articoli di d. Angelo


 

IL GRANDE ALBERO E L'OLIO FLUENTE

Albero ramato di voti
e speranze come non altro,
pianta dell'uomo che sogna olio
fluente, olio da versare
sopra le ferite, olio che consacri
sempre un Messia: olivo,
non del tuo legno
son fatte le croci!

Albero di Cristo: "Anche gli ulivi
piangevano quella Notte,
e le pietre erano più pallide
e immobili,
l'aria tremava tra ramo e ramo: e
Lui, tutto un sudore di sangue
- la bocca senza voce - mentre
abbracciava la terra".

Ma gli stessi olivi lo vedranno
salire in alto e sparire nel sole:
gli stessi olivi dai quali fanciulli
avevan strappato i rami
per corrergli incontro:
una selva di rami e di voci
a cantargli d'allora
l'Osanna e Alleluja.

Olivo, albero essenziale,
dall'ombra lieve come una
carezza; eppure ossuto, e nodoso,
e carico di ferite, uguale alla vita:
immagine di ciò che più amiamo!

Sempre un tuo ramo
trovi la colomba in volo
dopo i diluvi!
E siano, i figli virgulti d'ulivo
intorno a ogni mensa;
e perfino la cenere fatta
di sue foglie e d'argento
plachi le tempeste;
come le stesse del mercoledì
delle Ceneri mettano in fuga
anche la nostra morte.
E Papa Giovanni
il padre del mondo, torni
con il suo ramo d'olivo in mano…

In questi giorni, che odorano di Pasqua, mi rimormora in cuore un'antica melodia ambrosiana che celebra la Croce. Qualche volta, quando nessuno mi ascolta, mi sorprendo a cantarla sottovoce. E' una strofa d'un antico inno liturgico, "Vexilla regis prodeunt": esce fuori, avanza il vessillo del Re.
La strofa chiama la Croce "Arbor decora et fulgida": albero nobile e splendido.
Cantare dunque alla Croce, come all'albero nobile, il cui tronco ebbe in sorte di toccare membra tanto sante, albero arrossato dal sangue del Re.
Così, mentre le labbra si sciolgono al canto, alla mente si affaccia una domanda: è la parrocchia l'albero - voi sapete quanto ci sia cara questa immagine che fa da simbolo al nostro progetto pastorale - o l'albero è la Croce del Signore?

L'INNESTO

Non ci può essere dubbio né esitazione: il vero albero è la Croce, che narra l'amore di un Dio. Noi, come persone e come comunità, possiamo solo sognare e anelare ad essere innestati sul grande albero, senza il quale saremmo poveri rami secchi, prima o poi spezzati dal vento.
Il sogno che ci conduce è che l'albero della parrocchia, i suoi rami protesi, le sue braccia allargate diventino nel mondo una piccola tenera memoria, un segno, di quell'altro Albero, di quelle altre braccia allargate; un albero piccolo che richiama l'albero vero, quello ai cui rami è appesa la salvezza del mondo.
Poter dunque parlare con le nostre braccia allargate delle altre grandi braccia, che tengono ogni uomo e ogni donna irrevocabilmente; poter parlare con il nostro povero cuore dell'altro, aperto sulla croce, aperto per sempre.

L'OLIO E LE FERITE

L'immagine dell'albero, nobile e splendido, evocata dalle strofe dell'antico inno liturgico, mi ha ricondotto al cuore un altro inno all'albero, quello di padre David Maria Turoldo, che apre questo scritto: un inno all'albero dell'ulivo.

pianta dell'uomo che sogna olio
fluente, olio da versare
sopra le ferite…

Mi commuove, a volte fino al pianto, questo infinito soffrire dell'uomo. E le ferite dell'umanità che a noi non è dato rimarginare una volta per tutte, ferite sempre aperte, sino alla fine del mondo, come la ferita del Cristo sulla Croce, ferita aperta fino alla fine dei tempi!
E questo mio ministero di pastore che mi porta - mi porta così spesso - sulla soglia da cui contemplare ininterrottamente la ferita. Quante ferite, quanto pianto! E quanta paura, quanto smarrimento! Quanto buio e quante "vie della croce". E quanto, inenarrabile, venerdì santo! Storie quotidiane, storie delle mie giornate di prete!

QUASI UNA CIFRA

Quante ferite, mio Dio! Penso a quelle ferite che stanno assumendo la figura della massima atrocità: ferite di uno stupro di massa, cifra ultima, la più agghiacciante, di tante altre ferite minori.
Mi si parano davanti agli occhi volti e volti di donne, scavati dall'angoscia.
"Che leggeranno dentro di sé?" - si chiede Carlo Carozzo - "Con quale sguardo potranno ancora affrontare la vita? Quale tortura psicologica si porteranno dentro? Quali voragini si sono aperte in loro? E che dire delle giovanissime? Che ne sarà di loro dopo tale esperienza sconvolgente? Non ne usciranno distrutte, consumate per sempre? La vita non apparirà con il volto della dannazione? Domande atroci E risposta non c'è".
Le ferite dunque! E l'olio del grande albero, l'olio della Croce, il solo balsamo capace di lenire fino a guarirlo il grande dolore. Il nostro povero olio può solo attutirne l'asprezza, con il segno silenzioso della nostra comprensione e della nostra tenerezza!
Eppure, anche se povero, a questo gesto non possiamo sottrarci. Una chiesa, una parrocchia cui venisse meno l'olio della tenerezza, mostrerebbe in modo inequivocabile la sua lontananza, il suo sconfinamento dal grande albero della Croce.
"Consolate, consolate il mio popolo": è scritto tra le parole del Signore.

DUREZZE E RUVIDEZZE

Sarà bene ripeterlo al nostro cuore oggi che qua e là stanno rispuntando durezze e ruvidezze, a volte invocate con il pretesto della difesa di Dio e del suo Figlio, Gesù Cristo.
Peccato grave, indubbiamente gravissimo, sarebbe oggi tacere su Dio e sul suo Figlio Gesù Cristo, Lui solo il grande albero in cui crediamo, Lui la nostra salvezza, Lui inno di benedizione sulle nostre labbra.
Ma altrettanto grave sarebbe parlare di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo come si brandirebbe una clava o un'arma, dimenticando che Cristo è L'Ulivo. La sua Pasqua fu nel segno dell'ulivo - come ci ricorda Padre Turoldo -: gli ulivi che piangevano tremando la notte del tradimento; gli ulivi che osannavano festanti il giorno in cui il Signore fu visto salire in alto e sparire nel sole.
Anche di questo non possiamo tacere.

LO SCONCERTO

Qua e là rispuntano e sono teorizzate durezze e ruvidezze.
Crea un certo sconcerto in alcuni di noi, per esempio, il fatto che proprio un quotidiano di area cattolica si sia accaparrato come una delle sue firme prestigiose quella di un accademico di Francia che nel suo paese sta suscitando sconcerto e scalpore per la sua polemica velenosa contro i Vescovi, accusati di eccessiva indulgenza e complicità con gli errori e le eresie del secolo.
Denunciare la comprensione e la tenerezza come tradimento della verità è operazione di grave scorrettezza e di basso profilo.
Mons. Jean Charles Thomas, vescovo di Versailles risponde all'Accademico: "La chiesa "popolo di Dio" la imbarazza. Anche Dio, nel corso della storia, non ha sempre saputo come fare per rendere più docile questo popolo di dura cervice e intenerire il suo cuore di pietra. Ma è di questo popolo che io faccio parte dall'infanzia.
Vi incontro peccatori e santi, zeloti e saggi, uomini che brontolano e uomini che pregano, primi della classe o che, al contrario, non hanno nessuna nozione di teologia, uomini che si convertono ed altri che finiscono male.
Ma, poiché il Pastore deve partire alla ricerca della pecorella smarrita, mi capita di lasciare provvisoriamente l'ovile. Non mi si trova sempre nel presbiterio. Mi si può trovare in mezzo a gente "poco raccomandabile", secondo certi criteri.
Il Cristo è sempre stato nel tempio? Non l'ha, invece, purificato dal commercio che vi si svolgeva? I guardiani del Tempio non l'hanno apprezzato. Hanno creduto che il Cristo veniva per distruggere la fede. E hanno commesso un grave errore. Non ricominciamo!".
Non ricominciamo! Fissiamo i rami di ulivo che ci sono stati affidati la domenica della Palme: ci ricordano il suo Albero, ci ricordano il balsamo della Croce, ci ricordano l'olio del samaritano. Di lui è scritto: "Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versando olio e vino… e si prese cura di lui" (Lc. 11,34).
Il samaritano, quanto ad ortodossia, non era certo un campione. Eppure Gesù concludeva: "Va e anche tu fa lo stesso".

don Angelo


torna alla home