articoli di d. Angelo


 

PENSIERI SPARSI SUL NATALE

Pensieri senza pretesa. Come quelle impressioni che a volte appunti fugacemente su un foglio, uno dei tanti fogli volanti, destinati a chissà chi o chissà cosa, spesso sommersi da altre carte più importanti (?), nel disordine della mia scrivania.
Pensieri che attendono di essere perdonati, come ogni riflessione che non venga dalla quiete del silenzio, ma da improbabili spiragli di sosta, il tempo di prendere una biro e poi interrompere ancor prima di finire un pensiero.

DESIDERIO DI SENSO
Mi sembrerebbe fin troppo facile e scontato accodarmi all'analisi amara di chi va dicendo che nel nostro tempo è morto il vero natale e che per Cristo oggi come allora, non c'è assolutamente posto.
C'è posto per tutto o quasi tutto, non c'è posto per Cristo.
Correndo e stringendo i denti si arriva dappertutto; ma non si arriva nel profondo del cuore: e dove altro potrebbe nascere il Signore?
O se si arriva a Cristo, spesso si arriva a un bambino di cartapesta, che non impegna più di tanto.
Si ripete dunque la notte del "non c'è posto!". E Giuseppe e Maria a ritentare, bussando più avanti.

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C'è del vero, ma non è tutto, in questa fotografia della mia generazione, che la vuole indifferente e secolarizzata.
Ricordo che, una di queste sere - era passata mezzanotte -, alla fine di una trasmissione televisiva su "Milano: le strade della fede", all'intervistatore che gli chiedeva se concordasse sulla fotografia di una città in gran parte non praticante, l'Arcivescovo, come spesso usa fare, cambiò totalmente prospettiva, come uno che segnala orizzonti spesso inesplorati o forse solo disattesi. E disse - cito a memoria -: "La gente vive un grande desiderio di senso. Tocca alla chiesa dare voce a questo grande desiderio, la chiesa che custodisce una Parola, che è la risposta a questi interrogativi dell'uomo".

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Forse alcuni di noi ricordano con nostalgia le sere d'avvento in cui dalla penombra delle chiese saliva accorata l'implorazione del "Rorate": "O cieli, stillate dall'alto rugiada. Le nubi piovano dall'alto il Giusto!".
Oggi forse il "Rorate" tace nelle chiese o è solo canto sommesso. Ma l'implorazione -per coloro che sanno ascoltare- sta salendo dal cuore di questa generazione in attesa di un Parola, il Verbo, che apra finalmente il libro chiuso da sette sigilli, il libro dei significati, il libro della vita.

COMUNICARE
La storia affascinante di Adamo che ha tutto - alberi, animali, stelle, cieli limpidi e terre feconde -, ma si sente terribilmente solo (puoi avere tutto e essere solo come un cane) mi ritorna alla mente più volte in questi giorni di Avvento.
Mi ritorna alla mente il grido di giubilo di Adamo all'apparire della donn, quella sua poesia, la prima dell'umanità, una poesia d'amore.
Dunque ciò che conta non è avere, ma "comunicare": hai bisogno di due occhi simili ai tuoi, di due mani che si stringono alle tue; ma hai bisogno anche di una creatura con cui spartire i tuoi pensieri e le tue emozioni, i tuoi sentimenti, i tuoi sogni, la tua ricerca, le tue scelte.
Senza comunicazione profonda ci riduciamo a cose. E le cose non riempiono il cuore.

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Forse stupirà la stranezza di questo prete che, all'avvicinarsi del Natale, pensa alla lontana storia di Adamo.
Eppure il Natale potrebbe essere letto anche come l'apparire nel cielo del segno di un mirabile e intimo comunicare tra Dio e l'uomo.
Mi perdonerà Dio per quanto sto per scrivere (la "Congregazione per la dottrina della fede" avrebbe, penso, da ridire su queste mie affermazioni): oso dire che, dopo tutto, ciò che conta non è tanto che Lui, Dio, esista. Ciò che mi fa colmo di stupore, pieno di giubilo come Adamo, è che Lui abbia voluto, e voglia ogni giorno, comunicare con noi.
Colmo di stupore mi fa questo comunicare non dall'alto, ma da una stessa terra, dentro la condizione dell'uomo. In caso diverso la comunicazione non è più tra persone, ma tra fantasmi.
E allora il mistero del Natale non potrebbe essere letto anche come un invito a ridare splendore e tenerezza al comunicare? Qui e non altrove è la nostra salvezza.

CARICARSI
E insieme alla storia di Abramo mi accompagna, in questa vigilia di Natale, la storia -è una parabola- di un uomo senza nome.
Gesù che l'ha raccontata non gli ha dato nome, forse perché il vero nome è il suo o forse anche perché potrebbe essere il nome di ciascuno di noi.
Noi l'abbiamo chiamato "il buon samaritano": la parabola è conosciuta, ma non è storia lontana, né tanto meno conclusa. Puntualmente si ripropone nel tempo.
Storia di una umanità che "discende", cioè spogliata dalla sua dignità, percossa e ferita.
Ma storia anche di uno che passa, prova tenerezza e si ferma; scende da cavallo e versa olio sulle ferite e fascia e cura, pagando di persona.
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Storia dunque del discendere di Dio e del suo "caricarsi" della nostra situazione: la vera storia del Natale.
Passando in una delle case della parrocchia per la benedizione natalizia, una signora mi disse: "Prima di sera, chissà quante storie di dolore le avremo riversato nel cuore. Come fa a resistere a portarle tutte?".
Se la tenerezza di quella donna da un lato mi commosse per la dolcezza dell'intuizione, dall'altro segnalava una esigenza diffusa: che nessuno venga lasciato solo a portare il carico.
Ripresi a passare di casa in casa; ma nel cuore mi si era dilatato un timore: che il mio fosse solo un venire e andare, un "passare oltre" come quello del sacerdote e del levita, non un "versare olio".
"Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo" (Gal. 6,2). Perché il Natale non muoia.

don Angelo


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