articoli di d. Angelo


 

UNA STRANEZZA: "IL DATIVO"

A Federica e Tomaso devo molto.
Ricordo, come fosse oggi, la ventata di novità e simpatia, la sera in cui giunsero inaspettati al gruppo delle giovani coppie: in una mano tenevano un numero di "Come albero", nell'altra un casco, come di chi arriva da una corsa in moto. Era come se una folata di vento li accompagnasse ancora nella sala.
Chiesero, quella sera, mi ricordo, che si parlasse di un mio articolo apparso su quel foglio: "Aiutatemi a capire", era il titolo, per l'appunto.
A loro devo molto, devo il vento delle cose vere negli occhi.

A Federica e Tomaso devo anche un poesia di Erri De Luca che li ha sorpresi in un suo testo dal titolo "Spargimento".
Me lo portarono una sera, immaginando la gioia dei miei occhi. Con dedica, parole d'amicizia, da parte dell'autore.
"Spargimento" di Erri De Luca era partitura, fatta di invocazioni amorose, in forma di salmo biblico, invocazioni danzate su sabbia e sabbia di sale.
E, nel testo, Federica e Tomaso mi lessero una poesia, da allora non più dimenticata, che mi piace qui trascrivere, parola per parola, quasi toccandole:

Grande Armonia

Ho visto l'amore delle frecce,
"io amo te": arco teso
contro un bersaglio, dove io è il soggetto
e te un complemento, oggetto di una mira,
un caso accusativo.

Ho letto in una lingua antica:
E amerai "al" tuo compagno come te stesso,
(veaavtà lereacà camòca).
Un errore in grammatica,
non un errore in cuore.

Porta amore a qualcuno
porgi il te stesso
ma fino alla soglia.
Fa' che si chini per alzarlo a sè,
mai che debba staccarselo di dosso.

Fa' che non sia proiettile
contro sagoma attinta,
ma la deposta offerta.

La poesia di Erri De Luca è diventata pagina del prossimo matrimonio di Federica e Tomaso, un matrimonio che vivo negli occhi prima, molto prima che accada.

Fa parte della celebrazione la stranezza di questa poesia, la stranezza di questa sgrammaticatura del testo biblico, la stranezza di un "dativo", quando ti aspetteresti un "accusativo".
"Amerai il prossimo tuo come te stesso": è scritto nel libro del Levitico (Lv. 19,18) nella traduzione che per lo più abbiamo fra le mani. E la traduzione funziona.
"Amerai al tuo compagno come te stesso": è scritto nel testo originale. Al tuo compagno, il dativo: "un errore in grammatica, non un errore in cuore".
Qualcuno potrebbe scartarle, quasi fossero sottigliezze filologiche, sofisticherie da perditempo le osservazioni di Erri De Luca. Se non fosse per quella parola "cuore", una parola che, anche dopo anni e anni -e i miei sono tanti- ancora ha il potere di accendermi: "errore in grammatica, non errore in cuore".
Forse siamo ancora in tanti a pensare che si può nella vita errare in tante cose -anche in grammatica- ma che sarebbe triste, proprio triste sbagliare "in cuore", sbagliare nella vita in amore.

Il testo nella sua sgrammaticatura sembra suggerire che se in amore usi l'accusativo e non il dativo, è "errore in cuore".
Sbaglia in amore chi dice di amare l'altro e vive l'altro -ne sia cosciente o no- come un oggetto: un oggetto da raggiungere, da conquistare, da possedere, da occupare, da consumare: è l'amore invasivo delle frecce.
"Amerai al tuo compagno": il dativo! Come dire: porterai amore al tuo compagno.
"Porgi il te stesso, ma fino alla soglia": scrive Erri De Luca.

"Fino alla soglia", e non oltre. Invito dimenticato. Si preferisce immaginare soglie da varcare più che soglie su cui indugiare, presi da rispetto e emozione come davanti a un mistero.
Quante soglie profanate, fatte profane, come dice la parola, dissacrate, perché invase dalle nostre pretese, soglie che non conoscono la pazienza dell'attesa.
Quanti amori, quante amicizie, quanti matrimoni, si portano appresso questo tarlo: di chi invade lo spazio dell'altro, lo spazio della libertà.

Nelle Sacre Scritture, nella lettera dell'apostolo Giacomo ho letto con un certo stupore che legge perfetta è la legge della libertà e sono rimasto per un attimo disorientato, come può succedere a chi viene d'improvviso dirottato nei suoi pensieri, secondo i quali legge perfetta, da quando, bambino, studiava il catechismo, è la legge della carità.
Essere fedeli alla legge della "libertà", se non si vuol perdere la faccia, per non essere come "un uomo che osserva il proprio volto nello specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era" (Gc. 1, 23-24). Perde la faccia.
"Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato, ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla" (Gc. 1, 25).
Legge perfetta è la legge della libertà: lo diciamo senza nulla togliere al primato evangelico dell'amore. Ma un amore che non rispetta la libertà che amore è? Se soffochi l'altro, se gli togli l'aria, come puoi dire di amarlo?
La Bibbia insegna il rispetto di queste soglie invalicabili. A tal punto che nemmeno Dio entra senza permesso: si guarda dal violarla, non sfonda la porta: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, e cenerò con lui ed egli con me" (Ap. 3,20).

A volte mi chiedo -legittimamente penso- come, proprio tra coloro che credono in un Dio rispettoso della soglia, sia potuta crescere una categoria non insignificante di sfondatori di porte: si può sfondare le porte anche con il giudizio spietato, con l'intrusione violenta, con le nostre urla, con la pesantezza dei nostri passi e dei nostri interventi.
E se imparassimo a guardare l'altro, gli altri, immaginando la soglia? C'è qualcosa di te che non mi appartiene, sta oltre, è il tuo mistero, è terra sacra, inviolabile.
Sfumature: potrebbe obiettare qualcuno. È vero, ma rivelano lo sguardo del cuore. Rivelano se l'altro per te è un oggetto -caso accusativo-, porta da aprire. O se l'altro è un mistero cui avvicinarsi -caso dativo- soglia su cui sostare.
L'Antico Testamento -a torto giudicato da qualcuno libro duro e spietato- contiene pagine che richiamano puntualmente questo rispetto: il divieto di varcare la soglia.
Guardati -dice il libro- dal varcare la soglia, anche se la soglia fosse quella del povero cui hai prestato qualcosa: "Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il tuo pegno; te ne starai fuori e l'uomo cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il pegno" (Dt. 24, 10-11).
Anche se qualcosa di tuo fosse nella casa dell'altro guardati dal fare il padrone, puoi solo avvicinarti. Non invadere, rispetta la sfera dell'intimità. Sta sulla soglia.
Avvicinati, ma non invadere: il dativo, non l'accusativo.
La stranezza del dativo, la stranezza di Erri De Luca, la stranezza di Federica e Tomaso, la stranezza della Bibbia, una stranezza che vorremmo abitasse sempre -è un augurio!- i loro e i nostri volti.

don Angelo


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