articoli di d. Angelo


 

VIRTÙ DIMENTICATE, MA A QUALE PREZZO?

Mancavano ancora alcuni giorni alla festa e qualcuno già diceva: "Abbiamo messo via anche quest'anno il Natale!". E l'espressione tradiva in chi la pronunciava una certa stanchezza e forse anche un bisogni di riposare, dopo tanto correre, dopo tanti - forse troppi - :"preparativi".
Confesso che , anche se comprensibile, l'espressione un po' rozza mi feriva. Mi feriva l'immagine di un Natale da "mettere via": come si mettono via le statuine del presepe, per un anno fuori dalla vista, nell'angolo più remoto e buio dell'armadio. Ci penseremo l'anno prossimo.
Quelle parole mi riportarono d'improvviso, quasi per contrasto, a una casa, una delle nostre: nella grande sala un presepe; i ragazzi vi aggiungono ogni anno una statuina. E quest'anno una stranezza: tra il presepe e il piano del mobile che sta accanto, un piccolo ponte.
Io a chiedermi che senso avesse quel piccolo ponte; e la ragazzina a dirmi che il Natale, se è vero, deve incontrare la vita. Se non passa - se non passa nella vita - è come se non fosse accaduto.
Un Natale da mettere via, un Natale che rimane nel presepe o un Natale che passa nella quotidianità più concreta?
I nostri occhi stanchi o gli occhi di Maria Chiara che si illuminano di un brivido nella sera?

GLI OCCHI ANCORA SPLENDONO

Gli occhi di Maria Chiara! e d'improvviso l'accendersi nella memoria di una poesia di Padre David Maria Turoldo:
"…invece la terra
si fa sempre più orrenda:

il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.

E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla.

E da parte mia il desiderio di parlare a David, di confessare che, no, il tempo non è così perdutamente malato e che le ragazze, sì, hanno occhi che ancora splendono a sera: splendono nel raccontarti il significato del piccolo ponte, attraverso il quale il Natale passa nelle cose di casa.
Forse il tempo non è perdutamente malato e forse le nostre liturgie non sono irrimediabilmente gelide e morte.

UN CONVENIRE SILENZIOSO

Tanti amici - quanti! - a confessare in questi giorni lo stupore per quel convenire silenzioso di fratelli e sorelle nella veglia che precede la Messa nella Notte santa.
E nel silenzio vibrante, quasi a trattenere i passi a non violare la voce di Carmen e di Maria Paola, che intenerivano d'emozione i testi di Tommaso da Celano, che, nella sua "Vita prima" racconta del presepe di Greccio, voluta da Francesco d'Assisi in un Natale lontano dell'anno 1223.
Anche noi nella notte accorsi, come quella notte, a "vedere", dopo esserci riempiti a lungo gli occhi di cose vane. A vedere il segno di un Dio che si ricorda e di un uomo che trova grazia.
Contemplavi nella notte il bambino e il segni ripeteva: Dio si è ricordato; abbiamo trovato grazia presso Dio.
Semplice era, David, la liturgia, ma non gelida. E ognuno tornava a casa un po' meno solo.
Come erano belli nella notte i volti di ciascuno! E come sapeva di miracolo la gioia che ardeva negli occhi, mentre ci scambiavamo un augurio nella sala luminosissima del nostro Oratorio: gioia limpidissima, così diversa dalla gioia forzata di tanti riti mondani.

LE STRADE COME PONTE

Ognuno se ne andava verso casa un po' meno solo. E le strade, le nostre, per un attimo mi sembrarono ponti. Forse era un sogno, o forse era augurio: che la memoria del Natale, attraverso il miracolo di ponti, entrasse in ogni casa. E la memoria vi fosse custodita gelosamente nell'anno nuovo.
Non ci attendono giorni facili: si tratta di attraversare un deserto. Ci accompagni dunque, come un giorno la nube della presenza, la visione contemplata nella notte!
"Risplende" - scrive Tommaso da Celano - "la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà".
E non saranno forse queste le virtù da risuscitare? Le virtù che ci consentono di affrontare la prova, senza venir meno lungo le piste desolate dei nostri deserti?
La semplicità evangelica, la povertà, l'umiltà: virtù dimenticate, ma a quale prezzo?

PUNTARE ALL'ESSENZIALE

La semplicità dunque, che non ha nulla da spartire con l'infantilismo né tanto meno con la semplicioneria.
Il Bambino del presepe ci riconduce all'essenziale. E dunque puntare all'essenziale e non perdere né tempo né cuore dietro storie vane, dietro questioni di corto respiro, quando i problemi, quelli seri, sono ben altri. E sapere dunque ciò che conta e ciò che non conta, ciò che vale molto e ciò che vale poco.

VIVERE NELLA SOBRIETA'

La povertà, o forse, per usare una parola oggi più trasparente, la sobrietà.
Questo bambino del presepe, che assomiglia a tanti - troppi - altri bambini, che ci inquietano fin nel più profondo del cuore dagli schermi televisivi e dalle pagine patinate dei nostri rotocalchi, mette più di un sospetto su tanti- troppi - nostri sconfinamenti dalla sobrietà della vita.

"Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva".

PIEGARSI ALLE COSE UMILI

Infine l'umiltà. Questo Dio che guarda le cose non dall'alto della sua inaccessibile distanza, ma dalla condivisione della condizione ultima, mette più di un sospetto su tanti palchi da cui si pontifica all'infinito su tutto e su tutti, senza lasciarsi mai sfiorare dal benché minimo dubbio.
Sembra ripetere con l'apostolo Paolo: "Non aspirate a cose troppo alte; piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi" (Rom. 12,17).

"E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta
e trovino udienza le preghiere".

don Angelo


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