articoli di d. Angelo


 

A MARCO, A GIULIO E... A SOFIA

Potrebbero essere letti come semplici atti di cronaca quelli che vivremo nei prossimi mesi, quando fra Marco Di Fronzo sarà consacrato prete e Giulio Pagnoni farà la sua prima professione nel Monastero benedettino di S. Giustina, in Padova.
Mi sono chiesto che cosa possono significare fatti come questi, in un mondo come il nostro, dove per meravigliarsi e provare stupore si ha bisogno di leggere di matrimoni celebrati nel cyberspazio via internet, mentre tu, indomito sognatore, resisti, forse fra i pochi, a provare meraviglia ogni volta che due ragazzi si dicono amore per tutta la vita o un'amica ti confida -e non è più giovane- di aspettare un bambino.
Ti dirò che, quanto a stupore, mi sento in buona compagnia: oggi, scrivendo di Marco e della sua ormai prossima ordinazione sacerdotale, ripenso a Luisella e ai suoi occhi abitati da una luce e da una gioia immense, mentre, pochi giorni fa, mi diceva dell'emozione che la prende al cuore al pensiero che oggi qualcuno scelga di lasciare tutto per seguire il Signore.
Insisteva sul "lasciare tutto": è questa radicalità che affascina e conquista. Ed è la cosa che vorrei augurare a fra Marco, perché oggi, forse più di ieri, il pericolo, anche per un prete, è quello dell'imborghesimento: la spettacolarità e la cura dell'immagine attentano anche al costume ecclesiale.

PENSARE SECONDO DIO
"Una chiesa che si autocelebra" -ha scritto nella sua ultima lettera per la quaresima Enzo Bianchi, il priore della comunità monastica di Bose- "e che pensa a se stessa come a realtà compiuta, come domina, signora nella società e tra le genti, rischia sempre di produrre situazioni di eclissi del suo Signore".
Dentro e fuori i conventi, come dentro e fuori le canoniche, si ha, a volte, la sensazione che, al di là delle parole, si esiti a credere alla paradossale potenza del Vangelo e si finisca per rincorrere altri mezzi che riteniamo, alla fin fine, più efficaci, con la conseguenza di pensare non secondo Dio, ma secondo gli uomini.
Un laico, amico, profondo conoscitore di Bibbia, mi faceva in questi giorni notare che, secondo il Vangelo, l'essere "vicini" a Dio non mette al riparo da questa tentazione.
Chi più vicino di Pietro, il primo Papa? Eppure Gesù lo chiama "satana": "tu mi sei satana, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".

ESSERE OMBRA DI DIO
I preti che curano la propria immagine durano poco. Durano quelli che -poveri come sono- anelano ad essere, come suggeriva il card. A. Ildefonso Schuster, "voce di Dio", "ombra di Dio".
Un'immagine, questa dell'ombra, da ripercorrere in tutta la sua suggestione e il suo fascino. La mente corre all'ombra di Pietro, un'ombra che bastava da sola a guarire i malati.
L'ombra è silenziosa. Non vive di sé l'ombra. Vive di riflesso, è segno dell'Altro: essere ombra di Dio!
Don Ennio Apeciti, in un profilo sul card. Schuster, annota un passo di un suo discorso, tenuto al Sinodo 44º del 1946: "Ormai le antiche posizioni sancite dai Canoni vengono travolte dagli avvenimenti: solo il Santo può dominare e conquistare il mondo. Concordati, Asse Ecclesiastico, cappe canonicali ed ermellini: noi non sappiamo quanto ancora resterà di questa bardatura medievale da qui a cinquant'anni. Bene o male che sia, sta il fatto che oggi il mondo capisce ancora don Bosco, don Orione, don Guanella, don Placido che entra nel bosco a sfilarsi i pantaloni per poi consegnarli ad un mendico che lungo la via gli aveva chiesto la carità! Questi uomini apostolici, tutta gente che non aveva un soldo, ma ne avevano bensì passati tanti ai poveri, preti di fede che non fecero mai carriera, perché vollero restare a disposizione unicamente del popolo; uomini di Dio (...), magari di poche parole e di modi sbrigativi, perché la predica più efficace che tenevano era la loro stessa vita. Ebbene, il popolo comprendeva il loro linguaggio che riusciva efficace, mentre invece tante e tante altre prediche ed allocuzioni lasciano facilmente il tempo che trovano".
Ti auguro, Marco, di essere, come prete, l'ombra di Dio.

DAL SILENZIO
E a Giulio, Giulio che, nel silenzio operoso di un monastero, si sta educando e formando ad essere monaco in questa nuova stagione della chiesa e del mondo, vorrei dire quanto preziosa sia la sua testimonianza in questo tempo contaminato da un eccesso di frastuono e di pragmatismo.
Dal suo silenzio e dalla sua solitudine il monaco ci ricorda la Parola di cui è in ascolto, la Parola che riplasma e fa nuove le cose, secondo armonie oggi smarrite:
Scalpellino era il monaco
sul monte.
Smussava
assorto e paziente
pietra su pietra.
Stupito fissava
il volto di Dio.
E fiorivano tra le mani
misure e armonie
oggi smarrite.
Abitava gli occhi chiari
la sapienza delle cose,
armonia segreta
di terre lontane.
Mi è capitato di avere tra le mani in questi giorni una lettera di padre Alex Zanotelli. Mi ha stupito che da un missionario, sceso negli inferi di Korogocho, venisse un monito così fermo al silenzio:
"Io spero" -scrive- "che ognuno di voi riesca a trovare dei momenti di contemplazione, di silenzio interiore... per favore fermatevi. Siamo in un mondo folle. Corriamo, corriamo e non sappiamo perché. Ma è assurdo. Andate dove volete, ritiratevi da soli, a fare silenzio, cercando di parlare con voi stessi. Trovate gli spazi silenziosi, vedrete poi che la vostra stessa vita assume la dimensione del Mistero e riuscirà a nascere finalmente qualcosa di bello".
Ti auguro, Giulio, di parlarci sempre, dal tuo silenzio, dalla tua solitudine.

...E SOFIA
Marco, Giulio. Perché Sofia? Da dove l'accostamento?
Forse perché questi avvenimenti, che toccheranno da vicino la nostra comunità, per la loro carica di provocazione evangelica mettono in discussione la nostra arte di educare: educhiamo al successo o all'essere?
Mentre Anna, in sala parto, stava per mettere alla luce la piccola Sofia, Paolo le leggeva pagine di un libro da loro amato: "Le piccole virtù" di Natalia Ginzburg.
Sul cartoncino che, da Grenoble, ne annuncia la nascita, accanto alla foto di Sofia ho trovato questa citazione tratta dal libro:
"Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debba insegnare loro non le piccole virtù, ma le grandi.
Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere".
Ho pensato che fosse un augurio -un augurio per tutti- mettere vicino al nome di Marco e di Giulio quello di Sofia.

don Angelo


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