articoli di d. Angelo


 

"HANNO OCCHI E NON VEDONO"
in margine ad una torrida estate

E' una afosissima domenica d'agosto, d'una estate che oggi mi viene spontaneo racchiudere in un volto, quello di Anna. E tutto dentro uno spazio : da una notte di fine luglio, la vigilia della sua partenza per gli Stati Uniti, a questo mezzogiorno di fuoco nella città pressoché deserta.
Ricordo, erano le ultime ore del 27 luglio, di una giornata fitta di incontri. Chissà forse avrei potuto incontrare anche Anna, ma solo dopo le dieci. Quando alle undici ci salutammo, la città era buia e le strade parlavano solitudine. Le chiesi se desiderava che l'accompagnassi. Anna si schermì, con l' improntitudine simpatica della ragazza forte. Di lì a poco un boato nella notte, la notte di via Palestro. E i vetri della casa tremarono di paura.
Oggi rivedo Anna di ritorno da un lungo viaggio e nei suoi occhi, allora dolcemente sfrontati, leggo la paura e l'interrogazione.

RESPIRI LA PAURA

Oggi le strade sono piene di sole. Ma una donna si sente come braccata. Nemmeno la luce di mezzogiorno ne spegne le paure. Facciamo, discorrendo, un tratto di strada insieme.
Una cosa mi colpisce: la vacanza negli Stati Uniti ti ha tenuta come al riparo dei drammi che qui si sono consumati, eppure tu fisicamente respiri nell'aria la paura.
Dal rogo di via Palestro, nella notte del 27 luglio, giù giù fino ad oggi, uno stillicidio di barbarie, pressoché quotidiane. E a subirle, ancora uno volta, le creature più deboli.

I DEBOLI DI SEMPRE

I deboli- starei per dire - di sempre. Come se nel mondo, nulla, o quasi, fosse cambiato.
L'Antico Testamento identificò i deboli in tre categorie-simbolo: gli orfani, le vedove, lo straniero. Categorie a rischio, ancora oggi: i ragazzi, le donne, gli emarginati.
Storie di una estate selvaggia: bambini e ragazzi trucidati al limitare del bosco; donne, nove donne, uccise a coltellate e a randellate sulla soglia di casa o dentro una casa, soffocate nella sabbia di un litorale, violentate e bruciate, abbandonate presso una roggia o in un tetro casolare.
Storie di spedizioni brutali che hanno visto protagonisti ragazzi adolescenti sedicenni della nostra città, in una zona centrale della nostra città. E pugni, calci, sprangate si abbattono con furore cieco su un povero barbone, reo di aver cercato, sulla panchina di un parco, il letto per una notte.
Storie vere, al limite dell'incredibile, che hanno illuminato sinistramente questa inquieta estate e hanno segnato i tuoi occhi, Anna: da dolcemente spavaldi a dolentemente impauriti.

ACCAREZZARE E CAPIRE

E noi, per cronaca quasi quotidiana, ad aggiungere volti di uccisi a volti di uccisi; ad accarezzare ad uno ad uno, nel cuore e nella preghiera, questi volti, questi corpi, che una furia disumana ha orrendamente sfregiato.
E dopo averli accarezzati, quasi gesto di estrema riparazione, con il cuore sgomento, andiamo interrogando le cause e prefigurando possibili futuri rimedi.
Forse è giunto il momento che si vada al di là della retorica delle solite scontate generiche proclamazioni, che ci fanno sentire ampiamente soddisfatti solo perché abbiamo denunciato, riempiendoci la bocca, il preoccupante venir meno nella nostra società dei valori etici, che stanno a fondamento d'ogni civile convivenza.
"Si sono persi i valori": si sente dichiarare da ogni parte. E le dichiarazioni, quando sfumano nell'ovvietà, rischiano di diventare perfino banali.

DOVE IL VUOTO E QUALI E VALORI?

E' cresciuta a dismisura la pretesa dell'io: "io" posso, "io" voglio, "io" dispongo della mia vita, della vita degli altri, della mie cose, delle cose degli altri faccio quello che voglio, ne dispongo come voglio io.
"Noi, uomini moderni" - scrisse Eugenio Scalfari in un suo editoriale - "dopo aver orgogliosamente riscattato l'individuo e definito i principi della sua autonomia, abbiamo dimenticato i doveri che l'autonomia impone ed abbiamo vagheggiato e reclamato soltanto i diritti. Ora ci accorgiamo che con i soli diritti non si costruisce e non si mantiene una convivenza sociale".
La barbarie, piccola o grande che sia, nasce da questa grande ubriacatura dell'io, che, accecato, vede solo se stesso; capisce solo le sue ragioni e non quelle degli altri; proclama i suoi diritti e non quelli degli altri; non indugia mai a esplorare il volto dell'altro; uomo della sicurezza tronfia, non dell'interrogazione umile e rispettosa.
Esiste l'io; non esiste il tu. Questa sembra essere la logica perversa che attraversa, come filo rosso, i delitti - e non solo quelli - dell'estate.

NON VEDEVO QUELL'UOMO

Non per nulla uno dei ragazzi sprangatori della nostra città, uno di quelli che rompono le mazze sulla schiena di un barbone e poi se ne vanno tranquilli a mangiare un gelato, in un racconto agghiacciante, nel quale invano vai cercando un briciolo di pentimento, esce in un'espressione che dovrebbe colpirci e farci meditare: "quando l'altra sera" - dice - "ho cominciato a picchiare io non vedevo quell'uomo".
Se tu, Alessandro, lo avessi visto, ne sono certo, la tua mano si sarebbe ritratta.
Il male è qui: non vedere più l'altro Il male sono gli occhi chiusi per l'egoismo o per l'indifferenza.
Sì, perché gli occhi li puoi chiudere per amore, per vedere di più, quasi a fissare l'invisibile dell'altro che ami. Ma gli occhi li puoi chiudere anche per disamore e l'altro diventa allora uno di cui puoi disporre a piacimento.
Eliana Briante, consacrata in questi giorni pastore della chiesa metodista - quando qualcuno di noi ebbe la fortuna di conoscerla nella veglia ecumenica di Pentecoste - in un suo sermone su Atti 3,1-16, commentando la parola di Pietro che invita il paralitico a guardare verso di loro, faceva questa suggestiva riflessione: "Guardare negli occhi significa non fuggire, vuol dire dare dignità ad una persona , significa creare un rapporto. Uno sguardo aperto che incrocia un altro sguardo può illuminare una vita e metterci in comunicazione con l'altro, più di tante parole, più di tanti gesti.
Forse è il bisognoso che non ha il coraggio di guardare gli altri negli occhi, o forse siamo noi che preferiamo guardare da un'altra parte per non incontrare uno sguardo, che ci mette in discussione".

DAL DOMINIO ALLA CUSTODIA

Il rimedio, se il male è così profondo, non può essere se non il passaggio da una mentalità del "dominio" alla mentalità della "custodia": non padroni, né del mondo né delle persone; ma custodi.
"Sono forse io il custode di mio fratello?": così Caino a Dio, che gli chiedeva: "Dov'è Abele, tuo fratello?" e la voce del sangue urlava al cielo dalla terra.
"Sono forse io il custode di mio fratello?": il male, forse ogni male, viene da qui, dal non sentirci custodi del fratello.
E se ritornassimo a guardare ogni cosa e ogni persona, come creatura che ci è affidata per una custodia sensibile, attenta, delicata?
E se ritornassimo a educare a questo sguardo su persone e cose? E se ci correggessimo senza veli ogni volta che un comportamento evocasse la figura di chi non si sente custode, ma la fa da padrone?
Ritornerebbero a odorare di rispetto le nostre strade, le nostre piazze, i gradini delle nostre chiese, le nostre scuole, i nostri uffici, la chiesa e il comune, le tante, troppe realtà, che troppo a lungo hanno respirato l'aria inquinata di coloro che la fanno da padroni, generando insicurezze e paure.

INGINOCCHIARSI E GUARDARE DA VICINO

Con buona pace di Formentini, sindaco della nostra città, non crediamo che "quattro belle cinghiate" siano il rimedio contro quei teppistelli, che, guarda caso, dichiarano: "Io tra gli skin e la Lega, scelgo la Lega".
Saremo ingenui e forse un po' poeti, ma i rimedi, quelli veri ci sembrano altri: quelli cioè che attingono al cuore, quelli che sembra suggerire il regista Ermanno Olmi con una favola "Il segreto del bosco vecchio", da cui ha tratto l'ultimo film che sarà presentato a Venezia.
Puoi anche ereditare un bosco incantato, ma se chi lo eredita non abbandona le sue rigidezze militari, non ne udrà mai le mille voci che lo abitano giorno e notte.
"Non si può amare un bosco, se lo si vede solo come una fabbrica di ossigeno" - dice il regista - "l'amore nasce da un rapporto diretto e c'è un solo modo per conoscere la foresta: inginocchiarsi e guardarla da vicino".
Forse si potrebbe continuare all'infinito: "C'è un solo modo per conoscere Dio; per conoscere una donna, un ragazzo, una città… inginocchiarsi e guardarli da vicino".

don Angelo


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