articoli di d. Angelo


 

GLI OCCHI CHIARI DEI PELLEGRINI

Qualcuno sgrana gli occhi quando ti sente dire che méta del pellegrinaggio di settembre è stata anche la città di Praga. Passi la Polonia! C'è una Madonna, quella nera in Czestochowa, verso cui pellegrinare. Ma Praga!
Forse è la meraviglia di chi le orme del sacro le va isolando nei santuari. Non sarà che, anche in tema di pellegrinaggi, occorra allargare la visione e dilatare il cuore?
Tra pochi giorni, nella liturgia della Dedicazione del Tempio, a forzare l'angustia della visione sarà un brano del profeta Baruc: "Israele, quanto è grande la casa di Dio, quanto è vasto il luogo del suo dominio. È grande e non ha fine" (Baruc 3,24-25).
Luoghi dell'infinito non sono solo i luoghi di culto o delle apparizioni -il mistero deborda- ma anche le cattedrali: della natura e della storia. Orme sorprendenti, orme inquietanti di Dio, a tutto campo, a cielo aperto .
Forse è una questione di occhi. Pellegrinando impari a pregare con gli occhi.
Anche per quanto riguarda la preghiera è avvenuto lungo i secoli una sorta di impoverimento: non sono pochi coloro che misurano la preghiera dal numero delle parole. Hai pregato tanto, hai pregato poco: come se la preghiera fosse esclusivamente un fatto di labbra.
E se ci fosse una preghiera fatta con gli occhi? Occhi che si incantano, occhi che si commuovono, occhi che scrutano, occhi che ricercano, occhi che abbracciano. Pregare con gli occhi. E non sarà questa la vera, tipica preghiera del pellegrinaggio?

Varsavia. L'aeroporto, la lingua altra, le valigie che fanno passarella sui nastri, gli amici alle prese con il cambio, la fatica delle moltiplicazioni e delle divisioni, i sorrisi per i nostri imbarazzi.
Abbiamo toccato terra, ma non è ancora terra. Un aeroporto è questo o quel paese, è una zona franca, è un mondo di incroci.
Tocchiamo finalmente terra nel trasferimento da Varsavia a Cracovia. Ora sì visiti la terra, la terra di Polonia.
Quasi un simbolo sulla soglia questo piccolo bar. Così diverso dai nostri: un'aria più dimessa, quasi di casa, meno esibizione, più sobrietà, un'atmosfera quasi raccolta. Sarà il colore della Polonia o sarà questo cielo oggi grigio, pioviginoso. Anche i volti sembrano più veri, i volti delle donne che ci servono, meno esibiti, meno appariscenti, meno decorativi, meno maschera.

Volti e non maschere nelle sale del Castello di Cracovia: sono le ragazze che ti spiano silenziose per tutto il tempo della visita. Non ti perdono d'occhio: quasi a loro, alla loro custodia, fosse affidato un tesoro troppo prezioso.
Stupore in chi di noi conosce musei e gallerie, dove a volte i custodi sembrano più interessati a leggere giornali e sfogliare riviste, dove la disattenzione e l'incuria incrinano la visione.
La custodia: custodi della memoria dei padri, custodi della bellezza di una terra, custodi di una storia da tramandare.
Visiti castelli, visiti cattedrali, entri nella storia, storia di un popolo violentato: a ondate lungo i secoli oppresso, ma non domo. Sul volto un'ombra di tristezza, ma negli occhi l'urlo della libertà. Nonostante tutto una dignità.
La dignità che abita la sfera del grande e del piccolo, del suntuoso e del sobrio.
Quasi non c'è differenza di emozione nella sfolgorante piazza del Mercato, affollato salotto della città di Cracovia e per le viuzze grigie del ghetto, dove tocchi con il cuore il deserto e il silenzio sembra chiedere più silenzio. A memoria.
E tu che non hai comprato sotto le arcate del grande mercato osi comprare all'umile bancarella, sentinella ostinata all'antica sinagoga depredata. Qui dove una ragazza pallida, occhi neri, ti vende le suggestioni del silenzio.
Da mercato a mercato. Con una preferenza.

La voce del silenzio, gli occhi, i nostri, che si guardano a sostenersi, lungo i viali nel campo dello sterminio.
Auschwitz: la scritta che ti raggela il cuore all'ingresso, "Il lavoro rende liberi".
È museo e non è museo: sfiori i volti nel luogo dei non volti. È cimitero e non è cimitero: non più un corpo, tutti usciti in nuvole di fumo, in carri di cenere.
I passi dopo anni
sfiorano sottovoce
quasi senza pesare una terra
-lembo estremo di misericordia-
che chiama, nuova Rachele,
ininterrotta i figli.
Nomi, soltanto nomi,
I corpi usciti
in nuvole di fumo
lungo i campi grigi
della nostra brutalità.

Rotaie infami,
in partenza solo per i resti:
ceneri senza più nome
per concime
alla nostra bestialità,
capelli per tele dei baveri
a nascondere
gli occhi senza luce,
il vuoto dei volti.

Dei primi martiri -i "nostri"- qualcuno poté pietosamente ricomporre i corpi. Ora stanno nelle urne sacre, sopra e sotto gli altari. E ci sono celebrazioni liturgiche, ci sono omelie, ci sono pellegrinaggi. E non furono milioni.
Di questi uomini e donne, vecchi e bambini -e sono milioni- martiri del nostro secolo nessuno potè ricomporre il corpo. Forse l'urna va custodita nel cuore, la memoria ricomposta pietosamente oggi e domani, oggi quando qualcuno già tenta di cancellare, trafugare la memoria.
Terra sacra questa di Auschwitz: percorri i viali del disonore, sali rimpicciolendo i gradini, sfiori, accarezzandoli teneramente, i corrimani. Ti perdi con gli occhi lungo le rotaie dell'infamia.

Rotaie infami
di un arrivo senza partenza.
La tua valigia, Hanna
tra migliaia e migliaia
sorelle in tragedia.
La scritta che non scolora
a memoria
epigrafe ai posteri
Hanna Feitsmer
3. 8. 1907
Holland.
La nascita.
Non sei più morta.
E noi scoloriamo.

Gli occhi si guardano. A sostenersi. A sostenere il peso dell'infamia.
Gli occhi ora hanno un lampo. Un brivido di sole nel grigiore dell'inferno: sono i ragazzi ebrei, è il colore nel grigio dell'infamia. Le loro bandiere sventolano a speranza. Gli occhi guardano: se i ragazzi ricordano, forse non scoloriamo.

Czestochowa. Non ti amo per la commistione sottile tra fede e politica: vittorie di re celebrate come vittoria di Dio. Saranno? Saranno sempre vittorie di Dio?
Non ti amo per la bellezza raffinata dei doni -di re e di principi- nel tesoro del tuo tempio. Non riesco a pensarli appesi alle pareti forse di tufo della casa di Maria a Nazaret.
Non ti amo per il soldato, fatto salvo dal piccolo libro di preghiere. Nascosto nel taschino fermò miracolosamente la violenza del proiettile.
Ancora negli occhi portiamo -ne abbiamo come impregnate le vesti- il fumo invisibile del campo di Auschwitz, dove nessun miracolo fermò nei crematori e nelle camere a gas la furia del fuoco.
Ti amo, Madonna nera di Czestochowa, per i volti, volti di uomini e di donne di questo popolo, umiliato lungo la storia, ma non arreso. Tu nelle ore difficili a sostenere il coraggio, il coraggio di un popolo.

Odore intenso
stordente di gigli
e gonne nere
fino a coprire le caviglie,
il fruscio del rispetto.
E volti, volti dolci e severi
scavati dalla fatica
di vivere.
E occhi
occhi accesi ai ceri
davanti alla tua icona,
Madonna,
volto nero
bruciato
dal sole e dalla croce,
volto sfregiato dai predoni,
le ferite non ricomposte
a condividere
le ferite senza miracolo
dei figli.

I giorni di Praga, pellegrinaggio nella bellezza. Non dimentichi, ma ti accorgi che ti apri, sorridi, forse canti, dentro.
Magia della bellezza che crea armonia dentro. Miracolo di un ponte che crea festa, miracolo dei palazzi che non si nascondono, ma diventano piazza, diventano strada, diventano fessura a immaginare oltre.
E ancora un cimitero, l'antico cimitero giudaico, dodicimila tombe, una sull'altra, in uno strano abbraccio.
La stranezza si fa poesia, il disordine è ordine: è il sostenersi a vicenda, di generazione in generazione. I segni della devozione ancora oggi sui morti che appartengono a secoli lontani. Nomi ancora oggi pronunciati nel cuore.
Nomi, sempre nomi, arabeschi di nomi, decorazioni del cuore: color nero i nomi, color rosso la famiglia, nomi che mani delicate, giorno dopo giorno, ora dopo ora, hanno disegnato sulle pareti accecate di bianco della sinagoga Pinkas, grande memoriale delle vittime della persecuzione nazista in Boemia e Moravia.
Nomi delle vittime, seguiti dalle date di nascita e di morte, nomi delle città di provenienza. E tu a contare dietro il cognome della famiglia Brenner 27 nomi. Contare e sentire il cuore battere in gola.
Nomi nel canto: la suggestione di un canto nella sinagoga mentre percorri i nomi.
Il canto della ricostruzione. Canto forte e debole insieme, per le strade di Varsavia, là dove pulsa il fremito di chi si accinge a ricostruire. Dove il sogno spinto alla "follia" è ricostruire senza cancellare le memorie.
Le memorie. Non le mummie del passato. Le memorie, radici della storia.
Pellegrinare nella storia. Pellegrinare e capire. Capire per vivere.

don Angelo


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