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don Angelo, su Famiglia domani, aprile 2014



DONO E COMPITO

Chiesa e dignità. Un invito limpido e forte a onorare e rivendicare la dignità toccherebbe come annunzio appassionato, inderogabile, alla chiesa. Un messaggio che la chiesa ha ricevuto, da conservare e trasmettere, messaggio custodito sia nelle scritture ebraiche sia nel vangelo del suo Signore. Vado a sfiorare due pagine tra le prime delle scritture ebraiche: in una di queste, del terrestre si dice che il Signore Dio gli insufflò nelle narici un alito di vita, dunque il suo spirito, e l'uomo divenne un essere vivente.

Nell'altra, che la precede, è scritto che Dio "creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò". Indistruttibile la sua immagine in noi, in noi abitati dal suo spirito. La sua immagine, origine insopprimibile della nostra dignità. Non distrutta nemmeno dalla efferatezza di un fratricidio. Ricordiamo Caino nell'abisso della sua follia fratricida e Dio che gli pone un segno sulla fronte, a difesa dalle ritorsioni forse anche legittime, un segno sulla fronte a segnalare una dignità non perduta, e dunque non violabile.

Scrive Enzo Bianchi: "Contro ogni fondamentalismo e ogni tentazione di dividere uomini e stati tra "buoni e cattivi", "volonterosi e canaglie" - tentazione che pare sempre più diffusa a tutti i livelli occorre non dimenticare questa verità cristiana sempre affermata: l'essere umano, essendo stato creato "a immagine e somiglianza" di Dio, è capax Dei, capace di conoscere e di operare il bene. L'immagine di Dio, impressa nel cuore di ciascuno, non può mai essere distrutta o messa a tacere, neanche quando l'uomo la contraddice e la nega. Se nel mondo opera il Male, è pur vero che l'uomo può contrastarlo in virtù di quell'immagine di Dio che porta in sé, e in virtù del fatto che Dio, attraverso Gesù Cristo uomo e Dio, "si è unito in un certo modo ad ogni uomo", come ricorda il Concilio Vaticano II".

Una dignità legata all'opera creatrice di Dio, al soffio di Dio che ti abita, e dunque, se stiamo alla rivelazione, non legata ad altro se non al fatto che sei un vivente, non dunque ai ruoli, alle possibilità economiche, agli studi che hai fatto, a una vocazione o a un'altra, all'appartenenza a una religione o a un'altra, all'appartenenza a un gruppo o a un altro o a nessun gruppo, a un genere o a un altro, a un orientamento sessuale o a un altro. Semplicemente al fatto che sei uomo, donna. Basta questa dignità.

"Non ho bisogno di nessuna tessera" diceva a David Maria Turoldo suo padre, quando per via del fascismo si era obbligati a prenderne una. "Non ho bisogno di tessere, mi basta la tessera del battesimo che mi fa figlio di Dio". Bellissimo! Ma forse, condotti dalla Bibbia, potremmo andare oltre: basta il fatto che Dio creandoti abbia iscritto la sua immagine in te. E potremmo continuare raccontando di Gesù e di come la sua vita sia stata onorare questa dignità di ognuno, non solo, ma un rivendicare con forza che dovesse essere restituita a ciascuno la sua dignità, liberando spalle di uomini e donne dal peso di cui le autorità religiose li avevano caricati, affermando, senza timore di scandalizzare, che l'uomo non può essere chinato al sabato ma che il sabato deve chinarsi all'uomo, restituendo libertà e dignità, e - anche questo dobbiamo riconoscere - pagando di persona per questa sua difesa della dignità di ognuno contro le varie forme di oppressione delle coscienze.

Mi chiedo se la chiesa è stata fedele a questa predicazione, nel dire che la tua dignità non la devi vendere a nessuno, la puoi solo concedere a Dio che ne è il garante ultimo: non la puoi vendere né al potere politico, né al potere economico e nemmeno al potere religioso. Che anzi tutti questi poteri trovano la loro legittimazione nel difendere e nel lavorare per la dignità di ciascun uomo e di ciascuna donna, di ciascun popolo. Una predicazione che andrebbe ripresa con forza oggi. Quante cose cambierebbero se andando per case, per strade o pigiati nella metropolitana, guardando la persona accanto, andassimo oltre l'apparenza, a pensare al mistero che abita ciascuno, a rivendicare la dignità di ciascuno, ciascuno portatore della misura di Dio, che è la dismisura. E dunque nell'uomo e nella donna è scritta in modo indelebile una dismisura, la dismisura di Dio.

Molti di noi, penso, avvertono quanto urgente sia questo richiamo in tempi in cui la sfigurazione, l'occupazione, l'invasione lo sfruttamento sono purtroppo attentato quasi quotidiano ai volti, ai popoli, alle classi sociali, alle minoranze, ai deboli, ai diversi. Occorre creare un arrovesciamento. Se ti incanti alla dignità di un volto, non ti succederà di sfigurarlo; se ti incanti alla dignità di un'anima, non ti succederà di occuparla; se ti incanti alla dignità della terra, non ti succederà di sfruttarla.

Voi avete scelto questo tema che mi sembra di una importanza cruciale, al punto da farmi chiedere perché è un tema così marginale all'interno della chiesa mentre è così centrale secondo la Bibbia e il vangelo, un tema poco dibattuto, evitato. O enfatizzato con il rischio di renderlo innocuo con le proclamazioni verbali, solo verbali. Mentre al contrario potrebbe essere un interrogativo che fa da verifica della autenticità della vita cristiana e della vita ecclesiale, sociale. Ma la passione per la dignità di ogni uomo per essere sincera deve essere in tutta la sua ampiezza. Perdonate a questo riguardo un ricordo molto personale.

La penultima volta che incontrai il cardinal Martini a Gallarate, e già si faceva fatica a interpretare la sua voce ridotta a un filo, non so come, non ricordo come, si venne a parlare dell'insistito appello da parte dei vertici ecclesiastici ai cosiddetti "valori non negoziabili". Ricordo che a quel punto, con molta lucidità ma anche con molto coraggio, il cardinale disse: "Con queste battaglie non siamo affatto credibili. Per essere credibili bisognerebbe ricordare tutti i valori non negoziabili e non insistere sempre solo su alcuni". Una chiesa dunque che annunci e difenda la dignità nella sua interezza, non parcellizzando. Ma lasciatemi subito aggiungere, e andrò solo per accenni che chiederebbero sviluppi per i quali non ho tempo ma soprattutto competenze, che la chiesa , lei per prima, dovrebbe interrogarsi sul suo rispetto della dignità al suo interno e al suo esterno, nei confronti di chiunque.

Perché non basta già declamare. Non possiamo dimenticare le ferite inferte alla dignità della persona dall'inquisizione delle coscienze con metodi di morte fisica un tempo e di morte morale oggi. Non possiamo non ricordare come oggi non raramente si venga inquisiti all'interno della chiesa senza il rispetto dei più elementari diritti di una difesa, quei diritti che sono garantiti nel mondo della laicità. In questo orizzonte mi verrebbe da esplorare - non sono tutti, né sono nominati con un minimo di gerarchia - alcuni ambiti della vita della chiesa.

Un primo ambito la dignità dei poveri. Che, secondo le pagine delle scritture ebraiche e del vangelo chiederebbe una attenzione particolare, una volta si diceva: "l'opzione preferenziale per i poveri". Che cosa stava sotto quella scelta? Non certo un moto di partigianeria, ma il fatto che gli impoveriti non hanno nessuno che difenda la loro dignità, fino a far loro pensare di non averne, di non esistere per nessuno. Ecco perché la Bibbia invitava il re a difendere orfani vedove, stranieri. Ecco perché il libro del Deuteronomio per esempio invita chi va a chiedere la restituzione del mantello dato in prestito a non entrare nella casa del povero, per non violare la sua intimità.

Padre Dominique Barthélemy, ripercorrendo le Scritture, nel suo libro "Il povero scelto come Signore" sottolinea come proprio coloro che in qualche misura non esistono nel nostro immaginario perché confinati in una condizione di miseria materiale o morale, siano paradossalmente quelli che esistono per Dio, esistono nella stima di Dio. Nel suo sguardo dunque una stima che li fa essere. Di questa stima che fa essere noi dovremmo essere i testimoni sulla terra. Non possiamo sfuggire dunque alla domanda sul nostro sguardo: com'è il nostro sguardo nei loro confronti? Posso sbagliare ma questa sottolineatura è ancora, a mio avviso, poco riconosciuta, poco presente in discorsi e iniziative che si esibiscono come azioni di solidarietà nei confronti dei poveri.

Leggo: "l'amore autentico è quello che lancia l'altro nell'esistenza e lo rende libero e preparato per viverla, libero e autonomo. Questo suppone che si sia capaci di stimare gli altri. Essere aiutati è sempre molto ambiguo. Essere aiutati, se non si è stimati, può essere umiliante. Se si è stimati, l'aiuto prende un senso positivo e lo si può accettare senza essere umiliati, certi della stima" (cfr. Dominique Barthélemy "Il povero scelto come Signore"pagg. 44-45).

Ebbene una sincera verifica alla luce della parola di Dio ci condurrebbe a chiederci se le nostre forme di solidarietà sono rispettose della dignità umana. E' la stima che fa essere l'altro. E il discorso si allargherebbe a ogni altro. Nella chiesa, nella società, nella famiglia. Una chiesa racchiusa al suo interno non onora la dignità, non la avvista al di fuori di sé, al di là dei suoi confini, dai quali esce solo per proclamare e mai per attingere, quasi che lo spirito avesse fatto di lei la dimora esclusiva e fuori non ci fosse che il vuoto.

Ebbene una indagine, mi sembra puntuale, come quella che Saverio Xeres e Giorgio Campanini fanno della Chiesa italiana negli anni dal dopo Concilio ad oggi, nel loro libro dal titolo "Manca il respiro", mette in evidenza come nella chiesa italiana ci si sia allontanati dal Concilio passando da una chiesa che dialoga a una chiesa concentrata su di sé, che, quando esce, esce per proclamare, in un movimento a senso unico, senza ascoltare ciò che accade fuori, senza far tesoro di ciò che viene dal di fuori. La documentazione è precisa, a mio avviso inoppugnabile.

Avviene che si declami dall'alto, senza entrare nelle case, senza osservare con amore quello che sta avvenendo. Senza avvertire, per esempio, che se il matrimonio è uno, le modalità di essere famiglia oggi, e quindi degne di rispetto, voi me lo insegnate, sono molteplici. Chi non è ascoltato è come se fosse derubato della dignità, come se non esistesse. Una chiesa monocorde risucchiata da gerarchia e clero non onora di certo la dignità, la dignità del laicato. Non potremmo dunque ravvisare all'interno stesso della chiesa meccanismi e situazioni, che, in controtendenza con le dichiarazioni, denunciano un effettivo scippo della dignità? Sto pensando per esempio all'avventura pallida e triste dell'apporto del laicato.

Se non lo si associa in pari dignità, se non si dà ascolto, se non lo si rende veramente partecipe, se lo si guarda come un esecutori di ordini, se è oggetto di sospettoso controllo, viene meno il rispetto della dignità. Saverio Xeres segnala come "la lacuna più clamorosa, come il punto sul quale maggiormente il Concilio è stato disatteso nella chiesa italiana del postconcilio, la insufficiente responsabilità riconosciuta ai laici. Sono i laici infatti la componente ecclesiale che costituisce il collegamento tra la chiesa e la società; essi peraltro sono parte di gran lunga preponderane del popolo di Dio, non solo numericamente, ma anche nel senso di identificare il "soggetto" proprio dell'azione della chiesa nel mondo".

I laici per lo più ridotti a esecutori di ordini, o cooptati, per benigna concessione, a ruoli all'interno della chiesa, dell'istituzione ecclesiale a fronte della mancanza dei preti. E' venuta meno la consapevolezza che "un laico è veramente cristiano non quando insegna catechismo o distribuisce la comunione, bensì quando vive la propria fede nel quotidiano e nei più diversi ambienti della società. All'interno della comunità cristiana poi i laici si trovano spesso in grande difficoltà, non dico a far valere la loro corresponsabilità nelle decisioni, bensì anche a far intendere la loro voce".

Pensate che cosa è avvenuto in campo politico "dove i vescovi, anzi gli organismi di vertice della conferenza episcopale si sono attribuiti un ruolo di intervento diretto sulle sfere politiche e governative". La stessa osservazione da parte del teologo Severino Dianich "Nell'area pubblica risuona forte la comunicazione dei vescovi e del papa diretta ai fedeli e alla società civile, mentre è solo mormorata la comunicazione dei fedeli ai vescovi, al papa, alla società civile. Questo non fa bene alla chiesa né contribuisce alla sua missione …quando i giornali cattolici saranno i luoghi dell'opinione pubblica dei fedeli e non solo i portavoce dei vescovi la chiesa sarà veramente un corpo vivo" (www.vivailconcilio.it) Una chiesa di solo uomini non onora la dignità, perché nella realtà cancella la dignità delle donne. È diventato luogo comune dire che le donne hanno spazio nella comunità ecclesiale, che delle donne oggi sono piene le chiese. Ci si dovrebbe però chiedere se la presenza sia prevista sì, ma per lo più per una funzione di servizio e di conservazione.

Di tanto in tanto mi succede di osservarle nella chiesa e la mente mi corre alla casa di Betania, alla lezione dimenticata di quella casa, dove il Rabbi di Nazaret non sopporta che una delle sorelle, Marta, sia confinata e impoverita in un ruolo di servizio, nel ruolo di donna affaccendata: "Tu" sembra dirle "sei molto di più: tu, come tua sorella, puoi stare con me in una relazione diversa, in una relazione di scambio interiore, e non primariamente in una relazione di scambio di servizi. Tu sei molto di più, tu puoi condividere con me pensieri, orizzonti, e sogni".

Vi immaginate che cosa succederebbe nella chiesa se papi, vescovi e preti chiamassero le donne a condividere pensieri, orizzonti e sogni? Vedo e soffro. Soffro la distanza, in una chiesa dove il pensare e il decidere è riservato ai maschi e, contrariamente alla lezione del Maestro, le donne sono chiamate ad eseguire. Si pensa e si decide nelle stanze alte. Là non c'è spazio, nemmeno nell'immaginario, per un sedere alla pari, donne e uomini mescolati. Mescola sacra sarebbe, perché evangelica. Da dove nascono i pronunciamenti, i documenti, gli orientamenti, i piani pastorali? Da dove vengono se non da un mondo maschile? E, respirando fin dal loro incipit a un polmone solo, quello maschile, come potrebbero non denunciare fiato corto e asfittico? Permane in non pochi ambiti ecclesiastici il pregiudizio, duro a morire, che la mente sia privilegio dei maschi: gli uomini la mente, le donne il cuore.

Quanto lontani ancora dall'intuire che ci sia un pensare, non intriso di fredda razionalità. Causa, questa, e non ultima, dell'aridità dei molti documenti ecclesiastici. Quanto lontani ancora dall'intuire che c'è un pensare che conduce a sconfinamenti. Negarlo è negare la dignità delle donne. Ho accennato ad alcuni ambiti, ma penso che tutta la vita della chiesa andrebbe esaminata alla luce di questo aspetto che non è marginale, ma cruciale. Ne va dell'annuncio del vangelo.

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