articoli di d. Angelo


 

MEMORIA DI UN "CONSEGNATO"

Leggo amore e, a volte, anche una dolcezza che mi commuove in quel gesto piccolo e tenero di chi oggi, nelle Messe, alla Comunione, offre le mani a ricevere il corpo del Signore.
E come non augurarmi che rimanga nel tempo questa emozione che ora sorprendo negli occhi, l'emozione per il Dio che si consegna, che è nelle tue povere mani? Fino a questo punto, Signore!
"Consegnarsi" è il verbo che, nella sua limpidezza, segnala la logica custodita nell'Eucaristia, il senso che la percorre.
"Questo è il mio corpo dato (consegnato) per voi": così Luca annota la parola del Signore nella notte del tradimento e fissa per i secoli la luce che abita quel pane.
Quel pane e le tue mani. Anche le mani senza pretese dei nostri ragazzi, piccolo nido aperto ad accogliere il Signore che si consegna.

NELLE MANI DEGLI UOMINI

Pasqua è alle porte. E già la liturgia delle chiese -come un giorno la casa di Betania- profuma all'avvicinarsi del mistero.
E mi viene spontaneo pensare che proprio sotto il segno del consegnarsi Gesù ha posto la profezia della sua Passione, quasi a svelare la cifra che ne dice il significato ultimo.
"Il Figlio dell'uomo" -è scritto nel Vangelo di Marco- "è consegnato nelle mani dei figli degli uomini".
L'Eucaristia non poteva non essere sotto il segno del corpo consegnato se la memoria che arde nel pane spezzato altro non è che la memoria della Croce del Signore.

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Consegnarsi: gesto del Signore. E, prima di lui e dopo lui, gesto di innumerevoli profeti e giusti, consegnati, lungo la storia, nelle mani dei figli dell'uomo.
E Gesù, loro associato. La profezia è avverata.
"Giuda lo consegnerà ai sommi sacerdoti (14, 18), questi lo consegneranno a Pilato (15, 1.10), Pilato lo consegna ai soldati (15, 15). Gesù diventerà un oggetto, una cosa, una 'res'. Come lo schiavo, consegnato dall'uno all'altro, manipolato, perché fanno di lui quello che hanno voluto, come per Giovanni il Battista (9, 17)" (Enzo Bianchi).
Storia di Cristo, storia di un consegnarsi.
Follia e rischio del consegnarsi. Perché non sai dove finisci, non sai in quali mani, né sai che cosa gli altri faranno di te.
Tu, Signore, consegnato nelle mani del Padre. E consegnato nelle nostre mani: in quali mani, Signore, sei caduto!

SENZA NON C'È AMORE

Ma senza il consegnarsi non c'è amore. Nessuna avventura seria di amore.
Senza il consegnare "se stessi" c'è il mercato, c'è l'approfittare dell'altro, c'è la reprocità spenta delle prestazioni, c'è l'involgarimento dell'amore, appiattito a un vuoto e arido scambio di cose: ci si dà cose, non ci si dà l'anima.
Io ti prendo nelle mie mani, Signore. E nel tuo corpo consegnato leggo tutta l'incandescenza del dare se stessi.
Non hai preteso come condizione del consegnarti che le mie mani fossero pulite e degne , né ti sei chiesto quanto io capissi o non capissi del tuo mistero.

INCONDIZIONATAMENTE

Farò Pasqua, Signore.
In una vita di pallide memorie accenderò la tua Memoria, la memoria più pura e più trasparente del consegnarsi.
E ti chiederò, ancora una volta, nella notte, di convertirmi al tuo gesto. Anch'io tra quelli che si consegnano, ma solo a metà o con riserva mentale; anch'io tra quelli che si consegnano, ma a tempo determinato; anch'io tra quelli che si consegnano, ma a certe condizioni: a condizione di finire in mani pulite, grate, accoglienti.
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Fare Pasqua e consegnarsi alla ferialità. Alla ferialità della vita, ma senza amarezza. Con amore.
E vivere la vita -tutta!- come un consegnarsi, giorno dopo giorno.
E poi sarà l'ultima consegna. Potermi allora consegnare, ma senza amarezza, alla morte. Consegnarmi, come hai fatto tu, Signore, affidandomi alle ultime mani.
Le ultime sono le mani del Padre. Sei in mani sicure: "Nelle tue mani consegno il mio spirito".
"Nelle tue mani" dicevi. Nella certezza che il velo della morte è poco più di un'ombra. L'aria già respira la risurrezione.
L'ultima consegna non è alla morte, se non per poco: è alla risurrezione.

SOTTO IL GIUDIZIO DELLA CROCE

Disegnare la vita come un consegnarsi.
Ma -se mi è consentito- vorrei aggiungere un'ultima riflessione. Vorrei iscriverla in un interrogativo che la vita a volte ci rimanda.
Che cosa dire, quando alla terra luminosa della dedizione disinteressata sembra rispondere la terra arida della grettezza del cuore e negli occhi leggi la pretesa, il tutto dovuto, lo sfruttamento?
Se da un lato infatti non può non destare preoccupazione -sul versante di chi è chiamato a donarsi- questa resistenza sempre più diffusa a consegnarsi e a consegnarsi definitivamente, dall'altro non può non destare preoccupazione -sul versante di chi riceve- un'assenza di sensibilità e di cuore: l'altra faccia dell'egoismo.
A gesti limpidissimi di dedizione più di una volta risponde il volto spento e vuoto di chi della vita ha fatto un mercato, all'insegna del calcolo freddo e interessato.
Non sto immaginando -tu lo sai- paesaggi teorici. Sto ripercorrendo terre della quotidianità.
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Che cosa fare?
Non sarà il tuo stesso consegnarti quasi un incitamento a "usare" e ad approfittare di chi la vita la interpreta sotto il segno limpido e gratuito della dedizione?
Occorrerà dire con franchezza che questa nostra generazione -come ogni altra- salva sarà a una condizione: che ci rimanga il coraggio di lasciarci giudicare da quella Croce, dove il Signore è salito non ad avvallare il sopruso dell'uomo sull'uomo, ma a rivendicare per chiunque il diritto di non essere appiattito a una cosa di cui usare: l'uomo "usato", la donna "usata".
La vita come afferrare e pretendere o la vita come accogliere e consegnarsi? La parola della Croce è inequivocabile.
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Una parola di salvezza.
L'esito infatti di una terra, dove alla cultura del consegnarsi si preferisse quella del disporre degli altri, sarebbe triste e raggelante, e, forse, in qualche misura purtroppo è già dotto i nostri occhi.
Vuoto l'idolo -ricchezza, successo, potere- ma vuoti anche i fabbricatori dell'idolo, quasi una maledizione ci seguisse.
Degli uni e degli altri è scritto nel salmo 134:
"Gli idoli dei popoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono.
Hanno orecchi e non odono,
non c'è respiro nella loro bocca.
Sia come loro chi li fabbrica
E chiunque in essi confida".

L'idolo o la Croce?

don Angelo


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