perché siamo sempre meno sorpresi dal mistero che abita i viventi e sempre più sorpresi dal luccichio vuoto degli idoli mondani. Dentro una società in cui non vali per la tua carne d'uomo, ma perché hai un titolo, perché possiedi una laurea, perché sei apparso in televisione, perché hai fatto carriera nella vita, perché sai gridare. E non semplicemente per il tuo nudo essere uomo. Non occorre altro dal giorno in cui Dio, nascendo, ha messo la sua gloria in un bambino.

Fra i ricordi delle estati della mia infanzia, passate in campagna, mi rimane nel cuore il gesto degli anziani contadini, che, al passaggio del prete, chinandosi, si levavano in segno di rispetto il cappello.
Ora penso che il gesto andrebbe ripristinato, non come costume esteriore, ma come costume interiore. Ripristinato, ma non solo rivolto ai preti, perché non è il titolo che ti fa degno di rispetto: è che ti abita un mistero.
Scrive Vittorio Andreoli: "È solo un uomo, un uomo nudo. Un uomo senza qualità, un nulla. Io so invece che è una persona che pena, che si preoccupa, che soffre, che ha paura di vivere, che fatica a stare sulla terra perché si sente solo e magari in colpa. Gli basterebbe un sorriso, un buongiorno per avvertire di essere in un mondo umano. Un inchino fatto a "nessuno", con la consapevolezza che ogni uomo merita rispetto se non altro per il dolore che porta dentro".

Merita rispetto per il mistero che porta dentro, un mistero che ti è vietato violare, su cui ti è proibito mettere le mani. Non ti appartiene. Sei degno di rispetto non perché sei secondo i miei progetti, dentro i miei schemi o a misura dei miei sogni, ma semplicemente perché ti abita il sogno di Dio. E guai a chi presume di manometterlo.
Forse sta venendo meno tra i credenti la consapevolezza che per questo e non per altro i bambini li portiamo in chiesa, semplicemente per dire che li abita un sogno, quello di Dio e che nessuno osi manometterlo.
Dice luminosamente Eugen Drewermann, a proposito del bambino: "Egli è e possiede un proprio Io, che è scaturito dalle mani invisibili del suo creatore. In quanto essere umano è un essere che con la fronte tocca il cielo e che ha un cuore vasto quanto il mondo. Ed è così che deve poter vivere: libero, grande, pieno di dignità. E il suo nome deve riceverlo nello spazio del sacro; poiché anche per lui sono valide tutte le profezie, tutte le promesse dei visionari e dei profeti di tutti i tempi; anche in lui vive e prende forma una tessera della salvezza del mondo. Nessuno intorno a lui avrà il diritto di offuscare questa pura luce di Dio nel suo cuore, e nessuno avrà il potere di oscurare o di sbarrare la strada che lo riporta alle stelle. È questo ciò che noi chiamiamo battesimo, quando lo amministriamo ad un bambino appena nato" (E. Drewermann, Il vangelo di Marco, pag. 114).

Scrive lo psichiatra non credente: "Io non so cosa sia un abbraccio del Signore, il calore dei suoi sorrisi, certo conosco quelli di una persona umana, e sono meravigliosi e fanno miracoli, sia pure di questa terra".
E i credenti, che sanno o dicono di sapere che cosa sia un abbraccio del Signore, il calore dei suoi sorrisi, sanno praticare i miracoli di questa terra?
Forse è venuta meno l'arte di inchinarsi. Era nel sangue di quei lontani contadini, gente tutta d'un pezzo, senza cedimenti. Eppure si toglievano il cappello e si inchinavano.

don Angelo


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