articoli di d. Angelo


 

IL NATALE E LE PAROLE PICCOLE

Aderendo a un desiderio espresso da molti pubblichiamo l'omelia di Don Angelo nella notte di Natale.
Apriamo in questo numero di gennaio una riflessione sulla "famiglia" grati a chiunque vorrà farci dono di un suo contributo.

Mi è caro pensare che i nostri passi, questa notte, corrispondono ad altri passi, anche quelli nella notte: quelli dei pastori che in una notte lontana - poco importa che non sia stata il 25 dicembre ! - si dissero l'un l'altro :"Andiamo a a vedere ciò che è accaduto".
Ai passi corrispondono i passi.
E mi è caro - vorrei dirvi che mi emoziona - pensare come veniamo da strade diverse: strade della fede e della ricerca, strade del cuore. Alcuni di noi forse qui, solo perché qualcuno che ama e che stima ha detto: "andiamo". E ognuno si è mosso.
Forse le sentinelle oggi, quelle che invitano a scrutare il "ritorno del Signore" non sono più quelle ufficiali, come ai tempi di Isaia. Ci sono sentinelle più vicine, sentinelle dell'amicizia e del cuore.
E ci siamo mossi.
E muoversi è il verbo del desiderio. E delle sentinelle, sì, vorremmo avere gli occhi smisurati, gli occhi smisurati di Dio: gli occhi smisurati, fatti smisurati dall'amore, perché è l'amore che apre: apre gli occhi e li fa smisurati, capaci di vedere.
E dunque qui, ancora una volta, a vedere ciò che è accaduto.
Ed è accaduto l'incredibile, l'inverosimile, l'inaudito. Perché l'invisibile si è fatto visibile, l'infinito si è fatto limitato, l'immortale si è fatto mortale.
Ciò che è accaduto è sotto i nostri occhi: un bambino, una mangiatoia, il buio di una notte squarciato, ma per poco, da un brivido di luce e il silenzio, rotto, ma solo per poco, da un sussulto di canti di angeli.
E poi il silenzio. E poi la notte. E il bambino e la mangiatoia.
Ecco ciò che è accaduto, ciò che ancora ci riporta qui: "Il Verbo si è fatto carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria".
Capite! La sua gloria! La carne, la fragilità della carne, luogo della presenza di Dio, luogo della sua gloria!
Ma perché allora, perché - me lo chiedo - scandalizzarci della carne, della sua fragilità? della piccolezza e dell'ambiguità della storia - della nostra storia - se il Verbo si è fatto carne?
E che cos'è questo cristianesimo che rifugge dall'essere carne, dal toccare la carne dell'umanità? E come può dire di essere fedele alla memoria del suo Signore?
E come non vedere che è qui, è qui, il fuoco, in questo "farsi carne" del Verbo di Dio?
Tra i tanti presepi che mi sono incantato a guardare nelle case in questo passaggio di Natale, uno quest'anno mi colpiva: un presepe all'ottavo piano, in un camino.
Altre volte mi era capitato di vedere un presepe collocato in un camino. Ma mai forse come quest'anno la mente mi corse, quasi d'istinto, a un vecchio camino, che mi seduceva, da piccolo, nella casa di campagna dei nonni.
A sera, ormai buia, ardeva a lungo e noi bambini, incantati dal fuoco, seduti sulle panchine annerite dal fumo, a rincorrere con gli occhi le scintille risucchiate dall'alto.
E i volti! I volti e le gote, quasi affocate dal riverbero delle fiamme!
E' quasi un augurio: fuoco vero è il Verbo che si fa carne, questo bambino nel presepe.
E potercene andare tutti, portando sul volto il riverbero.
Il verbo si è fatto vicino, piccolo, si è fatto carne.
Posso sbagliare, ma a volte ho come la sensazione che anche i discorsi sul Natale percorrano la direzione opposta e diventano parole , parole altisonanti, parole che riempiono la bocca: i grandi discorsi sull'incarnazione, sull'amore, sull'amore, sulla pace.
E se tentassimo di dire parole vicine, parole piccole, parole-carne, quelle scritte in ciò che è accaduto?
E' tardi e non voglio abusare. Ognuno dal presepe attinga parole piccole!
Per esempio, il silenzio. In una società di urlatori, pensate al silenzio del presepe. E imparate a parlare sottovoce, e, ancor più, ad ascoltare, a pensare.
Altra parole piccola: il rispetto. In una società dove il menefreghismo il "farla da furbi" sembra vincente, il rispetto della persona e delle cose, del diverso e dell'uguale, delle strade, degli alberi, delle case.
Altra parola piccola: la discrezione. In una società di sfondatori, di predatori, la lezione di questo Natale, che si ferma alla porta del cuore, sulla soglia, non sfonda, si propone nel silenzio!
E quante altre parole, parole piccole, da riscoprire, perché il tuo Natale, Signore, non diventi una parola, una vuota parola!

ELOGIO DELLA FAMIGLIA NORMALE

Cerco di interpretare un certo disagio - e come vorrei che i fatti mi smentissero! - all'aprirsi di questo anno internazionale della "famiglia".
Il disagio non nasce dal tema, che è tra i più cari e importanti: parlando di famiglia, vai a toccare le tue radici segrete più profonde,
Il disagio investe se mai il tono predicatorio delle parole, delle molte parole che stiamo per ascoltare: l'enfasi delle proclamazioni, la retorica delle immagini, la quasi totale assenza di un riferimento alla vita concreta delle nostre case, le soluzioni che dimorano beate l'astrattezza.

PRIVILEGIARE LE STORIE

Il disagio riguarda - lo confesso - anche i discorsi ecclesiastici.. Ricordo l'intervento di un teologo della Facoltà teologica di Milano che metteva in guardia da un uso, facile e ormai ricorrente nei discorsi e nei documenti ecclesiastici, della definizione di famiglia come "chiesa domestica". Uso o abuso? Quasi una mania di rendere clericale anche quello che clericale non è.
E come non avere il desiderio - o forse è solo un sogno? i sogni raramente accadono! - che, proprio per rispetto alla concretezza della famiglia, anche i documenti e i discorsi ecclesiastici abbandonino il loro tono fondamentalmente predicatorio e ritornino a "parlare per storie", storie di famiglie?
Pensate quale guadagno se Papa, Vescovi, preti ritornassero a privilegiare le storie! Dopo tutto, parlare per storie non è il segreto affascinante della Bibbia?

UNA LIETA SORPRESA

Privilegiare le storie. E le storie siano raccontate nella loro integrità, senza falsi incantamenti, nel loro realismo, il solo che diventa sapienza vera, magistero di vita.
Il cuore mi corre alla sorpresa - sorpresa vera e manifesta - che leggo negli occhi di tanti fidanzati, quando nei loro incontri si trovano a dialogare con coppie sposate che non hanno cancellato né osano nascondere la loro normalità: non sono figure sopra il rigo né parlano come fossero documenti prestampati, coppie che mai e poi mai si ritroverebbero nel cliché della famiglia modello che attraversa i conflitti della storia, senza tradire il benché minimo sussulto del cuore o turbamento.
Ti accorgi come le famiglie da copertina patinata non interessino più di tanto: accendono curiosità passeggere. Interessano le famiglie vere.

IL GRANELLINO DI SENAPA

La famiglia vera parla attraverso la sua normalità: una normalità che trova il suo segreto in quel piccolo granellino di fede, che, al dire del Vangelo, ha il potere di spostare le montagne.
La storia delle nostre famiglie è ampiamente storia di montagne rimosse: quante prove all'apparenza insormontabili, quante montagne all'apparenza invalicabili.
Poi ti ritrovi a constatare che sei andato altre: le montagne sono state rimosse e miracolo - miracolo vero - è stato quel piccolo, quasi invisibile, granello di fede.
E sono le storie vere, non quelle da copertina, a segnalare, quasi con emozione, questo "invisibile".

IL LINGUAGGIO DELLA VITA

Forse il primo rispetto che dobbiamo alla famiglia sta nell'onorare il suo vero linguaggio, che non è quello delle parole, ma quello della vita.
La chiesa e le scuole hanno privilegiato, forse anche troppo, le parole e le definizioni: di qui un eccesso di verbosità. Le case al contrario hanno privilegiato l'esserci, il guardarsi, l'interrogarsi in silenzio, il condividere.
Nei ricordi delle nostre famiglie ritroviamo volti, sguardi, silenzi, una tavola, quel letto, quella immagine del Crocifisso, quel volto della Madonna, la finestra, la porta. E l'aria, l'aria di casa. E noi che uscivamo e rientravamo. E le parole erano rare, spesso sottintese: la comunicazione era nell'aria, l'aria buona della casa.
E quando dico "buona", non dico senza difficoltà o senza problemi, senza inquietudini o senza fatiche. Anche a questo proposito è da sfatare l'equivoco per il quale buone sono quelle famiglie alle quali niente fa mai problema.

IN GIORNI NON SEMPRE SERENI

Ritorniamo alla storia, raccontiamo la storia.
Le declamazioni nella loro enfasi ingenua denunciano l'usura del tempo e non toccano il cuore. Le storie al contrario hanno sempre qualcosa da insegnare e ti mettono in ascolto.
In questo senso, mi posso sbagliare ma anche alcuni testi della liturgia nella festa della S. Famiglia, nel loro tono enfatico e declamatorio, denunciano manifestamente l'usura del tempo.
Recita il prefazio della festa: "Nella casa di Nazaret regna l'amore coniugale intenso e casto; rifulge la docile obbedienza del Figlio di Dio alla vergine Madre e a Giuseppe, l'uomo giusto a lei sposo; e la concordia dei reciproci affetti accompagna la vicenda di giorni operosi e sereni".
Ritorniamo alla storia raccontata, che di giorni "sereni" della Famiglia di Nazaret - lasciatemelo dire - ne registra ben pochi, forse nessuno.
Il Vangelo della festa non racconta certo giorni sereni: racconta i tre giorni passati a ricercare, angosciati, un figlio.
E l'obbedienza del Figlio, tutta da interpretare, in quella risposta che sulle labbra dei nostri ragazzi avremmo giudicato impertinente: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
E la concordia - la concordia dei reciproci affetti - era alla fine - bisogna pur dirlo - la concordia dell'accettare umilmente di non capirsi: "ma essi non compresero le sue parole".
E forse qui è il crescere; questa e non altra l'aria buona.
Questa, con tutti i suoi limiti, è l'aria buona della famiglia che ci ha fatto e ci fa crescere.
Come sta scritto: "e il figlio cresceva…".

don Angelo


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