articoli di d. Angelo


 

"ECCO, STO ALLA PORTA E BUSSO"

Sono i primi giorni di questo affascinante e inquietante andare casa per casa per la benedizione del Natale, e già mi porto dentro alcune sensazioni.
Forse, prima di scriverne, dovrei, come insegna il Vangelo, custodire e meditare nel cuore; ma lo scorrere dei giorni le scolorirebbe e perderebbero di freschezza e di immediatezza.

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Tante case e così diverse: quelle che si aprono e quelle che non si aprono; quelle che raggiungi d'un fiato -ti ci porta l'ascensore- e quelle che raggiungi con un poco di fatica, gradino dopo gradino -oggi Vito, il chierichetto, arrancava dietro con il fiato grosso-; quelle spaziosissime e quelle piccole come un nido; quelle "normali" e quelle un poco strane -scendeva dal soffitto una miriade di cuoricini rossi, appesi a esili fili bianchi e te ne andavi, ricercando un significato-; le case ricche e quelle povere, alcune poverissime.

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Non una casa uguale all'altra, non un volto uguale all'altro.
Sì, l'attesa del tuo volto e questo sentirmi piccolo davanti al mistero del volto, di migliaia di volti.
"Il volto è il confine tra questo mondo e un altro": mi hanno suggestivamente ricordato due carissimi amici.
Ogni volto è un paese. E questo passare di volto in volto, con la sensazione che, se rimani legato alla figura precedente, non ti apri alla nuova.

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Passare di volto in volto e accorgersi della complessità.
Le situazioni non sono più omogenee, sono le più varie, anche dal punto di vista religioso.
Chissà se noi, come chiesa, ci rendiamo conto di questo frastagliarsi oggi dell'animo umano in un ventaglio insospettato di situazioni, per quanto concerne il credere o il non credere.
O se non andiamo accanendoci per caso dietro un modello pastorale omogeneo, come se il punto di partenza fosse uguale per tutti.
Più i nostri modelli sono rigidi -e oggi qualcuno va assolutizzando il suo, quasi fosse esclusivo- e più traditi sono i volti nella loro originalità, tradito il mistero che li sfiora e li avvolge.
Non bisognerà forse disegnare itinerari diversi? e non bisognerà forse immaginarli, solo dopo aver interrogato umilmente le situazioni, senza presunzione di sapere, senza arroganze dello spirito?

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Ecco, sto alla porta e busso.
E c'è qualcuno che apre e già ti chiama per nome -potessi io fare altrettanto!-, qualcuno che ti conosce per interposta persona, per via di un amico o di un figlio.
A volte il legame -la cosa ti stupisce e ti commuove: ha dell'incredibile, se pensi che sono passati solo alcuni mesi- è sorto intorno all'omelia della domenica, quasi ci fosse un comunicare interiore, sotterraneo, ma autentico, che nasce dalla Parola di Dio.

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Ecco, sto alla porta e busso.
Sui volti ti sembra di cogliere a volte l'attesa della fede, altre semplicemente l'attesa di un gesto magico, "qualcosa che porti buono"; altre volte un senso di disagio, forse anche di fastidio, altre volte di indifferenza.
E viene spontaneo chiedersi se, in una società caratterizzata da una pluralità di attese, possa essere sempre e comunque questo il gesto che risveglia la ricerca e il senso del mistero.

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Ecco, sto alla porta e busso.
Una voce dall'interno -non c'è tempo e neppure il desiderio di guardarsi negli occhi- al di là della porta sbarrata, risponde: "No, non mi interessa".
Te ne vai, ma quelle parole, anche dopo tante porte che si aprono, ti rimangono dentro.
Non è detto che debba interessare la benedizione della casa, soprattutto se il prete può apparire come il venditore di un prodotto religioso.
E che cosa invece potrebbe "interessare"? dove va l'attesa del cuore?
Per gli uomini e le donne che sono in ricerca, per gli uomini e le donne segnati da esperienze religiose negative o irrilevanti, sarà proprio questo o non un altro il gesto da cui partire?
Fino a che punto sarebbe giusto che io mi lasciassi prendere da amarezza o non sarebbe invece più giusto che mi lasciassi condurre dal convincimento che, anche là dove la porta non si è aperta, lo Spirito mi ha preceduto e conosce vie segnate?

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Ecco, sto alla porta e busso.
Mi apre un ragazzo sui diciassette/diciotto anni: ha un viso aperto.
Con garbo, senz'ombra di arroganza, mi dice che non si sente di chiedermi la benedizione della casa: "Posso darle -aggiunge- una offerta per la parrocchia".
Rispondo che capisco e rispetto il suo cammino, che però non si deve in nessun modo sentire in obbligo. Vorrei che capisse che il nostro andare per le case non è finalizzato a una questua.
Mi sembra sorpreso per questa mia reazione, quasi non se l'aspettasse. Comunque ci si sorride: forse anche in un sorriso vive la trasparenza di un rispetto. È ciò che conta.
Per il resto me ne vado con i miei dubbi. Che cosa è meglio -ti chiedi- in casi come questi? È meglio accettare o rifiutare? Accettare dando corpo così all'idea che anche la religione è una bottega o rifiutare con il pericolo di spegnere un gesto di solidarietà dettato dal cuore?

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Ecco, sto alla porta e busso.
Chi mi apre -lo avverti facilmente- non è il "padrone di casa"; ti fa accomodare gentilmente e va a chiedere. Poi ti invita.
La sala è semibuia: su due scrittoi piove fioco un fascio di luce che illumina libri, fogli e quaderni: forse qualcuno sta preparando un esame.
La ragazza, come il ragazzo che mi ha aperto, ha un viso sereno e luminoso. Ti confessa con candore di non sentirsi legata a una religione o a un'altra. Se le chiedessi -mi spiega- un gesto rituale, non mi sentirebbe coinvolta: se la mia presenza fosse qualcosa di diverso, forse sì.
Faccio una preghiera all'unico Dio, invocato sotto nomi diversi su tutta la terra, il Dio che è luce alla ricerca che vibra nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, meta ultima del nostro pellegrinare, splendore e salvezza d'ogni volto.
Nel silenzio della sala semibuia mi commuove l'intensità e la vibrazione di questa preghiera e, insieme, la verità e la tenerezza di questa comunicazione.
Splende una gioia limpidissima nei loro occhi; ti ringraziano commossi, ma io non lo sono meno di loro.

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Ecco, sto alla porta e busso.
La stessa intensità, la stessa commozione, la stessa gratitudine mi sembrerà di rivivere qualche giorno dopo. Questa volta in una casa dove mi si chiama per nome, là dove una giovane mamma dirà -e un brivido di commozione intenerirà il volto-:"Vorremmo dirle che le siamo molto vicini, che abbiamo intuito e condividiamo l'immagine di parrocchia per la quale si sta impegnando...".
Non sono "addetti ai lavori", eppure, quasi di istinto, hanno indovinato dove va l'attesa del tuo cuore di pastore.

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Ecco, sto alla porta e busso.
Busso, e mi sento sempre preceduto.
Sei tu, Signore, che alle porte hai bussato prima di me.
Tu hai tanti modi di bussare e di invitare, così come gli uomini e le donne del mio tempo hanno tanti modi di chiudere e di aprire.
In questo bussare ed aprire è il tuo e il nostro Natale. E il cuore -prima ancora che le chiese- è il luogo in cui stupirsene e celebrarlo.

don Angelo


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