Non
lasciatevi imporre di nuovo il giogo
Capita a me, capita, immagino, a parecchi di noi, entrando
in una libreria, di rimanere all’inizio come storditi dal
profumo dei libri. Stordente profumo dei molti libri. E
ti succede di patire quasi una sorta di spaesamento: se
non entri con un titolo in testa, non sai dove puntare.
Qualcuno
dirà che non è una scelta molto razionale, ma a me succede
a volte di fermarmi a un nome, nome e cognome. Ci sono persone
che nella vita forse non avremo mai incontrate, eppure ci
siamo parlati, abbiamo camminato giorni e notti insieme
attraverso la scrittura. Loro, gli autori, non ne verranno
forse mai a conoscenza, ma il nostro cuore ardeva su quelle
loro pagine. A volte la mia sosta tra uno scaffale e l’altro
della libreria, lo confesso, è ancor più irrazionale. Mi
succede di fermarmi a un titolo. Affascinato semplicemente
da un titolo.
Pochi mesi fa, dopo lo stordimento iniziale per la moltitudine
dei libri, nella libreria dell’”Ancora” in via Larga, a
fermarmi furono due cose insieme, il nome dell’autore del
libro, Christian Duquoc, e, lo confesso, forse ancor più,
quel titolo accattivante: “Gesù uomo libero” (Queriniana
editrice).
Ci
sono titoli attribuiti a Gesù che hanno il suono imponente
delle definizioni. Li ascolti e non ti commuovono, ti ricordano
poco o nulla della sua vita. Ce ne sono altri, meno in uso
forse, come questo, che, appena lo sfiori, ti crea un sussulto
di pagine e pagine di vangelo. Immagini vive e piene di
colori. Come se tu sfiorassi in quel titolo il suo modo
di essere, il suo modo, affascinante, di stare nel mondo.
Forse
per questo quel titolo mi aveva segretamente stregato. O
forse perché tutti, chi più chi meno, soffriamo di imprigionamenti.
E il fascino di Gesù uomo libero accende trasalimenti in
ognuno di noi. Non ci sono stereotipi che tengano: se tu
ti fai lettore attento del vangelo non puoi sfuggire all’incantamento
per la libertà di Gesù. Libertà a caro prezzo.
I
racconti della sua risurrezione custodiscono l’incantamento.
Quel suo andare, quasi a sfidarle, per porte chiuse, quel
suo rifiuto ad essere catturato in una sola immagine - custode
del giardino, pellegrino nelle ombre della sera, uomo in
cerca di pesce dalla riva in un alba di lago? - e quell’invito
a Maddalena, quando ancora dentro vibrava del sussulto della
sua voce, quell’invito: “non mi trattenere!”. E quanto sarà
costato, mi chiedo, a Maddalena sentire quelle parole e
forse anche a lui dirle? Era il prezzo, caro prezzo, di
una libertà. Pausa di incantamento e subito strappo della
libertà.
Mi
si è affacciata una domanda, che in qualche misura può sembrarti
impertinente: se oggi stentiamo a rinvenire spiriti liberi
tra i credenti, se l’immagine prevalente che rimandiamo
al mondo è quella della meticolosità e non quella dell’ebbrezza
del vento che scompiglia i capelli, figli delle istituzioni
e dell’inquadramento più che figli del vento come ci voleva
il Maestro di Nazaret, non sarà anche perché abbiamo addomesticato
la figura di Gesù, per via di sdolcinature irreali, cancellando
o sfocando la sua immagine di uomo libero? Con la deriva
di un cristianesimo dove la fissità dei codici sembra prevalere
sulla imprevedibilità del vento. Qualcuno ha scritto che
“uno degli scandali peggiori che le comunità cristiane possono
offrire al mondo è il fenomeno di persone che, dopo una
meticolosa fedeltà a tutta una vita di osservanze religiose,
falliscono manifestamente nell’impresa di diventare umane.
Sono acide e spietate, sembra che proprio il tipo di vita
che conducono invece di addolcirle, le abbia rese meschine,
rigide, di vedute ristrette, dalla lingua tagliente, dure
con la gente, incapaci di amare e lente a perdonare” (Mary
Boulding).
Eppure a Nicodemo, nel fitto parlarsi di una notte in cui
in ascolto erano perfino le stelle, Gesù aveva dato, dei
credenti in lui, un’immagine diversa, l’immagine della imprevedibilità,
creature imprevedibili come il vento, che - diceva - “non
sai di dove viene e dove va”. Hai mai tentato di trattenere
il vento? “Non mi trattenere!”.
Anni fa, ricordo, era l’estate 1999, in Giordania, sedotto
dalla magia di quella terra, mi avvenne di pensare ai giorni
i cui avrei a lungo patito la distanza dal deserto e dalle
sue piste, disegnate dal vento sulle sabbie. Quasi un’icona
di libertà.
E
mi sveglierò
su strade grigie
e griderò inascoltato
l’assenza.
Orfano
della magia del deserto
delle sabbie rosate
delle rocce
ubriache di colore.
E sognerò
folate di vento
di libertà
e sabbia nei capelli
spazi senza recinti
e l’eco dopo millenni
di messaggi segreti
incisi da beduini
su rocce di basalto
a segnalare
ai nomadi del futuro
piste segrete
d’indipendenza
nell’infuocato deserto.
Oggi
sono arrivato a pensare che quell’estasi per la libertà
dello spirito, ognuno di noi potrebbe riviverla, con la
stessa emozione, fermandosi a contemplare, sorpreso e affascinato,
le tracce del più grande tra i nomadi della storia, Gesù
di Nazaret: da dove veniva e dove andava? Tracce incise
non su rocce di basalto, ma su frammenti vivi di vangeli.
Sfogli
le pagine e resti sorpreso dalla sua libertà, sorpreso e
affascinato per come reagisce davanti a ogni tentativo di
imprigionamento. Da chiunque gli venga, fossero pure suo
padre e sua madre, o i suoi, che cercano di “riportarlo
a casa”, di ricondurlo a più miti consigli.
Là dove vige un’adorazione acritica della legge, lui scompiglia
la fissità senz’anima dei codici: guarisce di sabato, tocca
i lebbrosi, mangia con gente di dubbia reputazione, ha al
suo seguito delle donne, si lascia profumare e ungere dalle
loro mani, promette memoria futura a una peccatrice, trova
la fede nei pagani, demitizza il luogo in cui adorare, un
monte o un altro, canonizza un ladro sulla croce. Gli interessa
Dio, un Dio che libera, gli interessa l’uomo, l’uomo e la
sua libertà.
La
sua era una religiosità diversa, libera, sciolta, in movimento.
Ascoltalo: “Quando digiunate non fate come gli scribi e
i farisei…profumati il capo”. La sua è la religiosità del
figlio e non dello schiavo. La religiosità dello schiavo
è una religiosità paralizzante: ferma la vita, la chiude.
È la religiosità della paura, che fa di noi degli osservanti
senza amore, senza invenzione, senza intensità, simili all’uomo
della parabola che va e nasconde “per paura” il suo talento,
a differenza degli altri due che inventano ogni giorno strade
per moltiplicarli.
Gesù
ha lottato, instancabile, per la libertà, la libertà da
una religiosità da schiavi. E fu motivo, uno dei motivi
determinanti, per decidere di toglierlo di mezzo.
Non gli perdonavano la sua libertà. Non gli perdonavano
la sua idea di Dio.
Se
ci fu contrasto tra lui e un gruppo di scribi e farisei,
non fu perché li giudicasse degli “amorali”, erano meticolosi
osservanti. “Farisei, scribi e sadducei “ scrive Christian
Duquoc “sono attaccati come classi dominanti perché si appropriano
in maniera unilaterale del potere di interpretare la legge
e di definire il rapporto autentico con Dio. Gesù condanna
la loro funzione sociale e vuole spezzare il loro eccessivo
potere: in ciò manifesta la sua libertà. La sua rivolta
contro i padroni della legge è una rivolta in favore dei
piccoli. Tali padroni impongono a questi ultimi un giogo
insopportabile. Ignorano che Dio rende liberi, senza affrettare
le tappe. Gesù ridà a Dio la libertà che gli appartiene.”
Leggi
il vangelo, respiri a pieni polmoni la libertà. Che ha un
segreto: il segreto è quel pezzo di Dio che è in te, che
i veri maestri dello spirito ti invitano a scoprire e ad
adorare. Se sei fedele a questo pezzo di Dio, sei libero
dalla schiavitù degli altri e delle cose, dalle convenzioni
abusate, dai codici senz’anima, dalle aspettative degli
altri, dalle immagini che gli altri hanno di te. Per te
contano gli occhi del tuo Signore, conta un piccolo pezzo
di lui in te.
Era
ciò che faceva sentire paradossalmente libera, nella prigionia
di un lager, Etty Hillesum, e le faceva dire, rivolgendosi
a Dio, sveglia al buio, con gli occhi che le bruciavano:
“L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche
l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in
noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire
a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini (…).
Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di
mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento,
invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono
ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure
e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio
corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non
si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue
braccia”.
Ritorna
la domanda: perché respiri questa libertà nelle pagine di
una donna che sfuggiva ad ogni appartenenza e respiri tanta
povertà di visioni, rigidità d’anima, sudditanza a convenzioni,
in persone che amano sbandierare appartenenze?
Dovrò
riprendere in mano il vangelo, osservare più da vicino Gesù,
il mio Signore, un uomo libero. E fissare a memoria le parole
di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi;
state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il
giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
don
Angelo
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