articoli di d. Angelo


 

I VOLTI, LE VOCI, L'EVANGELO
Ovvero l'assemblea parrocchiale di maggio


Iniziare un'assemblea leggendo poesie. Una delle tante stranezze o è lucido convincimento che solo la poesia allude al mistero delle cose, senza avere la pretesa di possederle?
E non dovrebbe essere proprio questo un introito del cuore, che fa da ingresso a ogni vero, è perciò umile comunicare?
Questi due testi di Padre David Maria Turoldo hanno aperto, a maggio, la nostra assemblea parrocchiale:

E NON CHIEDERE NULLA

…invece la terra
si fa sempre più orrenda:

il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:

ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.

E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta,
e trovino udienza le preghiere.

E non chiedere nulla.


CANTA IL SOGNO DEL CUORE

Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta
(nessuno saluta
del condominio,
ma neppure per via).

Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda
solo il bene.

E del bene degli altri
godi e fai
godere.

Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco

-se necessario-
dividi.

E vai,
vai leggero
dietro il vento
e il sole
e canta.

Vai di paese in paese
e saluta
saluta tutti
il nero, l'olivastro
e perfino il bianco.

Canta il sogno del mondo:
che tutti i paesi
si contendano
d'averti generato.

OLTRE LA PAROLA

Assemblea sono gli interventi o sono i volti? Forse sono gli uni e gli altri insieme.
Ebbene, quando fai il bilancio di un'assemblea, in rassegna, come per una radiografia, vanno quasi esclusivamente i discorsi.
Sono curioso di conoscere che cosa stia scrivendo in questi giorni il nostro Arcivescovo sul tema del comunicare: è la lettera del prossimo anno.
C'è un comunicare che è prima e al di là delle parole. Me l'ha insegnato anni fa con i suoi lunghi silenzi una ragazzina -ora non lo è più- che non spiaccicava -non lo ha mai fatto né mai lo farà- una parola che è una. Ti guardava: parlava dal profondo dei suoi occhi chiari, dal fremere improvviso del suo esile corpo. Nel silenzio.
In un'assemblea di fratelli e sorelle -l'hai mai osservato?- c'è una gioia che precede il parlarsi: la gioia di esserci.
Ti guardo E mi viene voglia di ringraziare Dio. Di ringraziarlo perché ci sei, perché ci siamo, perché siamo qui radunati. Una sorpresa agli occhi.

SORPRENDE

Sorprende sempre il numero.
"Te li sogni" -commenta un mio amico prete- "questi numeri a Milano".
Ti sorprende la fascia di età delle persone convenute.
Qualcuno fa notare che sino a pochi anni fa, per lo più, le nostre erano assemblee di anziani.
Ora si sta affacciando -timidamente, ma nemmeno troppo- quella fascia di persone di cui soffrivamo la mancanza: la gente, così detta, di mezza età.
Sorprende, con gioia, il fatto che non siamo i "soliti noti", gli "addetti ai lavori": c'è gente nuova, facce nuove in tutti i sensi.
Avremo occhi per notarli? O avremo solo occhi per noi stessi? A tal punto ciechi da ripetere sempre, fino all'ossessione, che siamo sempre fra noi, i "soliti noti". Ma abbiamo occhi per vedere?

LA LETTERA E LA COMUNICAZIONE

Sorprende anche che a radunarci sia stato un tema non certo accattivante. "Dimorare nella città" non è titolo da giornali.
Sorprende che ci sia stata risposta a una lettera che forse peccava -nello stile- di poesia, e -nei contenuti- di una certa improvvisazione.
Ma qualcuno va anche raccontando che della lettera si è parlato nelle case e persino in qualche negozio del quartiere.
Dopo tutto forse è questo quello che conta. Ed è questo, più di ogni altra cosa, ciò di cui dovremmo godere.
Ci succede anche in altri ambiti, agli incontri per i fidanzati per esempio.
Succede che, alla fine degli incontri, ti dicano: "Sa, noi siamo un po' timidi e non siamo mai intervenuti. Ma abbiamo fatto le ore piccole a parlarne tra noi, dopo l'incontro…".
Di questo dovremmo godere: che ci siano ancora occasioni per pensare, per parlarsi, per confrontarsi.
***

Certo rimane il problema della comunicazione: dello scrivere come del parlare.
E non è problema da poco se tema del comunicare è l'esperienza religiosa, un'esperienza che in qualche misura allude all'inesprimibile.
Sabato 10 febbraio, in un dibattito con i giornalisti, al Centro S. Fedele, il Card. Martini così si esprimeva:
"È difficile parlare di Dio se non in parabole; per questo il linguaggio religioso, lo stesso che utilizzava Gesù, è un linguaggio parabolico e allusivo.
Forse se nelle prime pagine dei giornali si pubblicassero poesie e racconti, l'informazione sarebbe più facile.
La stessa atmosfera del linguaggio religioso è quella del rito, della liturgia. Al di fuori di questa atmosfera il discorso religioso risulta un po' estraneo, un po' falsato".

UNA DELUSIONE DA FRENARE

Forse un po' tutti, in assemblea, soffriamo della dispersività e della disorganicità degli interventi.
Sembra, a volte, che manchi un colpo d'ala che li sollevi, a suggerire orizzonti.
Sembra di leggere qua e là un'ombra di delusione per come sta procedendo (arrancando?) l'assemblea.
E tuttavia -lo capirai più tardi- è una delusione da frenare: la gente dice istintivamente i problemi che vive sulla sua pelle.
I discorsi non possono non risentire della complessità del tema che si dibatte, anzi ne sono quasi una fotografia: complesso il dibattito, perché complessa la città di cui stiamo parlando; frammentando il discorso, perché frammentata la città in cui viviamo.

***
Il pericolo se mai è un altro: è la pretesa, sempre in agguato, di suggerire rimedi, là dove ancora non si sono pazientemente indagate le vere cause del malessere.
Il pericolo -lo si sente nell'aria- è ancora quello di illuderci che ai mali si ponga rimedio, inventando chissà quali clamorose iniziative tra le pareti della parrocchia.
Qualcuno fa osservare che, andando per queste strade, ampiamente visitate nel passato, avviene, forse inconsciamente, una sorta di restringimento dell'orizzonte: si parte mettendo a tema "dimorare nella città" e si finisce con il parlare del "dimorare nella parrocchia".

IN QUOTA

Gli interventi prendono quota. Vanno a disegnare una parrocchia che non sia un gruppo arroccato, una rete di relazioni a lato di altre reti di relazione.
Vanno a suggerire una parrocchia come sale, come lievito, come luce: essere dentro nel mondo senza perdere il sapore, essere dentro con tutta la forza del fermento, essere dentro ma con la forza della profezia e con la luminosità del Vangelo.
Per questo infatti la parrocchia esiste. E non per altro. Non certo per organizzare servizi o attività sociali in concorrenza con altri.
Esiste per un fatto educativo: è luogo di educazione alla fede, alla profezia del Vangelo.
Anche questo è stato limpidamente richiesto dall'assemblea: la parrocchia ci educhi ad essere prima che a fare; la parrocchia ci aiuti ad avere occhi e cuore e Vangelo. Avere occhi e cuore e Vangelo per tutte le ore del quotidiano e non soltanto per le iniziative di casa, fin troppo idolatrate e celebrate.

AMARE LA CITTÀ

E dunque amare la città, questa città.
"Anche la città" -sottolineavano. Frances e Daniela, riprendendo un passo della lettera- "deve essere vista in questa prospettiva di amicizia. Uno che non ama il proprio paese o la propria città, se ne fugge.
Amare la città vuol dire amare la gente, amare le sue tradizioni e amare le persone nella loro concretezza e nella loro fragilità. M anche porvi mano per qualche cosa. Qualche cosa che già è legato alla missione o al nostro lavoro.
Porvi mano con la nostra professione, con la nostra competenza ad ogni livello. L'amicizia e la competenza. E poi, dove finisce il dovere quasi proprio, per un dono volontario. Questo qualcosa che è lasciato alla nostra scelta e anche alla sollecitazione del momento".

L'ATTENZIONE E LA DISPONIBILITÀ

L'amore per la propria terra è fatto di attenzione e di disponibilità. Attenti e disponibili quotidianamente.
L'attenzione è il contrario del "vedi e vai": indugiare ad osservare. Da un osservare ad un altro.
Osservare i bambini per esempio: i tuoi, quelli degli altri, le altre donne, le altre madri, i bambini che non hanno una madre, le altre famiglie.
L'attenzione e insieme la disponibilità a ciò che vedi, a tutto ciò che ti passa vicino.
Non passare oltre. Quante cose si sono intristite, proprio perché il costume che è andato dilagando è quello di "passare oltre": le cose non ci riguardano. Non ci riguardano i bambini, non ci riguardano gli anziani, non ci riguarda il pezzo di marciapiede né il verde degli alberi né la pensilina della metropolitana.
Le città ingrigiscono, si fanno tristi: il tempo è malato. Forse anche per questo, perché ognuno vede e passa oltre: non prendiamo a cuore.
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico": diceva un giorno Gesù. E voleva richiamarci alla strada, alla nostra strada, quella della nostra quotidianità: la strada per la quale oggi transitiamo.
Come transitiamo? La parabola di Gesù viene a dirci: fate attenzione a ciò che avviene sulla strada. Fatevi vicini, così come siete, così come potete…
Non la fuga, ma l'attenzione. Quell'attenzione a tutto, a cui invita una parabola moderna, raccontata da Anthony de Mello, nel suo libro "a preghiera della rana".
La parola "attenzione" è risuonata più volte nella nostra Assemblea e non può essere disattesa. Se amiamo la città. La nostra città

don Angelo


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