articoli di d. Angelo


 

I PASSI DELLA SALVEZZA

Il mio Natale quest'anno è abitato. È abitato da una domanda, come una notte abitata da una stella.
"Il Natale" - dicevi- "la nascita di Gesù, ma anche i nostri natali, le nostre nascite. Ci sono donne che aspettano un bambino, da sole, senza un marito, aspettano bimbi senza padre...".
Se c'è una festa, che ha conosciuto paradossalmente la deriva di un "buonismo", vago e stemperato, di cattiva lega, molto vicino al "fare come se" -come se i problemi non ci fossero, come se i problemi per un giorno non ci fossero- questa è il Natale.

Eppure quella notte -notte santa- i problemi c'erano. E Dio non nasceva in una notte di sogni e di stelle. E se quella notte era di stelle -ho conosciuto l'emozione di alcune notti di stelle in Israele- forse non erano miriadi le stelle nel cuore .
Anche quella del Figlio di Dio, in qualche misura -mi si perdoni la parola- era una nascita "irregolare", un bimbo "irregolare" fuori delle nostre codificate regole.
Prima ancora che nascesse, quando ancora lo avvolgeva e intiepidiva il grembo tenero e caldo della madre, da quel grembo caldo e tenero aveva ascoltato -forse sto sognando- da vicino il battere angoscioso del cuore della madre nei giorni in cui Giuseppe aveva deciso di licenziarla in segreto, per via di quella nascita fuori regola.

Forzo il discorso -e voi mi perdonerete- per dire che era voluto nascere in qualche modo "irregolare", tra gli "irregolari", perché nessuno più potesse chiamare qualcuno "irregolare", perché là fra gli "irregolari", tra i senza regola era nato lui, il Figlio di Dio.
Quasi a conferma di questa mia suggestione leggo nei Vangeli che chiamati a vedere un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia non furono i "regolari", ma ancora una volta gli "irregolari", i pastori, razza bastarda, puntualmente dispensati dal frequentare le zone sacre del tempio, perché "irregolari".
Perché è nato -ce lo chiediamo- nel paese della irregolarità?
Forse perché, dicevo, abitandoci lui, il Figlio di Dio, nessuno si azzardasse più a chiamare presuntuosamente "irregolare" qualcuno sulla terra, ma semplicemente uomo e donna, figlio di Dio e figlia di Dio e non ci succedesse più di guardare o giudicare chicchessia a partire dalla sua irregolarità, bensì dal suo essere uomo e donna, una umanità segnata per sempre da questa sua nascita, nascita tra gli "irregolari".

Ha abitato la nostra umanità.
È accaduto purtroppo un fraintendimento lungo la storia. Qualcuno lo chiama il fraintendimento del "come se": secondo alcuni è venuto sulla terra il Figlio di Dio ed è vissuto fra noi "come se" fosse un uomo, in realtà era Figlio di Dio. Sembrava un uomo, ma in realtà la sua era un'umanità ridotta a pallida e sfuocata apparenza.
Di qui l'idea di un Gesù che è piccolo, però è già grande; che soffre, però ha l'invulnerabilità di Dio; che muore con un grido, ma intanto lui abita i cieli.
Permane l'idea di un Gesù che ha preso la nostra umanità, ma si fa per dire: in realtà era un altro. Si è avvicinato, ma non si è avvicinato.
No. La mangiatoia fu una mangiatoia, non meno povera perché era Figlio di Dio. E le fasce erano fasce; non erano meno fasce perché era Figlio di Dio. E il latte, il latte di sua madre era latte, non meno latte perché era Figlio di Dio. Senza quel latte moriva, così come senza qualcuno che gli suggerisse parole non avrebbe mai parlato, senza qualcuno che gli avesse insegnato a leggere e a scrivere non avrebbe mai letto il rotolo di Isaia.
Il Natale viene ancora una volta a farci memoria che i passi di Dio non si fermano a mezz'aria. I passi della salvezza sono dentro questa nostra povera ma amata -amata da Dio- umanità.
La speranza non è disegnata a mezz'aria, ma nelle inquiete pieghe della nostra storia, nelle faticose pieghe della nostra quotidianità, nelle pieghe segrete della nostra insonne ricerca di senso.
Se i passi della salvezza, i passi di Dio, vai ad ascoltarli a mezz'aria o altrove, non è vero Natale.

I credenti, quelli veri, sono sognatori, visionari impenitenti, uomini e donne abitati dalla promessa, ma paradossalmente sono anche uomini e donne legati, a filo stretto a questa terra, abitata per sempre dalla nascita di Gesù, il Figlio di Dio.
Troppo a lungo ci ha segnato e perseguitato una spiritualità del "disprezzo della terra", che cancellava o rendeva insignificante il Natale di Cristo.
"Noi" - diceva Enzo Bianchi, il priore di Bose, ad Assisi- "per duemila anni abbiamo atteso il Signore che ritorna disprezzando la terra, nel "contemptus mundi"; forse è venuta l'ora in cui dobbiamo continuare a guardare là, a guardare le cose di lassù, come dice Paolo, aspettare Cristo che ritorna, ma amando questa terra. Permettete la formula: nella fedeltà alla terra. Questo è il grande compito che attende la nuova spiritualità cristiana per il terzo millennio".
I passi di Dio risuonano sulla terra, sulla nostra terra. Forse c'è troppo frastuono. Troppe parole, parole anche religiose, parole consumate, troppi vuoti discorsi, troppe omelie.
Sta nel silenzio. E nel silenzio ascolta i passi della salvezza.

E ai passi di Dio nella notte succedano i nostri.
Chissà perché nella notte a muoversi, a muovere i passi sono ancora una volta gli "irregolari". Non si parla di altri al presepe di Gesù.
Alzarsi nella notte. Alzarsi dalle nostre notti. Credere che si possa, uscendo dal recinto, trovare un segno, anche povero: un bambino avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia, che restituisca un senso al nostro vivere quotidiano.
Alzarci nella notte e andare. Forse ci tenta il tepore del fuoco, acceso nel recinto. Ci tenta a fermarci. Ma senza i nostri passi non c'è incontro.
Se abbiamo addormentato ogni curiosità, se sappiamo già tutto di Dio, se abbiamo cancellato ogni attesa -tanto tutto rimane come prima!-, rimarremo nei recinti e non sarà Natale.
Meglio essere "irregolari" ma curiosi che "regolari" presuntuosi, soddisfatti, arresi.
Dalle notti della nostra irregolarità verso una luce.

don Angelo

Asino e bue
siamo tutti, o Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero.

Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce
droghe senza speranza.

Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.

Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.

don Angelo


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