articoli di d. Angelo


 

DIETRO LE DOMANDE DI UN BAMBINO

Ti sono mancate le parole. Afasia improvvisa, paralisi di lingua, ma ancor più di pensieri. Dietro una domanda. E non era interrogazione di chi ti intimidisce dall'alto, dall'alto del suo presunto sapere, domanda di professore. Se così fosse stato, ti saresti destreggiata. Conosci sotterfugi e stratagemmi per menare, così si dice, il can per l'aia, per condurre l'altro su terre a te conosciute, in paesi già visitati. A misura di sicurezza.
No. La domanda veniva dal basso. Aveva lo spazio minimo trasparente del volto di un bambino. I bambini, i loro occhi ti portano all'inizio, all'incipit delle cose. Né puoi salvarti, con loro, con il vecchio costume di eludere le domande glissandole con le sottigliezze, le fumoserie, le astrattezze dei teologi.
No. Incespicavi. I bambini, i loro occhi sono terra vergine. Incespicavi. E non era semplicemente questione di linguaggio, il come dire. In questione era il senso. Il senso di una realtà che, fino a pochi minuti prima, davi per scontata. Ora non lo era più. Per via di quella domanda a dir poco spiazzante.
Eri entrata con il tuo bambino nella penombra della chiesa. E quel giorno non fu solo gioco di accensioni, come spesso accade Amano, i bambini, accendere i ceri e poi, a seguire, il divertimento di soffiare, a prova di fiammella, e poi ancora riaccendere. È magia per i loro occhi. Inseguono l'invisibile, incantati al mistero che abita il palpitare delle fiammelle.
E non fu, quel giorno, solo magia di giochi di bimbi, perché, fatti pochi passi nella chiesa, quando ti trovasti davanti all'altare maggiore. gli occhi del bambino andarono al grande crocifisso, che è là, posto in alto e due ombre, una da un lato e una dall'altro, quasi a evocare i ladroni, compagni in morire.
"È Gesù": gli mormorasti. Ma lui di rimando: "Perché i chiodi? Perché l'hanno inchiodato a quel legno?".
E tu percepivi, dietro la domanda, che gli occhi del bambino, dopo aver bussato al mistero che arde dietro la fiammella dei ceri, ora bussava a un altro mistero, al mistero che arde dietro l'uomo della croce.
Storia di roveti ardenti e di uomini e donne che vogliono vedere o, forse meglio, intravedere. Allora Mosè, incantato al roveto che ardeva senza consumare. Ora un bambino, incantato al legno di una croce, che il tempo non consuma. E beati gli occhi che ancora sanno incantarsi e interrogare.
Perché l'uomo della croce? A un adulto avresti anche potuto rispondere con i luoghi comuni, risposte consumate, acqua passata sotto il ponte, risposte che, da un po' di tempo a questa parte, faticano a convincere anche il tuo cuore.
Perché morto di croce? Era volontà di Dio che morisse sulla croce: avresti potuto senza fatiche rispondere al bambino. Ma, subito dopo, avresti dovuto spiegargli come possa un Dio volere per un figlio una morte di sete, di sangue e di grido. Sì, perché morì in un grido, secondo gli evangeli.
Quella croce fu volontà di Dio o di altri?
Dietro la domanda andavi racimolando frammenti di pensieri e suggestioni. In quella carne d'uomo che il Figlio di Dio aveva presa come sua, come per una fessura, ti era sembrato di aver intravisto ben altra immagine di Dio, non il volto di una onnipotenza dispotica implacabile o dell'amministratore con il quale far tornare i conti, ma il volto della misericordia, un Dio che non pretende i bilanci in pareggio, ma un Dio che, sui nostri bilanci sempre in rosso, a pareggio scrive la parola gratuità, amore non comprato ma donato. Un Dio che vuole sia restituita dignità a ognuno dei suoi figli. E che nessuno osi più farla da padrone su un uomo o una donna, su un popolo o un altro. E che di nessuno più sia versato il sangue, perché il sangue, fosse anche quello di un caino, grida dalla terra a Dio come una bestemmia.
Non un Dio che chiede sacrifici, ma un Dio che dai suoi figli vuole che finalmente capiscano che "sacrificare" non è uccidere o soffocare, bensì "fare sacre" le cose e la vita, farle abitate da Dio. La terra è sacra, la vita è sacra, quando portano il segno del padre che è nei cieli e non dei tiranni che sono sulla terra.
E Gesù, l'uomo della croce, passò sulla terra a costruire instancabilmente con passione il regno di Dio, il sogno di Dio, una terra a specchio del sogno di Dio.
Ma un uomo così, uno controcorrente come lui, faceva paura. Metteva paura agli uomini del potere, tiranni e burocrati di Dio, quelli che amano le gerarchie e non la fraternità, quelli che inseguono notte e giorno il successo, vendono l'anima per il denaro e il potere. Quell'uomo per loro era pericoloso. Bisognava fermarlo. "Ma non vedete che tutto il mondo gli va dietro?" (Gv 12,19). Bisognava fermarlo.


Non dovevi più camminare.
Era necessità ai potenti
fermarti:
passavi facendo il bene,
schiodavi i paralitici
alzavi la testa ai poveri
facevi camminare i sogni.
Era necessità fermarti,
eri pericolo.
Colpi di chiodi
che pesano sul mondo
sfondano il mio cuore.
Fermo per sempre,
legato a una croce,
imprigionato l'imprigionabile.
Fisso da lontano
la trafittura dei chiodi
adoro il segno
della mia libertà.
E lui, forse potresti dire al tuo bambino (ma le parole dovranno essere altre, più piccole e più vere, e non le mie che sono parole da prete) lui, per quel suo sogno che era il sogno di Dio, per difendere la verità che tu, io, ogni uomo e ogni donna, sia ebreo o musulmano, sia indù o cristiano, è abitato da un sogno di Dio, non è arretrato, neppure davanti alla morte. "prendete me" ha detto "ma sia sacra la libertà d'ogni vivente". Morto a difesa. A difesa di ciascuno di noi, ha fatto scudo con il suo corpo. Con la sua vita, perché fosse salva la vita di tutti noi, salva in umanità e non degradata dal denaro, dalla menzogna, dalla furbizia, dalla volgarità.
È rimasto là, a braccia allargate per dire che Dio è per tutti. E non abbiate paura. Se ascolti, nelle braccia allargate senti battere il cuore di Dio, così come senti battere il cuore nel piccolo pugno di carne tenera di un uccellino che pulsa nelle tue mani.
Sei rimasto nella morte
a braccia allargate
accoglienza universale,
casa di tutti
e nessuno osi scrivervi
appartenenze.
Reciso
come si spezza un ramo secco.
Sei diventato albero fiorito,
l'albero della vita
per noi che ti chiamiamo
Signore e fratello.
Nelle braccia allargate è scritto: nessuno può strapparvi dalle mie mani. Sei piccolo, sei povero, ma ci sei. Ci sono anche i due ladroni, quello buono e quello cattivo. Nelle sue mani. Accoglienza per sempre.
Se lo guardi, fugge dal cuore la paura. In esilio ogni paura, la paura stessa di morire. Era giugno, giugno dell'anno 1963, Papa Giovanni in vigilia di morire. Gli occhi nella stanza andavano a cercare il Crocifisso. Al nipote Zaverio che stava in piedi, al capo del letto, disse con forza. "Scostati, mi nascondi il Crocifisso".
Anche lui, Papa Giovanni, riposava sicuro in quelle braccia allargate.
Con l'immagine di Papa Giovanni vorrei chiudere questo sgusciare di pensieri dietro la domanda di un bimbo sull'uomo della croce.
Mi rimane in cuore, lo confesso, una ferita. Me la sento incidere ogni volta che sento dire che a un bambino, per non caricarlo di paure, forse è conveniente nascondere un'immagine di crocifisso che può intristirlo innanzi tempo. Non so dare colpe, ma la cosa mi incide a ferita di tristezza. Se la croce, per cattiva educazione religiosa, è solo sangue, non può che destare terrore. Se leggi l'assoluto, il fuori misura dell'amore, rimani abbagliato. Dall'acco-glienza universale.
Il vero male è aver staccato la croce da una storia, la storia dell'uomo della croce, dal sogno che l'ha preceduta, dalla sua fedeltà a quel sogno.
E male ancora è averla staccata da ciò che l'ha seguita. A un bambino e a tutti noi che siamo, chi più chi meno, sempre bambini va raccontato che l'hanno ucciso. Ma lui è risorto. E che il suo sogno, sogno pagato con la vita, non fu e non è un'illusione, come tentano purtroppo di farci credere. E che la terra sarà salva se saremo fedeli al gesto, quello delle braccia allargate.
Non è il sangue il profumo e la primavera della terra. È la gratuità, è la sproporzione. È lo spreco di quell'amore.
Diafano
su cielo nero
è il tuo corpo,
Gesù salvatore.
Trasparente come un'alba
tenero come il corpo
di una donna.
Vuoto di sangue,
solo lo illumina amore.
Al di là del portale
stupito
dell'amore e del sangue,
canta
alla tua morte un fringuello
perdutamente
noi ti guardiamo e il cuore
più non conosce paura.

don Angelo


torna alla home