articoli di d. Angelo


 

PERCHÉ IL SILENZIO SU BASILEA?


Perché il silenzio?
Di silenzio infatti si tratta: un caso o una congiura?
Il silenzio, dico, intorno a un'Assemblea che avrebbe dovuto - sono un illuso? - polarizzare la nostra attenzione di credenti.
L'Assemblea europea ecumenica , convocata dalla Conferenza delle chiese europee e dal Consiglio delle conferenze episcopali europee: raggruppamento delle chiese non cattoliche il primo; organismo cattolico il secondo, che ha ora alla guida il Cardinale Carlo Maria Martini.
Luogo dell'Assemblea: Basilea. I giorni della convocazione: dal 15 al 22 maggio. Siamo dunque alla vigilia e quasi non se n'è parlato.
Sarò il solito ingenuo sognatore. Eppure la notizia mi è parsa tra quelle che avrebbero dovuto sorprenderci di speranza e far alzare il capo a coloro che sono soliti guardare lontano, alla maniera del loro Maestro, che, - gli occhi fissi nel futuro - quattro mesi prima della mietitura diceva: "Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura" (Gv 4, 35).

Sono invece pochi i raggruppamenti che ne hanno parlato e poche - se non vado errato - le comunità parrocchiali. Perché
Forse perché un po' tutti oggi ci stiamo estenuando ed esaurendo nelle problematiche interne alle nostre comunità. E così il respiro si fa corto. Corto e asfittico.
O forse perché i problemi cui l'Assemblea di Basilea ci va sollecitando sono gravi, mettono in questione troppe sicurezze e lasciano nelle coscienze l'inquietudine di interrogazioni che non hanno un'immediata risposta. Soprattutto non ci esimono dal duro e paziente mestiere della ricerca.
O non sarà forse perché un'ombra di sospetto o di non completa fiducia circonda ancora le esperienze che sono di largo respiro e di aperto confronto, a cielo aperto?
Ha cercato più volte di rompere questa cortina di silenzio - quasi una congiura - il nostro Arcivescovo. Ma la voce purtroppo si perdeva nel vento.
E se fossimo - mi sono detto - tra i pochi a parlarne e a riflettervi? Non sarà forse il nostro un peccato di presunzione? Ma non è forse ancora più grave quello di omissione?

LE SUGGESTIONI DI UN DOCUMENTO

Un documento preparatorio fu inviato lo scorso ottobre alle chiese: poneva quesiti e domande, chiedeva luce a sorelle e fratelli. Ma le chiese, per lo più, rimasero mute.
Ora, a pochi giorni dall'Assemblea di Basilea, quasi atto riparatore, vorrei confidarvi alcune suggestioni, che dopo una lettura purtroppo affrettata del documento, mi sono rimaste nella mente e nel cuore.
E condividerle con voi, come si fa con amici. Parlare sommessamente, come si addice a chi non ha né il rigore del teologo né la preparazione di un esperto. Quasi solo appuntando.

PACE, GIUSTIZIA E SALVAGUARDIA DEL CREATO

Scorrendo le pagine del documento, mi colpiva la ricchezza con cui se ne scandagliavano i temi, legandoli in una ineludibile connessione: giustizia, pace e salvaguardia del creato.
Perché non succeda, come per il passato, che l'immagine di pace, svuotata di ogni anima di giustizia, impallidisca a semplice assenza di conflitti o sia confusa improvvidamente con la quiete dei cimiteri.

"Per Isaia" - è detto nel documento - "una pace degna di questo nome può essere solo "con giustizia e rettitudine"" (Is 9,7). L'insistenza dei profeti sulla giustizia ci mette in guardia dall'arrenderci all'ingiustizia, dal venire a compromessi con essa; ci mette anche in guardia dalla passività che è viltà, complicità o preservazione della nostra pace personale a spese di altri.
Infine dobbiamo ricordare che il Dio Creatore ha affidato la creazione alla cura dell'umanità alla sua presenza (Gen 1, 28; 2, 14). Si tratta di un'amministrazione, non di una proprietà, perché il Dio Creatore rimane il solo padrone, nel senso pieno del termine, dell'intera creazione. Come di ce il salmista: "Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti. È lui che l'ha fondata sui mari e sui fiumi l'ha stabilita".

COME CHIESE CONFESSIAMO IL NOSTRO PECCATO

Del documento non può non colpirci anche la franchezza.
Quante volte nei nostri documenti passiamo in rassegna, dall'alto di una cattedra inaccessibile, solo le colpe altrui e non le nostre.
Il documento di Basilea s'apre con una confessione, aperta e sofferta a un tempo:
"Come chiese e come cristiani europei noi confessiamo il nostro peccato.
Confessiamo che certi aspetti del nostro modo di pensare e del nostro comportamento che hanno portato a questa crisi generale derivano dalla universalizzazione di alcuni aspetti della tradizione europea.
Conquista, colonizzazione, dominazione economica e culturale hanno caratterizzato l'incontro di molti popoli con l'Europa. Le conseguenze negative, per la natura e per gli esseri umani, di una industrializzazione illimitata hanno radici profonde nel nostro tipo di attività economica. Il militarismo e la lotta per il dominio caratterizzano la storia d'Europa e i suoi rapporti con i paesi extra europei. Tutti questi fattori agiscono ancora".


UN APPELLO INCANDESCENTE

Incandescente trascorre nel documento - lo attraversa dall'inizio alla fine - un appello alla conversione del cuore e delle strutture di peccato. Un appello non più rimandabile:
"Confessando il nostro peccato, noi speriamo in un nuovo inizio. Esso nasce da una modifica del nostro comportamento e non dovrebbe rifuggire, se necessario, dalla critica dei responsabili politici ed economici.
Il tempo opportuno della decisione - il kairòs - è qui. Noi, a differenza del giovane ricco, non dobbiamo perdere questa opportunità" (Lc 18, 18-30).

Pace, giustizia, salvaguardia del creato, ridisegnati continuamente nel documento come orizzonte del più puro evangelo.
Una domanda insistentemente ti rimormora nel cuore: come può essere accaduto che chi custodiva l'evangelo della pace ne tradisse l'ispirazione profonda?
E come non patire leggendo la distanza: la distanza tra la pagina e la vita, tra la celebrazione di un'eucarestia "sacramento" - è scritto - "della fraternità cristiana" e un costume, così spesso povero d'amore?

Mi colpiva in questi giorni una riflessione di Mons. Riboldi, il vescovo di Acerra, minacciato a morte da mafia e camorra:
"Si profana il sacro continuamente e io non ne do la colpa a chi vende, perché chi vende fa il suo mestiere; la colpa è di chi compra.
Altro è una festa dell'Eucarestia, altro è questo scempio, questa abbuffata consumista. La festa eucaristica della prima comunione è festa della carità, dovrebbe portare i vestiti della povertà. Quando non li porta fa scadere la carità stessa. Sarebbe come fare una festa dell'amore per i poveri, vestendoli di lusso. La festa dovrebbe essere il fare, non il portare.
È come per la Pasqua. Una volta si diceva: 'Come fai la Pasqua?', e la saggezza e la semplicità popolare rispondevano: 'Vado in chiesa, mi riconcilio, risorgo'. Anche la Pasqua, così, ha perso di significato: non è più un mistero, ma un divertimento, l'occasione di innalzare il tempio del benessere".

L'EUROPA COME UNA CASA

Vi confesso che mentre scorrevo le pagine del documento di Basilea, mi prendeva - e come non potrebbe essere? - una sorta di timore: il timore di perdere per strada, cammino facendo, molte delle sollecitazioni, delle accensioni, degli itinerari tracciati e di quelli solo sognati, che vi sono custoditi.
E andavo d'istinto anelando a un simbolo che ne fosse cifra e sintesi ad un tempo.
E il simbolo veniva inaspettatamente offerto dal documento stesso. È un'immagine cara: l'immagine della casa.
Dunque l'Europa come una casa. Casa e non albergo, luogo dell'estraneità. Casa e non appartamento, luogo dell'appartarsi.
Era come se il documento mi chiamasse - ci chiamasse! - a dare un nome. Dare un nome all'Europa. E darle il nome di "casa".
Pensavo a quale restrizione di orizzonte ha subito l'immagine della casa. Dio non voglia che stia diventando sempre più una prigione.

Non se ne potrà fare a meno. Ma quale angoscia lo stridere di catenacci e chiavistelli, ogni volta che suoni ad uno dei nostri appartamenti!
No, la casa! E la casa evoca il "focolare": così mi ricordava, giorni fa, un'amica che sa di psicologia, e non solo di quella.
Casa, luogo di un calore umano. Dove dopo tante fatiche e tanto freddo, ti è dato scaldare il cuore.

Anche l'Europa diventi una casa.
E lavorare tutti, appassionatamente, insonnemente, per la casa comune.

don Angelo


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