articoli di d. Angelo


 

UNA STRISCIA NEL RICORDO

Sul nastro nero dell'aeroporto vedi scorrere le valigie una dopo l'altra. L'aereo è atterrato da poco, addirittura in anticipo.
Scorgi da lontano la tua valigia e tiri un sospiro di sollievo. La prendi al volo, prima che continui imperterrita la sua corsa sul nastro.
C'è anche una valigia dei ricordi? -ti chiedi-. Sarà arrivata con me o sarà finita in chissà quale altro scalo del mondo?
Ognuno -mi dico- porta ricordi. Tu da Fatima e Santiago che cosa porti?
Ho una confessione da fare: sono stato a Lourdes, sono stato in Terra Santa, ma forse da nessun pellegrinaggio sono mai rientrato così turbato, con un desiderio -lo confesso- di ricomporre i ricordi. Quasi un'armonia spezzata da ritrovare.
Forse ognuno per come è fatto, giusto o sbagliato, porta con sè alcuni ricordi piuttosto che altri.

Di Fatima non mi porterò certo nel cuore il ricordo delle statuette della Madonna, quelle autentiche e quelle meno autentiche: i loro occhi, per come sono fatto, mi apparivano tristemente vuoti.
Perfino le chiese -ti dirò- con il loro via vai religioso, le molte parole e i pochi silenzi, a volte mi apparivano stranamente vuote. Vuote di mistero.
Il mistero -il mistero di un cielo, che per una fessura subito richiusa si apre, parla e subito tace- più che nelle chiese era impigliato in quel cielo della Cova da Iria, dossi e alberi ancora abitati.
Percorrendo i sentieri intagliati tra ulivi, elci e lecci ti sfiorava il pensiero che proprio di lì più che dagli spazi religiosi potessero sbucare da un momento all'altro i tre piccoli pastori. Nell'aria il loro affrettarsi all'appuntamento, all'appuntamento con il mistero: un essere conquistati, rapiti, affascinati.
Forse più che la cappella delle apparizioni, piccolo squarcio nella solarità della conca, riposerà nei miei occhi il monumento, poco fuori il recinto, ai piccoli pastori, sorpresi nel desiderio di andare, protesi in avanti.
Forse, ancor di più, negli occhi a lungo dimorerà la striscia, quella sì luminosissima, che attraversa l'intera conca delle apparizioni, la striscia che ancora oggi qualche pellegrino dell'assoluto percorre ginocchioni, umile davanti al mistero.
La striscia, segno sulla terra di un incontenibile umile desiderio.

Ora che sono rientrato, mi viene spontaneo interrogarmi su queste strade, le nostre, su queste case, le nostre, e, ancor più sulla terra più segreta del cuore e chiedermi se per avventura si sia scavata, per il lungo passare e ripassare del desiderio e dell'attesa di Dio, una striscia umile e povera, simile a quella che attraversa la Cova da Iria.
Striscia della Parola di Dio, su cui passare e ripassare, o striscia delle parole umane, più povere certo ma pur sempre preziose, nelle quali ricercare insonnemente un senso.
Striscia, del passare e ripassare, la strada che percorri fedelmente, per andare ogni domenica a sfiorare il mistero di Dio nella Parola e nel pane spezzato.
Striscia luminosa il silenzio, quasi programmato delle tue giornate, striscia percorsa e ripercorsa, da cui respiri la presenza dell'Altro.
Striscia del silenzio, che oggi a volte non ritroviamo più nemmeno nelle chiese, quel silenzio che ho ricercato invano nella Cova da Iria.
Strana avventura questa dei professionisti dello spirito, che parlano del valore del silenzio e loro per i primi lo uccidono, non consentendo un ben che minimo spazio perché viva.
Striscia dei silenzi dello spirito, che ognuno dovrebbe ricercare testardamente all'interno di giornate cariche dei nostri pesi e dei nostri affanni.
Striscia le ore mattutine di un'amica che, alle prime luci dell'alba, prima di svegliare il suo ragazzo e di recarsi all'Università, si alza a leggere per mezz'ora le Sacre Scritture: è la sua striscia, striscia di pellegrina dello spirito.

La striscia, fatta lucida dalle ginocchia dei pellegrini nella conca dell'apparizione, non è lontana nel suo messaggio, anzi è in consonanza singolare, con l'emozione patita a Santiago de Compostela, meta di pellegrini, che da secoli sono sulle strade, verso la tomba dell'Apostolo San Giacomo, strada che è figura di un cammino di conversione.
La striscia di questo passaggio ora sulle strade d'Europa è meno appariscente. Eppure ancora oggi, qua e là, qualcuno potrebbe mostrare gli ostelli che di terra in terra ospitavano il passaggio, davano ristoro, sollievo alla fatica del lungo cammino dei pellegrini.
A noi, pellegrini moderni, è risparmiata, in toto o in parte, quella fatica. Ma voglia il cielo che non ci sia risparmiata, in toto o in parte, la conversione: sarebbe grave, irreparabile perdita.
Un pellegrinaggio rimane tale anche senza miracoli, ma non è pellegrinaggio senza conversione.
Ogni mattina infatti per noi è un inizio. E sulla strada dell'inizio risuona quella prima parola, la prima parola di Gesù sulla strada: "Convertitevi e credete al Vangelo".

Il Vangelo! Ma non è in pericolo forse il Vangelo? Il rischio non è forse che il Vangelo diventi sempre più parola pallida, fino a diventare parola vuota?
Qualcuno va dicendo che per la prima volta dopo secoli si sta interrompendo un cammino, quello della memoria biblica.
Le parole della Bibbia sino a pochi anni fa , in modi più o meno ingenui, più o meno affinati, venivano consegnate alle generazioni future.
Oggi si sta affacciando un evento nuovo: quello di generazioni senza memoria del Vangelo, semplicemente perché il Vangelo non fu loro consegnato.
Come credere, come convertirsi, come "rivolgersi" a un Vangelo, a una Bibbia non consegnati?
Il cammino dei pellegrini verso Santiago de Compostela finiva al portale della Gloria: qui i visi, incavati nella pietra, parlavano ai pellegrini con le loro storie, storie di patriarchi, di profeti, di re, di apostoli. Storia sacra di smarrimenti e di salvezza. Storia di questa terra e dell'altra terra. Storia che ha al suo centro il tronco di Davide, da cui è nato il Cristo.
Là, al portale, si andava perché la storia che vi è narrata -che è sacra- rimanesse nella memoria e le mani toccassero le nostre radici.
Là anche noi, alla fine di settembre, a contemplare la gloria di Dio nella nostra storia.
Là a toccare, quasi per un bisogno di contatto fisico, quelle radici.
Là a battere il capo, quasi per imprimere per sempre negli occhi il cammino, quello che ci riconduce dai nostri smarrimenti.
Forse fu per questo, o anche per questo, che facemmo fatica a staccarci da quel portale, da quella pietra in cui i visi parlavano, gli archi e i violini suonavano. E la gloria sembrava accendersi e ancora accadere.
Era un desiderio di non dimenticare, di salvare le radici.
Era un desiderio di imprimere negli occhi quelle figure, nella memoria quei suoni, quelle voci. Le stesse -emozionante pensarlo!- che fissavano, ottocento anni fa, i pellegrini, incantandosi, prima di partire, al portale della Gloria.
Ritornare e non dimenticare.

don Angelo


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