articoli di d. Angelo


 

EMANUEL E RAFAEL E LE LATTINE


Se ne è andato. Dico, il Natale. E in un angolino smarrito, di una memoria sempre più smarrita per pesantezza di età, mi si accende ancora una volta l'immagine di una mia alunna del liceo, ora diventata scrittrice famosa, che mentre noi si discuteva di Natale, scriveva dolentemente sulla lavagna alle spalle: "Natale le statuine e gli addobbi… S. Stefano tutto ritorna come prima". Come se appartenesse al natale un destino di morte. Per il Natale e per le pietose bugie.

Ma l'attentato che decreta morte al Natale è già da prima, da prima di S. Stefano. E' nel giorno stesso di Natale. L'attentato avviene ogni volta che veliamo la buona notizia di un Dio che esce e in qualche misura lo riportiamo dentro, agli arresti domiciliari. Lui che fuoriesce dai piani alti e chiede abitazione sulla terra, lui sceso a toccarci, a toccarci nella nostra carne, nella nostra umanità.

Lui che, quando decise di lasciare i piani alti, non pensò a spazi sacri sulla terra. Eppure quello che sarebbe diventato suo popolo, di spazi sacri ne aveva e di tutto rispetto, un tempio da rimanerci basiti per bellezza e splendore. No, lui sentiva, possiamo dirlo, odore di sequestro, come dire, una roba un po' da preti.

Ho trovato conferma a questi miei pensieri nel messaggio giunto a Natale da un mio amico "postino" che vive in una fraternità di Goias in Brasile: "Noi sappiamo" scrive "che Dio ha deciso di uscire dal tempio, uscire, per così dire dalla religione, per immergersi nella vita. E nella vita dei più poveri, dei più sfortunati, degli ultimi della società di allora: "Vi è nato un salvatore". Un salvatore lui? Chi ci potrebbe credere? Meno che meno buona parte di quelli che, duemila anni dopo quell'evento, si mettono ancora in fila per adorare un bambino di gesso, senza sapere cosa debba comportare per loro. Dunque, torniamo a Dio e ai pastori. A loro che non potevano entrare nel tempio, Dio manda a dire: il mio tempio sono le vostre stalle, i vostri campi, le vostre case, le vostre strade, e i miei riti sono la vita che lì vi scorre".

E il postino narra un fatto e lo commenta. Racconta che cosa gli capitò di vedere il mattino di Natale. La Messa della notte non aveva visto certo folle nella chiesa del monastero: erano presenti solo poche persone delle comunità. "Stamattina, alle nove" racconta "si è tornati per la messa del giorno e, scendendo per la stradicciola che dà sul fondo dell'asilo, abbiamo trovato Emanuel e Rafael che stavano schiacciando le lattine raccolte durante il mese. Le avrebbero vendute, da lì a poco, a 60 centesimi di euro al chilo, realizzando l'equivalente di circa 12 euro ciascuno. Beh, in testa, per un momento, ci è frullato il pensiero che, perdinci, almeno il giorno di Natale, avrebbero ben potuto decidere di venire anche loro a Messa. Dove noi si era persino meno che la notte precedente. Poi la predica di dom Tomás ci ha portato a riflettere che forse avremmo dovuto chiederci perché i nostri amici avessero "scelto" di schiacciare lattine, invece di venire a messa. E poi che, comunque, il mistero dell'incarnazione faceva sì che Egli fosse là con loro, a schiacciar lattine, più ancora che con noi che lo celebravamo con una cosa pur santa come l'Eucaristia. Una volta di più, insomma, la Parola annunciata (e grazie a Dio che il rito non cessa di annunciarcela) ci rivela che Dio non è venuto a chiamare i pastori, i poveri, cioè, al tempio, ma è venuto a fare di loro e della loro vita il luogo della sua rivelazione e lo spazio da cui si diparte la sua redenzione".
Per un istante leggendo mi ha attraversato, quasi un brivido nelle ossa, una sottile paura: che si sia ritornati nel tempio da cui lui era voluto uscire, un natale ricondotto nelle chiese per uno che ha passione per la terra, passione per donne e uomini in carne ed ossa, per pastori che nelle vesti si portano odore di greggi e di fumo di bivacchi.

E per un attimo ho sognato una chiesa che dicesse a chi frequenta ancora le chiese: "Badate che il natale è fuori. Perché lui ha scelto luoghi fuori. State come lui fuori. Se lo volete onorare e ringraziare, e ce ne sarebbe motivo di farlo, fate processioni verso la vita. Se lui è venuto verso le cose di ogni giorno fate riconciliazione con le cose di ogni giorno.
E non avvenga che disprezziate o sottovalutiate il gesto di "schiacciare lattine".

Il mistero dell'incarnazione, ci è stato ricordato, fa sì che il Dio fatto uomo sia là con loro, a schiacciar lattine, più ancora che con noi che lo celebriamo con una cosa pur santa come l'Eucaristia, se poi ci dimentichiamo della vita.

Ritorniamo alle cose di sempre, dopo esserci stupiti come i pastori. Anche loro tornarono alle cose di sempre, greggi e pascoli e bivacchi di notte. Ma con uno sguardo diverso. Che non era di sottovalutazione della loro vita, come se le cose, quelle cose, fossero di meno. Paradossalmente erano diventate di più, chiedevano più passione e più cura. Perché anche Dio si era messo in quelle cose, le loro cose, mangiatoia e fasce di cuccioli d'uomo. Facciamo processioni alla vita.

Se mai chiediamoci dove sono oggi le mangiatoie, dove i panni di neonati esclusi per i quali non c'è posto, dove oggi fuochi di bivacchi. Diamo nomi alle esclusioni di oggi.

Per strana congiunzione mi si accendono nella mente immagini di altri bivacchi nelle notti dei nostri giorni, bivacchi di operai senza più lavoro, senza più futuro né per sé né per le loro famiglie, fuori dalle fabbriche, bivacchi accesi nella notte, o in veglia all'addiaccio su una torre della stazione centrale. Quasi un simbolo. Ho sentito dire di questi ultimi: "Ma che scendano, dal momento che, per loro di Milano, hanno trovato una decorosa soluzione!". Sono rimasti. A dire che altri sono senza soluzione. Non gli basta di essere garantiti loro. Accendono nella notte l'attenzione su altri bivacchi di pastori dei nostri tempi. Invitano a invertire la processione, ad andare là dove violata è la dignità di un uomo e di una donna. Là va fatto il Natale.

Questo sembra dirci il Natale, fuori dai sentimentalismi facili: Dio è nella carne viva e debole di ogni essere umano. Fascialo, prenditi cura. Prenditi cura di ogni essere umano. Semplicemente per il fatto che è un essere umano. Fascialo, prenditi cura. Perché è lì che oggi ancora il Verbo si fa carne.

Perché non succeda che ancora oggi Laura scriva dolente sulla lavagna: "S. Stefano... tutto ritorna come prima".


Angelo Casati


 

 
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