articoli di d. Angelo


 

LA PASSIONE DEL VANGELO


A volte mi sorprende e, insieme, affascina questo inatteso coincidere della Parola di Dio, affidata alle letture liturgiche, con le situazioni offerte dalla nostra vita.
Forse anche questo da più parti sono stato pregato di pubblicare sul "segno" l'omelia tenuta alla Messa di sabato 23 gennaio, in occasione dell'insediamento del nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale. Diamo spazio perciò a quella riflessione che prendeva luce dal Vangelo di Marco, allargandola ad una successiva riflessione che ebbe come orizzonte un brano della lettera di Paolo ai Corinzi, sempre proposta dalla liturgia di quella domenica.
[cfr. Mc. 1, 29-39]
Vi confesso che faccio molta fatica questa sera a ricondurre in unità le molte suggestioni evocate dal brano del Vangelo di Marco che racconta una delle tante giornate di Gesù -la giornata di Cafarnao- e insieme le suggestioni evocate dalla proclamazione dei membri del nostro nuovo Consiglio pastorale.
Innanzitutto il fascino della giornata di Gesù a Cafarnao, con quel Rabbì di Nazaret che tocca ogni sfera della vita umana: prima la sinagoga, poi la casa, poi la porta della città, poi la strada: l'ambito religioso, l'ambito familiare, l'ambito civile, l'ambito della normalità del vivere.
E quel regno di Dio -quella forza del regno di Dio- che penetra dappertutto e diventa sale e lievito di rinnovamento in ogni situazione.
Questa -voi mi capite- è la parrocchia: è questo desiderio che il regno di Dio con la sua parola di consolazione arrivi a toccare tutto e tutti.
La parrocchia non è solo questo tempio, nè tanto meno la si può ridurre ai locali parrocchiali: la parrocchia è fatta di case, di porte, di aziende, di uffici, di piazze e di strade.
E dunque arrivare dentro, come faceva Gesù: penetrare e non giudicare; e, dentro, essere segno della tenerezza di Dio.
Dunque non è fatto tutto, quando veniamo in chiesa o quando portiamo la gente in chiesa, ma quando la forza del Regno -che è una forza che guarisce e consola- arriva nelle case, passa per le piazze e le strade.
Ecco l'orizzonte di un Consiglio pastorale.

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Di qui nasce un atteggiamento -che deve essere del Consiglio pastorale sì, ma insieme di ogni credente- l'atteggiamento -potremmo chiamarlo- dell'attenzione. Caricarci dell'attenzione che era in Gesù. Un'attenzione che non è -badate bene- un'attenzione pettegola, che sarebbe ancora una volta uno spadroneggiare su persone e su cose, bensì una attenzione umile e discreta, che è un portare tutto dentro, nel cuore; portare dentro, nel cuore, anche il grido di Giobbe, ricordato nella prima lettura, il grido della sofferenza umana; portarlo come faceva Gesù.
Forse non siamo lontani dal vero se immaginiamo che in quella preghiera fatta nella solitudine, prima ancora che la luce intenerisse il cielo, Gesù portasse l'eco delle sofferenze che le sue mani il giorno prima avevano toccato, per le quali il suo cuore si era turbato.
Dunque l'attenzione ai problemi reali, quelli del nostro tempo. E, tra i problemi reali, forse non ultimo, quello di una sorta di indifferenza di fronte alla vita, sia essa la vita nascente che sembra non contare più niente, sia essa quella delle ragazze aggredite, nel disinteresse generale, nelle nostre città. Ma così le città diventeranno deserti del cuore.
Ci ridoni il Signore l'attenzione, la tenerezza la passione per ogni dono di vita.

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Ma facciamo un passo avanti.
Gesù -dice il Vangelo di Marco- entrava nelle situazioni - ci entrava con il suo cuore - ma non si lasciava imprigionare.
"Tutti ti cercano" gli dicono gli apostoli. Risponde: "Andiamocene altrove" e andò per tutta la Galilea.
Anche in queste parole sembra di leggere un programma: non lasciarsi sequestrare dai clan o dai gruppi, ma fuori. Fuori dalle mura delle nostre cittadelle religiose: "andiamocene altrove".
E andare per tutta la "Galilea", per tutta la parrocchia, al di là delle cosiddette "parrocchie".
Non la prigione di pochi, ma la nostalgia dei molti, dei tutti.

* * *

Dentro, dentro nelle case, dentro nelle città, dentro nella vita, non contando però su di noi -che cosa siamo?- ma sulla forza di Gesù, che è una forza che solleva.
Della donna a letto con la febbre è detto: "la sollevò, prendendola per mano".
E il verbo "sollevare" letteralmente suona così: "la fece risorgere": è il verbo della risurrezione.
E che la donna era guarita, "era risorta", ecco il segno: è scritto: "si mise a servirli".
Sì, perché questa è -a ben vedere- la malattia vera, quella più grave, la malattia che devasta la nostra visita, più ancora che il male fisico: l'indifferenza, una malattia che ci rende insensibili e inerti.
Ritornare a servire, essere restituiti alla casa, alle persone, alla donazione: questo è il segno che anche oggi Cristo ci ha toccati, ci ha guariti, ci ha fatto risorgere.
Così sia per tutti noi.

[cfr. 1 Cor 9, 16-23]
E' come se una forza o una passione ci avesse investiti ed ora percorresse le nostre vene, membri del Consiglio Pastorale e no: la forza e la passione del Vangelo.
"Guai a me se non predicassi il Vangelo". Sarebbe come lo scolorirsi di una grande passione.
Se il compito ce lo fossimo dati noi, forse potremmo anche decidere di ammainarlo, come si ammina una prestigiosa bandiera.
Ma il compito ci è stato affidato; e il Vangelo va, sempre più, attestandosi in cima alle nostre aspirazioni e alle nostre inquietudini.
E' il vero protagonista di una parrocchia e noi vorremmo solo esserne voce: voce che grida nel deserto, voce che grida la vicinanza di un Regno che cresce nascostamente nella nostra terra.

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Non ci piace -nè mai vorremmo ci succedesse- di ammalarci, come Chiesa, di protagonismo.
A che pro? daremmo fiato alla schiera, già fin troppo folta, dei malati di protagonismo, di cui è stanca, fino all'esasperazione, questa nostra terra.
A impressionare e a colpire non vorremmo mai essere noi. Ciò che impressiona e sbalordisce è il Vangelo.
Esserne quindi servi appassionati, sino al punto che esso diventi l'unico nostro vanto, la unica nostra ricompensa.
Nessun ruolo nella chiesa e quindi nella parrocchia, piccolo o grande che sia, potrà mai diventare occasione di prestigio o di vantaggi, se non stravolgendo quest'unica passione del cuore: che il vangelo e solo il Vangelo sia al centro.
E allo scadere di un mandato -piccolo o grande che sia- unica nostra ricompensa -questa sì perdutamente desiderata e sognata- sarà lo stesso Vangelo. Ricompensa questa: che il Vangelo abbia smosso, come fermento nuovo, la nostra vita, abbia costruito in mezzo a noi spazi sempre più vasti di comunità e di fraternità, che sia entrato nelle nostre case.

* * *

E più la passione -dico la passione del Vangelo- diventerà preminente in noi, più viva e affascinante diventerà l'esperienza della libertà dello spirito: "libero da tutti". Liberi, non catturati, da noi stessi, liberi dai nostri gruppi, dalle nostre associazioni, dai nostri stessi amici, liberi dai nostri progetti e dai nostri schemi.
Liberi da tutti -non sequestrati- per essere "servi di tutti".
Non catturati da niente e da nessuno, per essere "greco coi greci, giudeo con i giudei, debole con i deboli".
Dentro le situazioni, con la flessibilità che è lontananza da ogni rigidità del cuore, ma che non avrà mai nulla da spartire con l'opportunismo gretto di chi calcola o il qualunquismo spento di chi non ha volto né identità.
Aperti alle situazioni che mutano, ma fedeli al Vangelo che non muta.

don Angelo


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