articoli di d. Angelo


 

DAL DOMINIO ALLA CUSTODIA

È irrespirabile.
Lo dicono tutti. Lo diciamo in coro, dell'aria che ci avvolge e pesa sulla città.
Qualcuno ne parla come di una moderna, incombente, minacciosa camera a gas.
Non c'è giorno e non c'è notte. Come esci, già al primo mattino respiri ossido di carbonio. Come indugi la sera, a fissare tra tetto e tetto l'arco dolce della luna, ti senti afferrare da un bruciore alla gola.
Irrespirabile l'aria.
E chi custodisce l'aria? Chi si preoccupa di vegliare su creature invisibili e impalpabili? L'aria né la vedi né la tocchi.
Proprio come il tuo Dio: chi ne custodisce il mistero? E chi veglia alla sua porta? Né lo vedi né lo tocchi.
Eppure "in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17,28). Lui, come l'aria che respiriamo, l'aria buona, così diversa da quella che oggi ci tocca in sorte respirare.

FORSE GLI ALBERI

Chi custodisce dunque l'aria? Chi ne sente la responsabilità?
Forse gli alberi che tenacemente -o ingenuamente?- persistono a filtrarla.
E nessuno che dica loro grazie. O forse pochi. I pochi che sanno ancora indignarsi davanti al disegno di chi vorrebbe spietatamente eliminarli. Proprio loro che, inermi David, lottano contro la tracotante arroganza metropolitana.
E come non sognare le cinque pietruzze del torrente? Nella speranza che dai cinque ciottoli lisci del torrente oggi colpita sia non già la fronte dei Golia della città, bensì il loro disegno di morte?

IRRESPIRABILE UN COSTUME

Irrespirabile nella città l'aria, Ma, forse, ancor più dell'aria, irrespirabile un costume, che giorno dopo giorno, vai tristemente registrando.
I sintomi sono tanti e creano un degrado morale, che talvolta ti inquieta, talvolta ti deprime.
Non so dargli un nome. Vorrei chiamarlo insensibilità, disattenzione, menefreghismo, violenza.
Forse potrei anche dire: la mentalità del dominio, che porta a non curarsi di niente e di nessuno. Esitiamo solo noi.

QUASI UN FRAINTENDIMENTO

Educhiamo al dominio o educhiamo alla custodia?
Dominare o custodire?
Mi prende a volte un dubbio; poi lo ricaccio, ma non ne sono convinto del tutto. Il dubbio che non sia avvenuto per disavventura una sorta di fraintendimento circa il comando di Dio, nel giorno più lontano, a "dominare sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra" (Gen 1, 28).
Dominare alla maniera di Dio significa portare la responsabilità delle cose. Custodirle e promuoverle come fa Dio, che non schiaccia le sue creature, ma le fa vivere.
L'uomo che non si accorge di nessun altro che di se stesso, l'uomo che usa e abusa delle cose, l'uomo che consuma e butta, l'uomo che sfrutta e violenta, l'uomo che passa sopra impietosamente a ogni benché minimo senso di rispetto per il volto delle persone, per la bellezza del creato, non fa che rendere ogni giorno più irrespirabile l'aria di questa città.
Invivibile dunque perché la mentalità che ci acceca e indurisce è quella dell'impadronirsi, l'opposto del custodire.

IL GIARDINO DA CUSTODIRE

Il giardino del mondo è affidato a ogni uomo.
Commentando il messaggio del Papa per la giornata della pace del primo gennaio, Mons Giuseppe Pasini, Direttore della Caritas Italiana, scriveva:

Può sembrare che quello dell'ambiente sia uno dei grandi temi molto importanti ma anche molto difficili da affrontare, e che perciò sembrano destinati solo ai grandi del mondo, agli uomini di potere. In realtà ci sono livelli di intervento accessibili a tutti e di comune responsabilità, che hanno anche una componente educativa.

Il primo livello sta nel farci carico tutti di rispettare l'ambiente in cui viviamo, rendendolo il più possibile gradevole e vivibile. Si tratta di mettere in atto alcune attenzioni e di evitare una serie di azioni che disturbano e rischiano di alimentare la conflittualità nel quotidiano.

Ad esempio: non gettare carte per terra, ma usare gli appositi recipienti; non lasciare scritte sui muri o sui mezzi di trasporto urbano pubblico; sorvegliare perché i cani non sporchino i marciapiedi; raccogliere i resti del cibo dopo il picnic sul prato; lasciare in ordine i bagni pubblici come noi vorremmo trovarli; controllare la carburazione delle nostre autovetture per non aggravare ulteriormente l'inquinamento atmosferico; non fumare in luoghi vietati, né gettare a terra i mozziconi; non abbandonare sulla strada i sacchetti con l'immondizia, né oggetti vecchi e in disuso; parcheggiare dentro gli spazi appositi e non sui marciapiedi o in doppia e terza fila. Sono piccole attenzioni che dichiarano di per sé che noi amiamo l'ambiente, come casa nostra e di tutti, e che nell'ambiente intendiamo rispettare tutte le persone.

Un secondo livello sta nel farci custodi dell'ambiente, cioè nel sentirci responsabili perché da tutti l'ambiente sia rispettato. Questo comporta che ci facciamo carico di richiamare con franchezza chi non segue certe regole, chi sporca, rovina…; che entriamo in comitati di difesa dell'ambiente; che telefoniamo agli organi preposti, quando la strada è sporca o ingombra; che sensibilizziamo l'opinione pubblica; che ricorriamo, quando è necessario, alla denuncia di fronte a fatti di inquinamento della spiaggia, dei fiumi, dell'aria, eccetera.

Tutto questo è scomodo: costringe ad uscire dalla propria tranquillità e da quell'abitudine diffusa che ci porta a lamentarci e a criticare, ma non a muovere un dito per cambiare le cose.

CUSTODIRE

Custodire teneramente. Custodire un filo d'erba, come il germoglio di una pianta; la limpidezza del cielo, come la luce di un volto.
Custodire i sogni dei ragazzi come le visioni dei vecchi. Custodire e non sopraffare. Custodire nella tenera attesa e non gelare con la durezza della pretesa.
Custodire come fa il tuo Dio: ti custodisce come la pupilla degli occhi.
Custodire. Non andarsene come se nulla accadesse.
Ce ne veniamo, una di queste mattine, per via Sansovino. E già stringe il cuore un corteo funebre per le vie della città.
All'incrocio con via Garofalo, impettito, gli occhi alti, il giornale sotto il braccio, un cane al guinzaglio, un passante attraversò, senza dar segno, trasversalmente, tra i necrofori e i preti, il corteo.
Come se nulla accadesse. Al mondo non c'era altro che lui.
Fu un attimo. Don Ambrogio ed io interrompemmo d'istinto la preghiera. Gli occhi dell'uno cercarono gli occhi dell'altro. E negli occhi smarriti il lampo della stessa interrogazione: Ma in che mondo siamo?
E come oggi educare a sostare dinanzi al mistero che abita le cose, a venerarlo e custodirlo, come l'impronta del tuo Dio?

don Angelo


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