QUANDO
MUORE UN BAMBINO SENTI CAMPANE
Quando
muore un bambino senti campane a martello, a tonfo pesante,
suonare nel cielo dell'anima. E poi, dopo ore o dopo giorni,
uno scampanare a festa all'ingresso del cielo più
alto.
Quando muore un bambino sta in silenzio. A patire il vuoto
delle parole. Se puoi, fa barriera all'ingresso della casa
perché l'eccesso di parole e di gesti non dissacri
il dolore. E sia custodito in silenzio, come si addice al
mistero. A difesa da invasione e intrusione del nostro io.
Tutti noi preoccupati di "farci presenti". Molto
meno preoccupati della fatica a reggere di un padre e di
una madre, costretti a incessante spaesamento.
Quando muore un bambino, soffri la tempesta di acqua e di
vento come la barca sul lago del vangelo. Gli spruzzi sono
impietosi negli occhi. Tuo il grido dei discepoli in totale
smarrimento: "Signore, non ti importa che moriamo?".
Non ti importa che muoia?
Quando muore un bambino vedi ritrascriversi il vangelo,
vedi ripetersi il compianto di Maria sotto la croce. Non
più la collina del cranio né i corpi appesi
a un legno, ma un cucciolo d'uomo, arreso al biancore di
lenzuolo, su un lettino del reparto di terapia intensiva
di un ospedale. Così, ti vai dicendo, la madre deve
aver abbracciato e baciato quel figlio morto di croce. Non
furono scritte le parole della madre, forse perché
coperte dal grande silenzio. I poeti le dettero parole,
parole di un pianto, forse solo sussurrate e subito nascoste
nel cuore. E ora le senti, le stesse, dopo secoli, nell'aria
sospesa di un reparto di terapia intensiva:
O
figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustïato?
Figlio,
occhi iocundi,
figlio, co' non respundi?
Figlio, perché t'ascundi
al petto o' si' lattato?
Figlio,
l'alma t'è 'scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato.
Figlio
bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio a chi m'apiglio?
figlio, pur m'hai lassato!
E
ci furono donne: annota il vangelo. A guardare da lontano.
Anche qui, nel reparto dei camici bianchi e verdognoli,
vedi per un attimo i medici sostare da lontano e guardare
con occhi straziati il compianto di una madre, di un padre
per un bambino arreso, per questa nuova deposizione dalla
croce.
E
ci furono braccia
ad accogliere
come quando uscisti alla luce.
E gridava il ventre
come per un parto.
Quando
muore un bambino senti disgusto, come se fossi ferito da
insulto per le parole che invadono spazi segreti della casa.
C'è sempre qualcuno che ha da insegnare qualcosa
sull'esaltante ma faticoso mestiere di essere padre, di
essere madre. E meno si è padri, meno si è
madri più si parla, si giudica, si insegna.
Quando muore un bambino ti accorgi, come per un lampo, di
quanti lo hanno generato, messo alla luce. Sì, un
figlio lo metti alla luce in un giorno determinato, in un'ora
precisa, dopo la dimora dei nove mesi, ma poi un figlio
lo metti alla luce, al mondo giorno dopo giorno. Lo introduci
alla luce, al senso che abita le cose, al mondo degli umani,
giorno dopo giorno. Quando muore un bambino sembra morire
nel cuore questo "giorno dopo giorno", il cammino.
Quando muore un bambino misuri spaesamento e sgomento sul
volto, sciupato dal pianto, delle sue maestre, di chi ha
il dono di educare. Le senti derubate di ore ed ore, di
giorni e giorni consumati nel grembo di una scuola, a inseguire,
come sogno, quello di mettere alla luce, al mondo i bimbi
che ti vengono affidati. Misuri lo strappo, la lacerazione
come di un parto. E che sia mettere alla luce! Mettere alla
luce di Dio, alla luce dei cieli nuovi, della terra nuova.
Quando muore un bambino misuri tutto il disagio per le nostre
espressioni vuote, consumate, consegnate dalla tradizione,
ma povere di senso. Si ripetono quasi senza pensare. Suonano
irriguardose, se non irritanti, per Dio e per gli uomini.
Svelano immagini tristi di Dio.
Come quando si dice, a conforto (!): era un angioletto,
Dio vuole accanto a sé gli angioletti. Oppure: Dio
coglie i fiori più belli, per il suo giardino. Non
mi riesce di immaginare, mi fa tremare il cuore, un Dio
che strappa ai genitori figli per volerli accanto a sé,
un Dio che recide fiori per la gioia di goderseli nel suo
paradiso. Dio non strappa, non recide, accoglie.
Mi è più facile, ripercorrendo le orme di
Gesù nel vangelo, immaginare un Dio che si turba
e piange, piange con noi, dentro le nostre case. Quando
Dio ci ha mostrato il suo volto nella carne di Gesù
di Nazaret, uomini e donne videro Dio piangere, in faccia
a tutti, poco fuori la casa di Betania. Piangere per l'amico
che la morte gli aveva strappato, piangere per quel singhiozzare
soffocato di Marta e Maria, le amiche del cuore. Quando
muore un bambino, alza gli occhi e ascolta. Dio singhiozza
dalla porta accanto.
Quando muore un bambino, un giovane, un adulto, un anziano,
un uomo, una donna, non dire mai, l'abbiamo detto troppe
volte, ma si presta a grave fraintendimento, non dire che
questa è volontà di Dio. E perché Dio
dovrebbe volere la vita per uno e la morte per un altro?
Forse che non siamo tutti suoi figli? Forse può essere
volontà di un padre la morte? Può volerla
Dio per un figlio? Fosse anche il peggiore dei figli? Usiamo
e abusiamo del suo nome.
Quando muore un bambino, il bambino della porta accanto,
allontana, una volta per sempre, tante, troppe parole religiose
che hanno dissacrato e ancora dissacrano il nome di Dio.
Dove sta la sua volontà, la volontà di Dio,
è scritto a caratteri indelebili nelle parole di
Gesù. Forse ce le siamo dimenticate. O non le abbiamo
mai lette. A causa di questa omissione di lettura o di questa
smemoratezza, può succedere purtroppo che i credenti,
quando nella preghiera giungono all'invocazione "sia
fatta la tua volontà", possano essere sfiorati,
come per sussulto, da esitazione e sospensione del cuore,
quasi incombesse su di loro chissà quale evento disperante
voluto da Dio. Qualcosa dunque da cui proteggersi. Che sia
voluta da Dio la malattia di un figlio, la sua morte, il
rimanere disoccupati o senza casa, la solitudine o l'abbandono,
la fame del mondo o l'ingiustizia sulla terra? Che sia questa
la volontà di Dio cui arrenderci: "sia fatta
la tua volontà"?
Ritorniamo a Gesù. "Questa" dice "è
la volontà del Padre mio". Quale? "Che
io non perda nessuno. Ma lo risusciti nell'ultimo giorno".
Volontà scritta. Scritta per sempre. Volontà
di Dio. E dunque sicura, non fragile come le nostre volontà
che si realizzano e non si realizzano. E dunque quando preghi:
"Padre, sia fatta la tua volontà", preghi
perché Gesù non perda nessuno ma lo risusciti
l'ultimo giorno. È una volontà di vita. E
dunque se le nostre giornate conoscono pesi, sofferenze,
non arrenderti, non è questa la volontà di
Dio, lotta per la vita, per sostenere la fragilità
della vita, non perdere nessuno, non dare nessuno per perduto
e, se puoi, risuscitalo, ovvero rialzalo. Allora, e non
altrimenti, sarai nella volontà di Dio.
Quando muore un bambino, succede la rivoluzione dell'immaginario
dei credenti. Nel loro immaginario si è consolidata,
fino a diventare immobile, quasi un monumento, la prospettiva
dell'aldilà come un "riposo eterno".
Ve lo immaginate un bambino, uno dei nostri, l'ultimo dei
nostri, prosciugato in un riposo eterno? A riposare tutta
l'eternità!
"Sì, va bene" scrive un biblista, Alberto
Maggi "si contempla Dio. Contemplare il Signore per
tutta l'eternità sarà senz'altro qualcosa
di indescrivibile, ci si può aggiungere anche qualche
concerto di angeli con arpe e flauti, ma la prospettiva
di contemplare il padre eterno per tutta l'eternità
non entusiasma molto. Forse dopo i primi tre o quattro secoli
la voglia di cambiare canale diventerà molto forte.
Gesù nel suo insegnamento non ha mai prospettato
né un riposo eterno né una contemplazione
eterna, ma semplicemente ha detto che la vita prosegue.
La vita con tutto quello che la vita contiene di affetti,
di bello, di curiosità, di crescita, d'interessi,
di gusti. La vita continua verso il raggiungimento della
sua pienezza nella sfera dell'amore di Dio".
Per questo, anche per questo, quando muore un bambino senti
campane suonare a martello nel cielo della tua anima. Sono
campane a martello mescolate a campane a festa, suoni che
vengono dalla soglia del cielo. E a tirare scatenati e festosi
le funi, mi piace pensarlo, sono i nostri bambini. Forse
i più scatenati.
don
Angelo
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