articoli di d. Angelo


 

COME SOFFIO SULLA BRACE


Non la conosco di nome. Ora conosco solo i suoi occhi azzurri. Era entrata un mese fa in sagrestia. L'aria era come di chi non è di casa. Aveva un problema, un problema di coscienza, da confidare a qualcuno, a un prete. Forse oggi nell'immaginario della gente un prete rimane ancora una persona a cui -se lo trovi!- puoi confidare un problema.
Ma, prima di confidare il problema, la ragazza volle fare una premessa. Disse: "Non so se posso stare qui, in questo posto, io che non sono battezzata". Persino le vicinanze dell'altare sembravano a lei non battezzata, precluse.
Di lì a pochi giorni avremmo iniziato l'Avvento. È come se lo aspettassimo ancora -mi dicevo-. Duemila natali non sono bastati a fugare l'immagine della separatezza, l'immagine di una religione "circolo per iniziati", dove l'aria che respiri poco o tanto ti intimorisce, quasi tu non ne fossi degna.
Non lo vorrei credere, ma a volte mi sembra di capire che a disegnare davanti al mondo l'identità di una fede, più che il Natale, sia la testimonianza o la controtestimonianza dei credenti.
L'immagine della chiesa delle separatezze, di una chiesa "circolo di iniziati" -è ovvio- non è nata da sè, per caso. Dobbiamo averne dato ampiamente prova lungo i secoli se non sono bastati duemila natali a sfatarne il pregiudizio, duemila natali a cantare nella notte il superamento di ogni separatezza, a cantare nella notte un Dio nella carne, un Dio con noi, un Dio che non riesce più a pensarsi se non con noi. Con noi, non perché buoni o battezzati, con noi per il solo fatto di essere degli umani.

NEL GRANDE CAMINO
Leggo sul notiziario della Rete Radié Resch una riflessione di Waldemar Boff. Cita S. Agostino, che nel suo "De Magistro" paragona il ruolo del maestro a quello di colui che soffia sulla brace.
D'improvviso nella memoria, folgorante, la parola di Gesù: "Uno solo è il vostro maestro, il Cristo".
Mi piace pensarlo come colui che "soffia sulla brace". Anche sulla mia brace, dove la cenere sembra a tal punto pesare da spegnere la brace.
Natale dunque è il Signore che soffia sulla nostra brace. Soffia nel segno della discrezione, quella discrezione che a noi purtroppo spesso manca. Soffiare con discrezione: soffiando troppo si rischia di spegnere il fuoco, soffiando poco non si riesce nemmeno a smuovere la cenere.
L'immagine più la seguo più si illumina: neanche Dio ci tratta da essere spenti. Neanche per lui siamo vasi vuoti da riempire. Non si è avvicinato a noi -come purtroppo a noi succede di fare- come a terre vuote.
Ci ha guardato con l'amore con cui si guarda la brace nel camino -il grande camino dell'umanità- .
E con la tenerezza di chi ama, ha soffiato, soffia, soffierà sulla nostra brace.

"BAMBINO!"
La casa è in via Nöe. Mentre suono, gli occhi anticipano i volti: il volto di Elena, il volto della sua piccola bambina, Carolina. Il papà -mi dico- sarà assente, impegnato nel suo studio.
Sono in corridoio. La bambina ha festeggiato da poco i due anni, è in braccio alla mamma. Elena le porge sorridendo l'immagine, fa segno sull'immagine, dice alla piccola: "Gesù bambino!". Carolina sorride, anche lei fa segno con la sua piccola mano. Fa segno, sfiorandolo, al ventre rigonfio della mamma. Dice, illuminandosi: "Bambino!".
Forse il Natale è dire Gesù e dire contemporaneamente il nome di ogni bambino. E tener legati, lontani da ogni separatezza, i volti.
Natale è iniziare a guardare in modo diverso l'altro, quasi illuminandosi. Così come si illumina Carolina nella casa di via Nöe al numero 30.


LA TAVOLA ALLUNGATA
Oltre via Nöe, al di là di piazza Piola, viale Lombardia. La sera è di novembre inoltrato. I lampioni faticano a vincere il buio. La prostituta è all'angolo, là dove piove la luce. C'è ancora traffico. Nell'aria anche traffico di droga.
Viale Lombardia, fuori parrocchia, fuori i confini strettamente canonici, non fuori quelli più veri del cuore.
È una casa di amici, amici di lunga data: quando conobbi Mariolina, aveva allora meno anni di Gianni, il suo figlio maggiore.
Vengo dal buio. C'è luce nella casa: la lucerna -dice il Vangelo- non la mettere sotto il moggio, ma in alto perché faccia luce a tutti nella casa. Mi sento illuminato.
La tavola nella casa si è come allungata negli anni. È arrivata Chiara, numero sei, dopo cinque fratellini maschi. Ora Mariolina ha finalmente un'alleata nella difesa della femminilità. Maschile e femminile insieme -solo se insieme- fanno il nome di Dio.
I fratelli fanno a gara a coccolare, a custodire la sorellina. Piero, a capotavola, li copre di sguardi con tenera fierezza. È uno spettacolo dolce. Gli occhi riposano. Spettacolo dolce, senza enfasi. Nessuno che parli come un curiale, col tono dei documenti. È una cattedra silenziosa: insegna nella casa a custodire.
Natale -mi dico- non è solo guardare in modo diverso, è imparare a custodire, custodire un bambino. Il bambino, nella Bibbia, immagine di ogni essere indifeso.

AL LARGO
Era un anniversario. La giornata per qualcuno aveva il sapore e l'aria tersa di un anniversario.
Io me n'ero scordato, anche perché che qualcuno ricordi compleanni e onomastici, feste religiose e feste civili è cosa ovvia, normale. Ma che qualcuno ricordi il primo anniversario della tua visita alla loro casa è cosa rara, non di tutti i giorni, è cosa da tuffo al cuore.
Mi hai detto: "Non potevo mancare. Ho chiesto in ospedale che oggi mi lasciassero libera. È un anno dalla sua visita. E da allora sono nate tante cose, sono iniziati cammini". Guardavi Cecilia, la tua figlia più grande, dieci anni. Ti si specchiava negli occhi.
Essere madre, essere padre, per te e per Andrea è come soffiare senza violenza sulla brace, è dare coraggio alla piccola fiamma.
È custodire, certo, ma anche lasciar andare. Come se i figli fossero barche in rada, in attesa che il vento ne gonfi le vele e le spinga al largo. Abiteranno le case del futuro -è scritto nel "Profeta" di Kahlil Gibran- case che tu nemmeno in sogno potrai immaginare.
Incrocio gli occhi di Tommaso, il fratello più piccolo di Cecilia: sono un lago di felicità. Poi eccolo con Cecilia, sul divano, ad aprire un salvadanaio. Sono i loro risparmi. Li mettono in una busta. Te li consegnano. E la casa è piena del profumo, il profumo del vero Natale del Signore.
Giorni fa qualcuno con aria un poco alterata mi disse: "Non ne possiamo più del Natale!". Non ha tutti i torti. Ma non sta diventando una moda, quasi un rito, anche questo declamare e abbaiare ogni anno contro il natale dei consumi, vela imprigionata a riva, nelle secche del consumismo?
Forse più che declamare e abbaiare, con prediche, articoli e documenti, servirebbe qualcuno che, come Tommaso e Cecilia, facessero un gesto, anche piccolo, portando il Natale al largo, al largo della deriva di cui non se ne può più.

Noi siamo la brace, Signore, ma troppa cenere ci sta appesantendo e soffocando. Vieni con il tuo soffio a scuotere dalla nostra brace le ceneri. Ma, se puoi, soffia piano, Signore: siamo lumicini, la nostra è debole fiamma. Il tuo Natale è il soffio nuovo che la fa ardere nella notte.

don Angelo


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